DI TORTURA
IN UNA CASERMA
- di Giuseppe Savagnone
Un
gesto coraggioso
La
scoperta sconcertante dei casi di tortura verificatisi in una caserma di
polizia di Verona si presta a diverse considerazioni. Una riguarda l’importanza
del fattore umano nella sfera del pubblico. Si deve al questore di Verona,
Roberto Massucci, l’avere condotto con «efficienza» e «sollecitudine» (sono i
termini usati nell’ordinanza del Gip) l’intera operazione che ha condotto
all’arresto di quattro agenti e di un ispettore (altri 17 sono indagati).
Un
lavoro durato otto mesi nel quale gli agenti della squadra mobile di Verona
hanno indagato in silenzio sull’operato dei colleghi, portando alla luce
episodi di violenze e torture avvenute tra le pareti della Questura.
C’è
voluto coraggio, da parte della questura veronese, per iniziare e condurre fino
in fondo questa indagine, portando alla luce il marcio che covava al suo
interno. Tanto più che essa è nata casualmente, da un’intercettazione
telefonica riguardante un’altra vicenda.
Si
poteva lasciar cadere tutto, secondo uno stile purtroppo diffuso, che Manzoni
ha perfettamente illustrato nei «Promessi sposi», quando il conte zio consiglia
al padre provinciale dei cappuccini di fermare fra’ Cristoforo: «Veda vostra
paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi
qui, cose che a rimestarle troppo… si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest’urti,
queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno
avanti… A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori
cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare,
sopire».
E
invece il questore Masucci non ha sopito, non ha troncato, ma è andato fino in
fondo. Per assicurarne la riuscita, anzi, ha fin dall’inizio disposto la
rimozione e il trasferimento ad incarichi burocratici di 23 agenti del Reparto
Volanti che, pur non essendo direttamente sospettati di aver preso parte a
episodi di violenza, potevano comunque essere indirettamente coinvolti per non
aver impedito o comunque non aver denunciato gli abusi commessi dai colleghi.
Niente
di straordinario, in fondo, era il suo compito quello di servire lo Stato. Ma
di questi tempi è straordinario anche l’ordinario… E noi dobbiamo esser grati a
quest’uomo e ai suoi collaboratori per averci testimoniato che ancora – in un
momento in cui la cultura dominante e la politica che ne è diretta espressione
registrano la scomparsa dell’idea di “bene comune” – c’è chi antepone la logica
dell’etica pubblica a quella dell’interesse privato o corporativo.
La
banalità del male
Una
seconda considerazione, anch’essa suggerita dalla dimensione umana della
vicenda, è di segno opposto alla precedente e nasce dalla triste meraviglia di
fronte a quella che Hannah Arendt chiamava «la banalità del male». Perché ci
sono diverse motivazioni al ricorso alla tortura. Alcune di esse – come
potrebbe essere la necessità di estorcere a un terrorista rivelazioni su un
imminente sanguinoso attentato – , senza minimamente giustificarla, la rendono
almeno comprensibile. In questi casi il male non può essere scusato, ma nasce
da un interesse spiegabile.
Nella
vicenda dei poliziotti di Verona, invece, ci si trova di fronte a un assurdo,
cieco sfogo di sadismo. Fanno rabbrividire le registrazioni di alcuni stralci
delle conversazioni in cui l’agente Alessandro Migliore raccontava alla
fidanzata, inframezzando il narrato con risate e commenti divertiti, il
pestaggio ai danni di una delle vittime: «Adesso ti faccio vedere io quante
capocciate alla porta dai, boom boom boom boom». «Ho caricato una stecca amo’,
bam, lui chiude gli occhi, di sasso per terra è andato a finire, è rimasto a
terra». «M… che pigna che gli ho dato». «E io ridevo come un pazzo».
Le
persone, si dice nell’ordinanza del Gip, venivano «trattate come stracci», con
«vero e proprio godimento». Una vittima ha raccontato di avere chiesto invano
di andare in bagno e, dopo essersi trovata a urinare per terra, di essere stata
costretta ad asciugare la sua urina con la faccia.
E
non si trattava di un terrorista, anzi neppure di un criminale, anzi neppure di
un indagato, ma di un poveraccio, come scrive ancora il Gip, trattenuto «senza
aver commesso reati di sorta e semplicemente fermato per identificazione»!
Un
silenzio imbarazzante e le sue ragioni
Un’altra
considerazione potrebbe riguardare il comportamento dei mezzi di informazione
nel dare la notizia. Mentre i grandi quotidiani nazionali hanno dato ampio
spazio in prima pagina alla vicenda, sottolineandone la gravità, quelli governativi,
come «La verità» e «Libero», non l’hanno neppure menzionata, relegandola come
mero caso di cronaca nera nelle pagine interne.
Nessuno discute il diritto dei direttori dei quotidiani di valutare la diversa importanza delle notizie. Ma questo si può fare dando loro diverso rilevo, nella stessa prima pagina, in modo da indicare al lettore le preferenze del giornale.
Il silenzio assoluto, quando si tratta di un fatto eclatante, che ha comunque trovato grande risonanza nelle agenzie, assomiglia molto a una censura.
Se si prende sul serio l’idea che informare la gente è un modo per formare l’opinione pubblica e garantire la consapevolezza e la responsabilità del processo democratico, questa omissione si configura come l’esatto opposto dello spirito espresso dalla questura di Verona. La logica di parte prima del bene comune.
Perché qui è chiaro che il silenzio dei giornali di destra è volto a sdrammatizzare una vicenda che confligge clamorosamente con una richiesta, avanzata appena poche settimane fa, nel mese di marzo, da alcuni parlamentari dei Fratelli d’Italia, volta all’abolizione dal nostro ordinamento giuridico del reato di tortura.
Ad essere oggetto della richiesta sono in particolare gli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale, introdotti nel 2017 dopo episodi drammatici come quello di Stefano Cucchi, vittima anche lui della violenza di rappresentanti delle forze dell’ordine (in quel caso carabinieri).
Nella relazione dove sono spiegate le motivazioni della proposta si legge che «il rischio di subire denunce e processi strumentali potrebbe disincentivare e demotivare l’azione delle Forze dell’ordine, privando i soggetti preposti all’applicazione della legge dello slancio necessario per portare avanti al meglio il loro lavoro, con conseguente arretramento dell’attività di prevenzione e repressione dei reati e uno scoraggiamento generalizzato dell’iniziativa delle Forze dell’ordine».
Da qui l’opportunità di abrogare «per tutelare adeguatamente l’onorabilità e l’immagine delle Forze di polizia, che ogni giorno si adoperano per garantire la sicurezza pubblica rischiando la loro stessa vita».
Si comprende la reazione indignata della senatrice di Sinistra Italiana-Alleanza Verde Ilaria Cucchi: «Sostenere che la tortura in Italia non esista è una bugia. Far finta di niente e voltarsi dall’altra parte è già questa una violazione dei diritti umani e lo so perché l’ho provata sulla mia pelle.
Più di un giudice, prima dell’introduzione di questa legge si è trovato a non poter procedere perché la legge non esisteva». Ora i fatti di Verona danno ragione a questa protesta e mettono in imbarazzo la parte politica che la sosteneva.
Un clima diffuso che isola i poveri
Ma
c’è un’ultima considerazione che i fatti di Verona impongono. Ad essere vittime
degli agenti violenti non erano professionisti, funzionari, persone della media
borghesia, ma stranieri e senzatetto.
Poveracci che nessuno si può levare a difendere, perché già discriminati socialmente, nel nostro paese, da un clima di paura e di odio che in questi anni si è sempre più diffuso tra le “persone perbene” e che proprio nelle regioni del Nord, sotto impulso della Lega, ha avuto il suo epicentro.
È evidente che questo clima ha influito sui poliziotti nel farli sentire al sicuro da ogni contestazione. Quelle persone erano sole. Come lo sono di fronte ai mille soprusi a cui anche fuori delle questure vengono sottoposte quotidianamente e che l’attuale governo sta sempre più legittimando con la sua politica di «difesa» nei loro confronti.
Esito paradossale di una storia come la nostra, che si è ispirata nei secoli – almeno in linea di principio – alla visione evangelica della fraternità universale e incondizionata, e che oggi sembra registrare un sempre più evidente abbandono non solo del cristianesimo, ma del rispetto per gli esseri umani.
* Scrittore ed editorialista. Pastorale della Cultura, Diocesi di Palermo
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