Troppo occupati dalle tragiche vicende della pandemia e dalla prospettiva poco allegra di una Natale senza festeggiamenti, i giornali hanno riservato ben poca attenzione al convegno The Economy of Francesco, che si è aperto giovedì 19 novembre, nel pomeriggio, e che raduna – alcuni in presenza , la maggior parte in diretta streaming – 2000 giovani economisti e imprenditori di 120 paesi di tutto il mondo, tutti under 35, 56% uomini e 44 % donne.
Da marzo ad
oggi l’evento, fortemente voluto da papa Francesco, è stato attivamente
preparato da centinaia di questi giovani, che hanno dato vita, già nella fase precongressuale,
a un vero e proprio movimento di cui il convegno vero e proprio è il
coronamento. «Questo», ha detto l’economista Luigino Bruni, che ne è il
coordinatore scientifico, «è già il primo grande e importante risultato
di The Economy of Francesco».
Non è un
incontro accademico
Un risultato
destinato in questi giorni a dilatarsi e rafforzarsi perché,
nelle rispettive nazioni di appartenenza, sono nati degli Hubs, delle vere
e proprie strutture per seguire l’evento insieme (compatibilmente con le
normative covid locali) con lo scopo di coinvolgere altri giovani e intere
comunità, per fare un’esperienza condivisa di confronto e di approfondimento
anche oltre le ore del programma online.
Non siamo
davanti a un appuntamento accademico. I nomi dei relatori sono famosi – c’è
anche un premio Nobel – ma quello che si è creato è un grande laboratorio in
cui risulta decisivo l’apporto dei partecipanti e la ricaduta sui loro
rispettivi ambienti di lavoro e di vita. Non a caso si è posto come limite di
età quello dei 35 anni: si vuole scommettere sulla creatività e sull’inventiva
dei giovani, sfidando luoghi comuni e schemi precostituiti dell’economia
neocapitalista oggi imperante.
Obiettivo
dell’iniziativa è infatti quello di progettare e costruire un mondo più umano,
dunque più equo e sostenibile, di quello esistente. I testi di riferimento sono
le due ultime encicliche di papa Bergoglio, Laudato si’ e Fratelli
tutti.
Il
retroterra dottrinale: l’«ecologia integrale»
C’è in gioco
la crisi ecologica, ma non nel senso ristretto in cui spesso viene intesa da
molti movimenti di “verdi”, che guardano quasi esclusivamente al rispetto
dell’ambiente naturale. Come si dice nella Laudato si’, «non ci
sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e
complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un
approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli
esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (LS n. 39).
). E’ questa che il papa chiama «ecologia integrale».
Il grande
scandalo del mondo contemporaneo non sono solo l’inquinamento e il
riscaldamento globale, ma – inscindibilmente connesso con questi fenomeni –il
fatto che «mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte
vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi
diritti fondamentali ignorati o violati» (FT n.22).
«Per poter
parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un
miglioramento integrale nella qualità della vita umana» (LS n.147). «Ma così
non avviene, perché a garantire questa qualità, attraverso il perseguimento del
bene comune, dovrebbe essere la politica e, nel sistema attuale, la politica è
sottomessa ad un’economia che «assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del
profitto», perché a sua volta è dominata da una finanza che «soffoca l’economia
reale» (LS n.109).
L’accusa di
Francesco al neocapitalismo
Il
pontefice, su questo punto, non usa perifrasi e chiama le cose con il loro
nome: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla
popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema,
riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo
generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi
finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più
attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria
speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia
portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo» (LS
n.189).
Da qui i
diversivi che fanno credere al grosso pubblico che il problema sia una
eccessiva natalità: «Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo
estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi» (LS
n.50).
Sotto accusa
è anche la globalizzazione, il cui esito, nelle forme attuali, è di «imporre un
modello culturale unico. Tale cultura unifica il mondo ma divide le persone e
le nazioni, perché “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non
ci rende fratelli” (Benedetto XVI, Caritas
in veritate )» (LS n.12).
«Alcuni
Paesi forti dal punto di vista economico vengono presentati come modelli
culturali per i Paesi poco sviluppati, invece di fare in modo che ognuno cresca
con lo stile che gli è peculiare, sviluppando le proprie capacità di innovare a
partire dai valori della propria cultura» (FT n.51).
Il discorso
di apertura del card. Turkson
Nel discorso
con cui ha inaugurato i lavori del convegno The Economy of Francesco il
card.
Turkson, prefetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano
integrale, è partito da queste premesse per sottolineare l’assoluta necessità
di «generare una nuova economia», e, più precisamente, di «passare da
un’economia liquida a un’economia sociale», e cioè da un’economia «indirizzata
al profitto che deriva dalla speculazione e dal prestare con alti interessi», a
un’economia «sociale che investa nelle persone creando posti di lavoro e
garantendo formazione».
Il fatto che
al simposio siano stati invitati e partecipino con entusiasmo dei giovani
studiosi e operatori economici esclude che queste parole rimangano nobili
esortazioni. Siamo davanti, piuttosto, a linee guida per l’elaborazione di una
prospettiva irriducibile a quella oggi ritenuta ovvia.
Il magistero
della Chiesa e il capitalismo
Il magistero
della Chiesa non ha mai avallato il capitalismo e, anche quando il crollo del marxismo
ha dato l’impressione che esso non avesse alternative, Giovanni Paolo II ha
avuto cura di sottolineare la differenza tra un’economia di mercato – che i fatti
confermavano essere l’unica possibile – e l’interpretazione che di essa dà il
neocapitalismo, assolutizzando la logica del profitto.
Si è
trattato però, finora, a parte dei predecessori di Francesco, di pese di
posizione dottrinali – importanti sul piano teorico, ma poco incisive su quello
pratico. Ora, invece, il papa non si limita più a scrivere encicliche, ma si
impegna a tradurle in un linguaggio che consente ai princìpi di incarnarsi in
precise formulazioni operative.
Di più: dà
vita a un movimento di pensiero, in grado di coinvolgere il mondo accademico e
quello produttivo, che, partendo dalle evidenti contraddizioni del sistema
dominante, non lo attacca – come fu nel Sessantotto – a colpi di slogan e di
rumorose contestazioni di piazza, ma elaborando costruttivamente soluzioni
alternative.
Due
“teologie della liberazione”
Molti hanno
notato, in questi anni, l’influsso che la teologia della liberazione ha avuto
nella formazione di papa Bergoglio. Alcuni ne hanno fatto un capo d’accusa,
definendolo addirittura “comunista”.
Alla base
c’è la convinzione che la teologia della liberazione sia una deviazione
dottrinale condannata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, in
una Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione del
1986. Pochi sanno che, in un altro documento della stessa Congregazione,
la Libertatis Nuntius (6 agosto 1984), dopo aver criticato
alcune distorte interpretazioni di questa corrente teologica, si dice: «Questo
richiamo non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti
coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito
evangelico alla “opzione preferenziale per i poveri”. Essa non dovrebbe affatto
servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di
neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della
miseria e dell’ingiustizia».
«Lo scandalo
delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri – si tratti di disuguaglianze
tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra ceti sociali
nell’ambito dello stesso territorio nazionale – non è più tollerato».
Da questo
punto di vista, dice il documento, «l’espressione “teologia della liberazione”
designa innanzi tutto una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno
per la giustizia, rivolta ai poveri e alle vittime dell’oppressione».
Papa
Francesco e la teologia della liberazione
Non è
Bergoglio a parlare, ma l’ex Sant’Uffizio, e a capo di esso c’era il card.
Joseph Ratzinger. Vi è dunque una teologia della liberazione pienamente in linea
con la tradizione della Chiesa, anche se i riflettori si sono più spesso
puntati su quei filoni di essa che non lo sono. È appena il caso di dire
che papa Francesco si fa coerente portavoce delle istanze che sono alla base
della prima e che non solo sono compatibili col Vangelo, ma ne esprimono
l’appello a non scambiare il cristianesimo con «un atteggiamento di neutralità
e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e
dell’ingiustizia».
Non sappiamo
quali saranno gli esiti a lungo termine del convegno The Economy of
Francesco. Posiamo fin da ora prevedere che gli attacchi contro il papa da
parte di Viganò, di Bannon, di altri più o meno manifestamente collegati alla
destra statunitense, si moltiplicheranno. Ma personalmente sono fiero che la
Chiesa di cui faccio parte sia, finalmente, attaccata non perché sta dalla
parte dei ricchi, ma perché si è schierata con i poveri.
*Pastorale
Cultura, Diocesi Palermo
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