Violenza
contro le donne: una giornata in ricordo del tragico volo di tre
"farfalle"
Dal 1999, il
25 novembre è il giorno decretato dall’Onu per non dimenticare le donne vittime
di violenza. Molti i passi in avanti sul fronte legislativo, sulle modalità di
protezione ma tanto resta da fare, come sottolinea suor Rita Mboshu Kongo,
teologa congolese
Violenza e
pandemia
A giugno
scorso, l’Onu ha diffuso un report realizzato dal Fondo delle Nazioni Unite per
la popolazione, da Avenir Health, dalla Johns Hopkins University e dalla
Victoria University australiana, nel quale si metteva in luce il chiaro incremento
di casi di violenza sulle donne durante la pandemia: più di 15milioni di casi
con un aumento del 20% delle violenze per i primi 3 mesi di lockdown in tutti i
193 Stati membri delle Nazioni Unite. E’ una piaga che percorre il mondo; negli
Usa, in piena emergenza sanitaria, ogni minuto una donna è maltrattata dal
proprio compagno; a Londra nelle prime sei settimane di lockdown sono stati
4mila gli arresti effettuati per abuso domestico.
Un tragico
aumento di casi in tutto il mondo
Drammatici i
numeri dell’America Latina. Quasi 50 femminicidi (termine più corretto che ha
sostituito quello di “delitto passionale”) in soli due mesi in Argentina. In
Messico, da febbraio ad aprile 367 le donne assassinate, in El Salvador le
autorità avevano segnalato 9 femminicidi nel primo mese di blocco ma si teme
che il numero sia più alto. In Brasile si è registrato un aumento del 56% delle
violenze a marzo, in sei Stati. Con il lockdown, sono raddoppiate le chiamate
alle linee di aiuto in Libano, in Malaysia, in Australia i motori di ricerca
come Google hanno registrato il maggior volume di richieste di aiuto per
violenza domestica degli ultimi 5 anni. Il segretario generale delle
Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esortato tutti i Paesi affinché adottino
misure contro questo “scioccante aumento” di violenze.
Non numeri,
ma persone
C’è dunque
un’altra pandemia, una “pandemia oscura”, che colpisce milioni di persone, di
donne. In questo video delle Nazioni Unite in occasione dell’odierna Giornata
si ricorda che, in questo tempo segnato dal Covid-19, le violenze domestiche
sono in aumento. In questo momento, molte persone sono intrappolate nelle loro
case. Le storie di donne che ogni giorno, in tutto il mondo, subiscono violenza
non sono dati statistici. Sono spesso anche volti sfigurati, corpi ricoperti da
lividi. Vite vissute in gabbie di paura e violenza. “I dati sulle violenze
contro le donne - si sottolinea nel video dell’Onu - non sono solo numeri, sono
persone che potresti conoscere”.
La
situazione in Italia
In Italia,
dai dati Istat emerge un rilevante incremento delle telefonate al numero
antiviolenza 1522 nel primo periodo di lockdown. Il Dossier del Viminale
dello scorso settembre ha messo in luce che, durante questo periodo di blocco,
una donna è stata uccisa ogni due giorni in famiglia; su un totale di 278
omicidi registrati tra agosto 2019 e luglio 2020, 149 sono in ambito familiare
e ben 104 hanno avuto una donna come vittima. Il rapporto “Codice Rosso”
presentato dal ministro della Giustizia Bonafede fotografa un "sensibile
aumento" dei procedimenti iscritti per maltrattamenti contro familiari e
conviventi nel periodo primo gennaio- 31 maggio 2020 rispetto al corrispondente
periodo dell'anno 2019. Un “trend che può essere imputato alle misure di
contenimento da lockdown e che hanno portato a situazioni di convivenza
forzata”. Più 11% dei casi di maltrattamenti fra agosto 2019 e luglio 2020.
Adolescenti
consapevoli ma silenti
Save the
Children, in occasione della Giornata, ha reso noto i risultati di un’indagine
condotta da Ipsos su un campione di adolescenti tra i 14 e i 18 anni in Italia.
Emerge una maggiore consapevolezza del fenomeno della violenza, tra le ragazze
il 70% dichiara di aver subito molestie nei luoghi pubblici e
apprezzamenti sessuali e al 64% di loro è capitato di sentirsi a disagio per
commenti o avance da parte di un adulto di riferimento. Ancora poche quelle che
denunciano le molestie, sia per paura della reazione (29%) che per vergogna
(21%). Sul web tra le ragazze il 41% ha visto postare dai propri
contatti social contenuti che l’hanno fatta sentire offesa e/o umiliata come
donna, e di queste il 10% si è sentita maggiormente esposta durante il
lockdown. Preoccupa la percentuale di giovani, il 15% in maggioranza maschi,
che pensano che le vittime di violenza sessuale possano contribuire
a provocarla con il loro modo di vestire e/o di comportarsi.
Le risposte
alla violenza
I numeri
drammatici, la crescita culturale del fenomeno, le varie campagne promosse
hanno comunque aperto la strada anche ad interventi legislativi mirati, e sono
state inaugurate modalità nuove di protezione come i centri antiviolenza e le
case rifugio per le donne maltrattate. Secondo un’indagine dell’Istat, nel
2018, la metà delle donne che hanno lasciato la “casa rifugio” (50,8%) ha
concluso il percorso di uscita dalla violenza e il 7,8% ha terminato il
percorso di ospitalità, un esito positivo per circa 6 donne su 10. Ma le misure
per garantire la sicurezza delle donne ospiti – ed è la denuncia del report “Le
case rifugio per le donne maltrattate” - non risultano del tutto adeguate.
Investire
nell’educazione
Suor Rita
Mboshu Kongo, teologa congolese e docente presso la Pontificia Università
Urbaniana, ribadisce che la strada da fare per contrastare il fenomeno della violenza
contro le donne è molto lunga. “Bisogna lavorare, secondo la mia esperienza,
sull’educazione e la formazione. Queste sono le priorità. E’ necessario educare
a conoscersi – afferma – dialogare, coinvolgendo la famiglia, la scuola e la
Chiesa e richiamare quel ‘patto educativo globale’ che Papa Francesco ha
promosso”. Fondamentale, suggerisce suor Rita, è comprendere fino in fondo il
senso della relazione, non dimenticando che ogni uomo è immagine di Dio e che
la violenza contro le donne è violenza contro il Creatore.
Parlando
della situazione nel suo Paese, la teologa ricorda che le donne subiscono
violenza, subiscono il razzismo e anche il sessismo. “Umiliando la donna –
afferma suor Rita – si umilia la famiglia. Umiliandole si umilia anche la
società, la cultura in cui vivono, il clan, il villaggio o il Paese. La Chiesa
in Congo sta cercando di fare un lavoro complesso per cercare di scardinare i
pregiudizi, non è semplice ma non è nemmeno impossibile”. La teologa è una
suora impegnata anche a far emergere il tema della violenza sulle suore nella
Chiesa. Circa un anno fa, il problema è stato affrontato nella sua complessità,
“oggi – sottolinea – la Chiesa sta lavorando, ci sono cambiamenti, è un
processo nel quale senz’altro la Chiesa non è stata sorda al grido di sofferenza
di molte”. L’invito, in conclusione, è quello di parlare con chiarezza. Parlare
spesso non è semplice, ci sono ostacoli di vario tipo che portano le donne a
scegliere la strada del silenzio come se questo cancellasse il problema. Serve
supporto, solidarietà, sapere che non si è sole, soltanto così si potrà uscire
dal buio e si potrà avere la forza per lottare contro l’ingiustizia subita,
spesso gratuita e senza senso.
Vatican News
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