La cifra politica della presidenza Trump.
Il
tema del rapporto con i fatti, e del ruolo della disinformazione, anche
attraverso precise strategie sui social media, è uno di quelli che ha
caratterizzato questa presidenza e la relazione tra politica e informazione ai
tempi del neo-populismo. La locuzione «fatti alternativi» è nata da Kellyanne
Conway consigliere del presidente Trump, durante una conferenza stampa del 22
gennaio 2017, in relazione al numero di presenze effettive all’inaugurazione di
Trump come presidente degli Stati Uniti. I «fatti alternativi» hanno
caratterizzato quest’ultimo anno di Presidenza in cui si sono intrecciate
narrazioni negazioniste sulla pandemia con ricostruzioni strumentali sia degli
episodi di razzismo che delle proteste per la morte di George Floyd.
I
social media, in testa Twitter e, in misura minore, Facebook – in passato
accusati anche dal Rapporto Mueller e dalle indagini su Cambridge Analytica, di
aver indirettamente favorito strategie di disinformazione volte a influenzare
le elezioni del 2016 – hanno iniziato a "moderare" i tweet del
presidente Trump per incitazioni alla violenza o affermazioni non veritiere o
ingannevoli, peraltro riguardanti proprio il tema della legittimità del voto
postale o absentee.
Il
tema della disinformazione è stato quindi un filo rosso di questa presidenza e
di questi anni, non solo negli Stati Uniti certo, ma che in quel grande Paese
sembra aver registrato il campo privilegiato per la costruzione sia di nuove
agende politiche sia di nuove strategie di propaganda.
Quello
che resta non è solo l’irrompere dei «fatti alternativi», ma l’indebolimento
della stampa libera, autonoma, professionale, spesso accusata di essere, essa
stessa, di parte. Una stampa attaccata su due fronti: dal lato del tempo di
attenzione, dedicato ai social media come nuovi informatori, e dal lato delle
risorse finanziarie e pubblicitarie, sempre più concentrate nelle mani delle
grandi piattaforme.
Ma
resta soprattutto, ed è il conto più amaro che ci troviamo di fronte, l’avvento
di una polarizzazione cieca e autoreferenziale. Di un tifo fatto di 'bolle' e
impermeabile a ogni dialogo. L’esplosione delle fonti informative, attraverso i
social e il web in genere, corrisponde a una minore e non a una maggiore
esposizione a idee che non si condividono. Quella che doveva essere una
finestra sul mondo è diventata uno specchio che ci restituisce i nostri pregiudizi,
le nostre convinzioni, i nostri fatti alternativi. Come ha misurato Agcom nel
suo Osservatorio, la polarizzazione è ormai una costante del modo in cui
selezioniamo le fonti informative. C’è allora da chiedersi come tirarsi fuori
da questa pesante eredità. Come riportare al centro della politica e del
confronto democratico, quell’amore dei fatti che per John Stuart Mill era alla
base della libertà d’espressione e di un autentico pluralismo.
È
possibile che quanto accade oggi negli Stati Uniti costituisca un importante
passaggio in questo senso. Intanto, tra un mese, l’Europa annuncerà una
proposta di regolazione delle piattaforme on-line, il cosiddetto Digital
Service Act, che affronterà sia i temi dei mercati della pubblicità
on-line, e quindi delle risorse destinabili anche all’informazione, sia i temi
della disinformazione on-line. Nella consapevolezza, ci si augura, che,
altrimenti, l’avvento di «fatti alternativi» possa pre-costituire la condizione
di un’alternativa alla democrazia.
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