Siamo
dunque davanti a una battaglia di civiltà? A far nascere dei dubbi su questa
diffusa lettura dovrebbe indurre, invero, la sua semplicità un po’ manichea: il
bene da una parte, il male dall’altra.
Al
di là del manicheismo
In
realtà, lo stesso manicheismo semplificatore – bene vs male – si può
rilevare nelle argomentazioni di una buona parte degli avversari del disegno di
legge, che vedono in esso solo un gravissimo attentato alla libertà di pensiero
e di espressione.
Personalmente
sono restio a dare credito alle posizioni che si demonizzano a vicenda. Mi
sembra più realistico cercare di comprendere e di valorizzare l’“anima di
verità” che si nasconde anche in quelle che appaiono meno accettabili e che io
stesso magari non condivido.
Le
motivazioni condivisibili del disegno di legge
Partirei dalle motivazioni che stanno dietro la proposta dell’on. Zan. È difficile negare che nella nostra storia ci siano stati, nei confronti di gay, lesbiche, transessuali, «pregiudizi, discriminazioni, violenze». Le persone omosessuali sono state derise, umiliate, emarginate, spesso anche perseguitate. Le si è costrette a nascondersi, a mascherare la loro vera identità e a darle libera espressione solo nell’oscurità di ambienti ambigui e violenti, privati del diritto di avere una vita affettiva – non solo sessuale! – come tutti gli altri. E ancora oggi suscita scandalo in tanti la presa di posizione di papa Francesco, quando afferma che «gli omosessuali sono figli di Dio», esattamente come gli etero, portatori come loro dell’immagine di Dio impressa nei loro volti. Si capisce allora che alla base del disegno di legge ci sia la volontà di combattere, assumendoli come reati formali, comportamenti spregevoli ancora tristemente riscontrabili nella cultura diffusa.
Una
minaccia ridimensionata
Esso
però non si limita a questo. E francamente devo riconoscere che, al di là dei
toni, le critiche nei suoi confronti a mio avviso sono fondate. Non tanto per
la presunta minaccia alla libertà di pensiero e di espressione, a mio avviso
molto ridimensionata dall’emendamento inserito nell’art. 4, che fa salve «la
libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime
riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non
idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori
o violenti».
La
visione ispiratrice di fondo: sesso e genere
La
vera difficoltà che questo disegno di legge presente è di natura simbolica ed
educativa e nasce dall’art. 6, dove si istituisce la Giornata nazionale contro
l’omofobia – che sarà celebrata il 17 maggio – in cui saranno sono
organizzate «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte
delle amministrazioni pubbliche e nelle scuole».
Quale
messaggio sarà proposto in questa occasione? Mi piacerebbe prevedere che sia
solo il rispetto di chi è diverso. Ma non posso chiudere gli occhi sul fatto
che la giusta battaglia per il rispetto della dignità umana degli omosessuali è
stata spesso identificata, da chi la conduce, con una critica alla visione
tradizionale dell’identità sessuale delle persone, che la fondava sulla loro
costituzione biologica. Da qui la tendenza a relativizzare drasticamente il
dato fisico della mascolinità e della femminilità e a sottolineare, piuttosto,
l’importanza dei fattori psicologici e sociali che determinano il “genere”.
Il
misconoscimento della dimensione biologica
Ne
è derivata la negazione del valore tendenzialmente normativo della sessualità
biologica nello sviluppo dell’identità sessuale complessiva di un soggetto.
Dalla giusta considerazione che uomini e donne non si nasce ma si diventa, si è
passati alla scissione fra questo stato finale e il dato biologico originario –
quello che risale alla nascita – dell’essere maschi e femmine.
In
questo modo la definizione del proprio genere è stato visto come un risultato
tutt’altro che scontato. Se la propria struttura morfologica e biologica non è
più decisiva per la propria identità e il proprio orientamento sessuale – come
la società tradizionalmente ha creduto e fatto credere – tutta l’educazione va
radicalmente ripensata e ristrutturata, fin dalla più tenera età. Essa non può
e non deve partire dalla presunzione che un maschietto debba avere una identità
di genere di uomo e una femminuccia una identità di genere di donna.
L’equivoca
campagna dell’UNAR contro il bullismo
È
questa presunzione, secondo i sostenitori di questa linea, a rendere incapaci
di capire e intolleranti verso coloro – transessuali e omosessuali – nei
questa corrispondenza non si verifica. Bisogna perciò smantellarla. Ha già
cercato di farlo un ufficio ministeriale, l’UNAR, nel 2013, senza passare da
una legge, bensì diffondendo nelle scuole italiane di ogni ordine e grado delle
nuove direttive ai docenti e facendole passare per una prevenzione del
bullismo.
Partendo
dalla premessa che «dietro gli episodi di bullismo omofobico e transfobico, vi
sono altri problemi, quali quelli legati a una cultura che prevede soltanto una
visione eteronormativa» – quindi al binomio uomo-donna fondato sulla diversità
tra maschio e femmina – l’UNAR ha varato la diffusione di un opuscolo compilato
dall’Istituto di psicologia Beck in cui si raccomandava di «non usare analogie
che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa (cioè che assuma che
l’eterosessualità sia l’orientamento “normale”, invece che uno dei possibili
orientamenti sessuali)». E si insisteva moltissimo sul fatto che si faccia
presente ai bambini/ragazzi/adolescenti che «i rapporti sessuali omosessuali
sono naturali», equiparandoli sistematicamente a quelli etero: «Quindi potremmo
ribaltare la domanda chiedendoci: “i rapporti sessuali eterosessuali sono
naturali?”».
Collegata
a questa linea era la proposta di una metodologia che «aiuta gli studenti a
comprendere più a fondo la definizione di famiglia e a capire che vi è una
diversa varietà di strutture familiari». Perciò gli insegnanti dovranno,
«nell’elaborazione di compiti, inventare situazioni che facciano
riferimento a una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere.
Per esempio: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo
al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”».
Un
evidente salto logico
È evidente
il salto logico tra la giusta esigenza di educare fin da piccoli al rispetto
delle persone omosessuali e una campagna sistematica per “decostruire”
l’identità sessuale di bambini, ragazzi e adolescenti, rimettendo in
discussione il loro rapporto con la propria corporeità proprio in un momento
della loro crescita in cui è più importante per loro consolidarlo. La prima
vale per tutte le diversità, ma non implica l’accettazione delle visioni
antropologiche ed etiche sottostanti, la seconda invece punta non solo sul
rispetto, ma sulla affermazione della propria idea di sessualità. Come se, per
combattere l’islamofobia e insegnare a rispettare i musulmani, si insegnasse
nelle scuole italiane che la nostra idea di parità tra uomo e donna non è
affatto scontata e deve essere messa sullo stesso piano di quella dell’Islam.
Un
passo simbolico verso l’educazione pro-gender e l’esclusione dei genitori
Acquista
un significato inquietante, alla luce di questi dati, il fatto che nel
dibattito alla Camera sia stato espressamente previsto che le iniziative della
Giornata contro l’omofobia coinvolgano le scuole elementari e che, viceversa,
sia stato respinto l’emendamento che chiedeva che la partecipazione degli
alunni – compresi i più piccoli – richiedesse l’autorizzazione dei
genitori. Se è vero che le leggi hanno un valore simbolico e additano una
direzione, il problema va ben al di là della singola “Giornata” e implica uno
stile educativo che purtroppo è quello di cui abbiamo parlato.
Un’ esperienza
inglese
Quanto
ciò possa rappresentare un pericolo lo appendiamo proprio in queste settimane
dall’esperienza di un Paese all’avanguardia in questo campo, come il Regno
Unito. Alla fine di settembre il Dipartimento inglese per l’Educazione ha
bandito dalle scuole statali ogni formazione sulla cosiddetta identità di
genere. Una svolta che testimonia la diffusa preoccupazione per il dilagare,
tra i minori, di transizioni da un’identità di genere a un’altra, che sono
passate dalle 40 per le ragazze e 57 per i ragazzi del biennio 2009-2010, alle
1.806 per le femmine e 713 per i maschi nel biennio 2017-2018.
Non
credo, francamente, che mettere in luce questi pericoli costituisca un
messaggio persecutorio nei confronti degli omosessuali. Al contrario, sono
convinto di aver messo in luce dei problemi su cui confrontarsi francamente,
nella fiducia che la ragione umana e l’onestà intellettuale possono unirci al
di là di tutte le diversità.
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