La fraternità nella nuova enciclica
di Papa Francesco
- di Rino Fisichella
Fratelli, fraternità, fratellanza sono
termini che ricorrono frequentemente nell’enciclica, utilizzati spesso come
sinonimi anche se la semantica evidenzia alcune sfumature che ne caratterizzano
il senso. Prendere tra le mani il testo del Papa partendo da questi concetti
può essere utile per entrare maggiormente nel suo insegnamento. La categoria di
fraternità sembra essere assunta da Francesco per tentare di trovare nell’epoca
della globalizzazione un denominatore comune che possa permettere il dialogo e
il confronto sincero tra le persone che abitano il nostro piccolo mondo. Il
tentativo è lodevole. In altre epoche della storia i cristiani non si sono
sottratti a questa impresa. Forti del comando all’evangelizzazione, hanno
sempre intrapreso la strada per comprendere quale via migliore si dovesse
seguire. Ai primordi della nostra storia, ad esempio, colpisce non poco
l’esperienza di Giustino che nel suo Dialogo con Trifone non
fa altro che perseguire la strada dell’incontro con il suo interlocutore pagano
per annunciare la novità della fede cristiana. Alla stessa stregua, Tommaso
d’Aquino scrive la sua Summa contra Gentiles con l’obiettivo
di dialogare con ebrei e mussulmani. Non potendolo fare alla luce della Bibbia,
ritrovò nella categoria della “ragione” lo spazio necessario per un dialogo
universale. Ai nostri giorni, giunge questa enciclica di Francesco con la
categoria di “fratellanza” per esprimere la preoccupazione di trovare un
interfaccia comune per il dialogo tra i popoli e le religioni. L’intento è
chiaro: «Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi
animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al
dialogo con tutte le persone di buona volontà» (n. 6).
I
termini usati da Papa Francesco, comunque, si muovono nel solco di almeno tre
contesti peculiari che è bene non dimenticare. Il primo è l’orizzonte
della spiritualità francescana. Il Papa lo esplicita fin
dall’inizio dell’enciclica quando ricorda che l’appellativo utilizzato dal
santo di Assisi era rivolto in forza dell’amore evangelico a tutti, vicini e
lontani non solo nel senso spaziale, per proporre «una forma di vita dal sapore
di Vangelo» (n. 1). Per san Francesco, che chiamava “sorella” perfino la morte,
l’essenziale consisteva nel riconoscere ogni singola persona, senza distinzione
alcuna per il colore della pelle, lo stato sociale, la religione e la
sessualità, come un fratello e una sorella da amare. Chiamarli fratelli e
sorelle era lo strumento, la mediazione per far emergere il
vero contenuto della fede: l’amore di Gesù Cristo. Se si dovesse togliere
questa componente, si distruggerebbe l’originalità stessa della fede e con essa
l’esigenza dell’evangelizzazione come testimonianza dell’incontro con il
Risorto che invia quanti credono in lui a partecipare alla trasformazione del
mondo con un nuovo stile di vita.
Il
secondo contesto a cui far riferimento è il rimando alla parabola del buon
samaritano «un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza
l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo
mondo» (n. 67). Non è un caso che Papa Francesco dopo aver commentato la
parabola ponga come titolo alla sua attualizzazione il verbo “Ricominciare”. È
proprio così. Si tratta di ripartire ancora una volta dal Vangelo, perché per
un credente non c’è alternativa alcuna. «La storia del buon samaritano si
ripete: risulta sempre più evidente che l’incuranza sociale e politica fa di
molti luoghi del mondo delle strade desolate» (n. 71), che richiedono la nostra
presenza fattiva, senza volgere lo sguardo altrove per paura, disinteresse o
indifferenza. Quando c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto, lì si è chiamati ad
agire con misericordia perché si riconosce la presenza di un
fratello e una sorella che soffrono. Tra le povertà più emergenti oggi è
innegabile che quella dell’emigrazione e dell’ingiustizia sociale abbiano il
sopravvento per le cause storiche che si conoscono. Chiedere almeno la
solidarietà in nome della fratellanza, è il comando evangelico a essere
misericordiosi come il Padre. La misericordia costituisce il retroterra per
riconoscere un fratello nel bisogno e non passare oltre. Il terzo contesto è il
richiamo a Charles de Foucauld, un santo dei nostri anni che ha
saputo dare testimonianza feconda in forza della sua fede in Cristo, diventando
ultimo con gli ultimi del deserto africano fino a essere identificato come
“fratello universale” (nn. 286-287).
Quando
un cristiano va alla ricerca di un denominatore comune non lo fa prescindendo
dalla propria fede. A volte, è come se la mettesse tra parentesi per allargare
lo sguardo e trovare uno spazio in cui poter far confluire la maggior parte
delle convinzioni in modo tale da esprimere al meglio la sua ricerca. È questa
alla fine la vera dimensione della fede: una ricerca che non smette mai di
interrogare non solo i contenuti della fede, ma la realtà stessa a cui bisogna
dare una risposta. Una fede avulsa dalla realtà, che si concretizza nelle
diverse culture e nelle persone che le abitano, sarebbe una teoria, non la
risposta alla domanda di senso. In questo orizzonte è necessario porre la
dinamica stessa della fede che non si isola dal mondo creando bastioni
insormontabili per sentirsi sicura. La sicurezza le è già data dalla Parola di
Dio che la obbliga a seguire sotto l’azione permanente dello Spirito Santo
nuove strade. Tra queste c’è quella dell’incontro che la porta non
solo a guardare come la cultura di oggi impone, ma soprattutto
ad ascoltare ogni uomo e donna che incontra nel proprio
cammino, per trovare una via condivisa. Come annunciare il Vangelo oggi se le
categorie sono talmente differenti e ognuno sembra rinchiudersi sempre più in
se stesso senza voler entrare in relazione? Ricordare a viva voce che esiste
una fraternità vera, reale e originale che appartiene alla fede cristiana e
comunque trova riscontro in altre religioni e filosofie è un tentativo che i
cristiani non possono lasciarsi sfuggire. Ne va della credibilità della loro
presenza nel mondo globalizzato che mentre impone modelli spesso in contrasto
con le tradizioni dei popoli, richiede tuttavia la presenza di uomini e donne
che testimoniano ancora l’efficacia dell’amore per ogni singolo volto che
incontrano.
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