- di Luigi Sanlorenzo*
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Celebriamo il
risveglio degli Stati Uniti, che hanno combattuto e superato momenti drammatici
dopo l’avvento di Donald Trump. Il merito è anche dei pilastri fondamentali che
compongono la civiltà liberaldemocratica, che difendono ogni tentativo di
corruzione dei propri valori e rappresentano l’ultima barriera che contiene
l’infezione da populismo
Platone
l’esecrava e Aristotele non l’amava. Occorrerà attendere lo storico Polibio e
poi Marco Tullio Cicerone, un avvocato del Foro di Roma, per avere della
democrazia una descrizione positiva che poi si farà strada nel pensiero
filosofico e politico. In tempi non lontani è stata invocata, ottenuta,
ridimensionata, oltraggiata, negata, perduta e riconquistata.
Winston
Churchill ne coglieva i limiti ma ammetteva di non avere idea di una forma
migliore di convivenza e ne diventò il campione nell’Europa funestata dai
fascismi. Tra le due epoche ed oltre, esiste una bibliografia sterminata che il
lettore potrà facilmente reperire e che, pertanto, ometterò.
Oggi celebriamo
la democrazia come riconfermata pacificamente negli Stati Uniti che furono di
Donald Trump, anche se, con qualche esagerazione, qualcuno ha voluto accostare
la giornata del 7 novembre 2020 al 25 Aprile del 1945. Eccessi di retorica,
forse giustificati dalle grandi emozioni collettive che abbiamo vissuto durante
una lunga settimana: perché una cosa è proclamare la democrazia e altra
praticarne l’uso e proteggerne l’integrità. Ed è questa la ragione per cui è
opportuno riflettere.
Tralasciate le
definizioni scolastiche, l’etimologia della parola e le declinazioni peggiorate
da aggettivi non sempre appropriati, più utile può essere ragionare su quegli
elementi che possono preservarla e se, del caso, estenderla e migliorarla. Sono
gli “anticorpi” della democrazia cioè le difese che essa può mettere in campo
per opporsi ad ogni tentativo di corruzione dei propri valori se non di
annullamento dell’intrinseco significato cui il termine riconduce.
I tempi che viviamo
ci rendono familiare il lessico della biologia e della medicina e mai come oggi
si parla di anticorpi, di sistema immunitario, di difese dell’organismo e di
barriere, naturali o chimiche, contro l’attacco quotidiano che virus e batteri
sferrano ogni giorno contro tutti gli esseri viventi. Risulterà così più facile
analizzare il processo mediante il quale la democrazia si difende, sopravvive,
supera momenti drammatici o, per converso, si indebolisce, vacilla e soccombe.
Il primo e più
immediato riferimento è l’analisi del termine “anticorpo” che sta a significare
come ad un’entità sia pure microscopica si oppone a difesa un’altra di segno
contrario e portatrice di un contenuto cellulare diverso. Perché ciò avvenga è
necessario che quest’ultima esista, in base al principio logico di non
contraddizione che distingue A da non A. Applicato a ciò che ci occupa in
questo scritto, vuol dire essenzialmente che il principale anticorpo di cui la
democrazia dispone è la conoscenza e la consapevolezza di ciò che essa è e
delle potenzialità che possiede.
Se in una
società gli individui partecipano di una definizione, generica, vaga e
imprecisa, si è già in presenza di un forte deficit immunitario e il corpo
estraneo troverà facile breccia per farsi strada, assumendo due principali
caratteri: il populismo che fa leva sulle emozioni profonde e sulle pulsioni
istintive abilmente evocate e provocate e l’egalitarismo che azzera competenze,
meriti e valore, tradendo di fatto il termine “democrazia” specifico contesto
sociale e politico in cui non si è affatto tutti uguali, se non davanti alle
leggi contenenti diritti e doveri che autonomamente e liberamente essa ha
prodotto con il contributo di tutti e a tutela di ciascuno.
In ogni società
esistono i “migliori” per eredità genetica, capacità personali, inclinazioni
naturali, livello culturale, abilità nel fare le cose o nel farle accadere. Si
tratta di elementi che troppo spesso si vogliono far risalire al censo o alle
opportunità offerte dall’ambiente familiare e sociale; spesso non è così, come
dimostrano le biografie di personalità eccellenti provenienti da condizioni
sociali svantaggiate, contesti culturali carenti, situazioni familiari
devastanti. Allo stesso modo, esistono, senza giri di parole, i “peggiori”
portati naturalmente a negarsi ad ogni opportunità di migliorare se stessi e di
confidare, in modo parassitario, sull’assistenza da parte degli altri, pretesa
come un diritto.
Essi adducono
quale esimente del proprio destino il “sistema” quale entità astratta cui
attribuire le proprie sventure. Avvinti da bisogni crescenti ed incapaci di
emanciparsi, perché non educati ed aiutati a farlo, costituiscono il milieu in
cui si sviluppano le peggiori tentazioni antidemocratiche alimentate da quanti
sanno come costruirvi sopra il proprio successo personale.
L’anticorpo di
cui la democrazia dispone al riguardo è il concetto di pari opportunità quale
condizione di partenza offerta a tutti in egual misura e consistenza, lasciando
poi a ciascuno la libertà, ma anche la responsabilità, di farne tesoro in ogni
parte del mondo. Istruzione, formazione e internazionalizzazione agevolate, se
non gratuite, per i meritevoli meno abbienti sono i suoi migliori alleati e non
mancano mai, quando ben gestiti, di dare i propri frutti.
Spesso gli
ingenti fondi a ciò destinati sono stati stornati altrove o restituiti, con
vergogna, all’Unione Europea che ancora aspetta di capire come mai l’Italia
meridionale (cui si sono aggiunte nel 2020 anche Sardegna e Molise) sia ancora
tra le aree meno sviluppate del continente. Un argomento inoppugnabile che abbiamo regalato ai “paesi
frugali” che di quei fondi hanno fatto tesoro per decenni.
Tra i
“migliori” e i “peggiori” si estende il mare interno dei mediocri in cui
prevalgono la difesa di privilegi illegittimamente acquisiti, l’appartenenza
acritica a partiti o movimenti, il qualunquismo più cinico, il perseguimento di
interessi particolari, familiari o personali, messi davanti a tutto ciò che può
sapere di collettivo, di civile, di comunitario.
Denunciano ogni
appartenenza come deviata, ogni competenza come potere e, mentre attendono di
salire sul carro del vincitore di turno, pretendono di calpestare secoli di
cultura e di progresso scientifico esprimendo giudizi apodittici quanto banali,
che in altri tempi non avrebbero oltrepassato la soglia dell’osteria.
Oggi, come
tutti noi peraltro, essi hanno a disposizione i social media su cui
“pubblicano” rutti in forma scritta o video, con cui intendono mettersi in pari
con quanti fino ad allora hanno invidiato e snobbato e che oggi odiano. Forse
sarebbe meglio insistere sulla differenza tra “pubblicare” e “postare” per
ridimensionare il fenomeno e ricondurlo nell’alveo di opinioni che, con i limiti
invalicabili dell’insulto e della palese e morbosa oscenità, tali sono e
rimangono, se non suffragate da studi adeguati, faticosi approfondimenti,
antiche e recenti letture, concrete esperienze professionali e di vita.
È la democrazia
dei “like” come qualcuno ha voluto connotare la nostra epoca. E dai “like” alle
piattaforme digitali che hanno sostituito il processo di selezione delle classi
dirigenti oggi magna pars nel governo del Paese, il passo è
breve. Medesimo ragionamento può essere fatto su influencer di
vario genere e personaggi televisivi che avrebbero solo l’imbarazzo della
scelta se volessero candidarsi a ruoli cruciali per la vita democratica del
Paese.
La chiamano
“democrazia diretta” e su tale altare vengono sacrificati secoli di elaborazione
critica, di riflessione filosofica o religiosa, di testimonianze concrete del
ruolo svolto dalle Idee nel progresso dell’Umanità. Dal mancato rispetto del
già citato principio di non contraddizione che impone di distinguere tra ciò
che è e ciò che non è , spesso accompagnato da un ruolo non sempre obiettivo e
trasparente dell’informazione, origina l’assenza del principale anticorpo posto
a difesa della democrazia. Il bastione è stato demolito e i nemici della
democrazia possono procedere nella propria strategia di attacco.
Una seconda
famiglia di anticorpi è costituita dai cosiddetti “valori non negoziabili”
posti a fondamento di ogni democrazia e quasi sempre fissati in carte
costituzionali su cui si innestano ogni successiva attività legislativa, la legittimità
dei comportamenti individuali e sociali, i limiti del potere, i contrappesi
istituzionali.
Va detto chiaramente che l’evoluzione della società, il mutamento dei costumi,
l’emergere di nuove soggettualità politiche e di nuove aspirazioni ideali hanno
il proprio limite invalicabile nel rispetto dell’integrità fisica e spirituale
di ciascun individuo e nel suo diritto a difenderla direttamente nei limiti
consentiti e, in ogni altro caso, a vederla difesa dallo Stato
democratico.
In quanto
strettamente legato alla dignità di tutti gli esseri umani, l’elenco dei valori
non negoziabili contiene tutto ciò che fa crescere una società in tale
direzione ed espelle con determinazione tutto ciò che limita e minaccia tale
spinta vitale tesa verso il miglioramento della condizione umana, come
correntemente intesa nei paesi democratici.
Fermi i valori
non negoziabili, contenuti in Italia nella parte iniziale della Costituzione
repubblicana del 1948 i cui primi dodici articoli sono immodificabili, la
dinamica legislativa si esprime senza ulteriori condizionamenti ed ha lo scopo
di attualizzare nella forma e mai nella sostanza quei principi fondamentali per
renderli fattuali e misurane nel tempo l’efficacia sull’evoluzione della vita
comunitaria.
Qui entra in
gioco ancora una volta la dialettica democratica che, garantita dalla citata
permanenza dei valori fondamentali, è tenuta ad applicare il principio della
legittimità degli atti legislativi e regolamentari, secondo la volontà espressa
dalla società in libere elezioni in cui si sono confrontate forme diverse di
attuazione dei diritti e di rispetto dei doveri. Forme attuative, ribadisco, e
non modificative dei valori fondativi.
Tale vigilanza
è affidata, com’è noto, al vaglio del Presidente della Repubblica nel momento
della promulgazione e in un’ultima istanza alla Corte Costituzionale, se adita
nelle forme previste da chi ne ha titolo.
Tuttavia tale sofisticata architettura voluta dai Padri Costituenti spesso
viene aggirata da interventi legislativi o di decretazione d’urgenza ad opera
del Governo o, come in casi che ormai conosciamo bene, del Presidente del
Consiglio, absolutus, cioè sciolto da ogni legame, una volta che
sia stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale.
Va detto una volta per tutte che anche tali decisioni, che vogliamo credere
essere sempre urgenti, indifferibili e nell’interesse supremo del Paese, non
possono oltrepassare i confini costituzionali né sospendere le libertà
individuali garantite dalla Repubblica. Qualsiasi cedimento in tale direzione
fa cadere come birilli una serie di anticorpi essenziali per la vita
democratica e consente l’avanzamento di parecchi metri a chi sta scavando una
galleria di mina sotto i bastioni.
È a tale punto
che intervengono altri anticorpi che, impossibili da fissare sul vetrino del
microscopio legislativo, rappresentano l’ultima barriera all’infezione. Si
tratta della vasta gamma dei comportamenti individuali assunti da ciascuno come
parte integrante dell’identificazione nel contesto sociale. Non potendo essere
regolati né, grazie al cielo, controllati o sanzionati dall’impianto normativo,
essi sono espressione dei principi di autonomia e di responsabilità e del grado
di civismo raggiunto e praticato dalla cittadinanza.
Volendo essere estremamente chiari, significa che una collettività che rispetta
le leggi per timore delle sanzioni mentre le aggira con furbizia ed espedienti
è la più esposta al rischio del tramonto della democrazia. A maggior ragione se
assume tali comportamenti come protesta verso disposizioni che non ritiene le
appartengano perché espresse da una maggioranza politica rispetto alla quale si
percepisce come oppositrice.
È il crollo dell’architrave democratica che si regge proprio sul riconoscimento
della volontà della maggioranza, cui può e deve opporsi il dibattito politico e
il diritto di manifestazione pubblica ma mai l’inosservanza o la violazione
della legge, finché la medesima è in vigore. Ci fu chi bevve volentieri la
cicuta per non contraddire tale profondo convincimento.
I comportamenti
individuali sono dunque l’ultima spiaggia della democrazia, quella più esposta
ai frangenti dell’umore popolare, all’azione di erosione da parte di persuasori
più o meno occulti e dei mestatori di caos e disinformazione. Bene ha fatto la
libera stampa degli Stati Uniti d’America a riportare le dichiarazioni
improvvide di Donald Trump ma contestualmente a stigmatizzarne l’inconsistenza
probatoria. In Italia sarebbe stato impossibile e ciò aprirebbe nuove e più
approfondite riflessioni anche sulla terzietà dell’informazione nostrana. Ma
non qui e non ora.
Da cosa sono
dettati i comportamenti individuali in una democrazia in buona salute? Innanzitutto,
dal pieno convincimento dell’esistenza di un patto che, oltre a quelli scritti,
fonda la convivenza civile e la mette al riparo dal diritto del più forte,
delle menzogne del più furbo, dalle seduzioni del più convincente. Il paradosso
è che mentre tale logica viene accettata e pretesa ad ogni livello sociale
dalla stragrande maggioranza dei tifosi sportivi, è rifiutata da molti nella
vita di tutti i giorni.
La ragione non
è arcana: lo sport si fonda sulla passione ed è amato e rispettato, la
democrazia non è ancora, nel nostro paese, oggetto di tali sentimenti e viene
percepita da molti più come una tecnicalità politica che come un valore, più
come uno strumento che come un fine ideale in progressiva realizzazione. Come
ogni amore ha nell’affidamento al partner il proprio principale anticorpo per
la tenuta del rapporto, anche nell’esercizio della democrazia la fiducia non è
solo un sentimento ma anche una tappa formalizzata per l’esercizio del potere e
il collante tra le istituzioni chiamate in solido a perseguire lealmente, ai
diversi livelli territoriali ogni miglioramento. Ne ho scritto.
I fatti di
questi giorni e il conflitto permanente tra stato e regioni e tra di esse in
merito alla zonizzazione della situazione epidemiologica sono il peggiore colpo
che possa essere inferto alla democrazia. Un’intera batteria di anticorpi è
stata bruciata in poche settimane.
Ne pagheremo il
prezzo in termini di credibilità dell’intera compagine governativa, di
ulteriori diseguaglianze tra i territori della Repubblica e, soprattutto, come
caduta dell’indice di affidabilità delle istituzioni. Una catastrofe non
inferiore a quella sanitaria poiché la capacità di affrontare quest’ultima è
funzione dell’operato dei decisori politici che non possono e non devono
nascondersi dietro un algoritmo cromatico.
Il fenomeno
della sottovalutazione della democrazia non riguarda tutti ma trova
manifestazione laddove sin dall’atto originario, l’espressione del voto, tale
esperienza è vissuta all’insegna della superficialità e spesso con il ricatto
sui bisogni primari, scientemente mantenuti tali in molte aree geografiche,
perché unico modo di nascondere l’incompetenza e l’inadeguatezza di singoli e
di partiti sostituendovi forme di protezione di questo o di quell’interesse
particolare.
Quanto vale un
singolo consenso in alcune periferie italiane? In media, secondo le indagini
svolte dalle Forze dell’Ordine nei casi conclamati di voto di scambio, una
ventina di euro, spesso anche meno. Ed è gratis davanti a promesse di piccoli o
grandi vantaggi assicurati al singolo, magari in danno della collettività.
Troppo ampia è la casistica per trarne alcuni esempi, ma mi colpì a suo tempo
l’indignazione di un noto politico che in anni non troppo lontani ebbe a dire
«Quanti parroci hanno venduto il proprio voto ed impegnato la propria influenza
per vedere realizzato un campetto di calcio?»
L’ultima serie
di anticorpi della democrazia è costituita dal complesso degli atti ricompresi
nella categoria della solidarietà universale ed è ciò per cui ciascuno
riconosce kantianamente nell’altro l’intera Umanità, quindi se stesso, e come
tale agisce senza bisogno di una legge, di un regolamento, di una sanzione che
lo costringa a qualcosa che non percepisce come valore. Quando la casa brucia
non sono solo i Vigili del Fuoco a salvare le persone ma anche coloro che,
nell’attesa, immediatamente si lanciano tra le fiamme per aiutare chi è in
difficoltà.
Quale molla
scatta in un giovane immigrato, magari considerato clandestino, per farlo
tuffare in un canale traendone un bambino che sta annegando o per consegnare ad
un poliziotto un portafogli smarrito? Cosa induce una nazione in piena
emergenza sanitaria a non negare assistenza in mare a chi fugge verso un futuro
migliore?
Cosa può portare un popolo ad osservare le regole, a collaborare con la
giustizia, ad essere guardiano della legalità, ad autoimporsi limitazioni alla
libertà individuale nel superiore convincimento di fare la cosa giusta,
innanzitutto per la comunità di cui si sente parte viva ed attiva? Soltanto il
possesso di una profonda spiritualità civile e la democrazia è una religione
laica che non conosce chiese, sinagoghe o moschee ma solo la dimensione della
solidarietà tra esseri consapevoli della propria e dell’altrui finitudine.
Esiste una cura
per fortificare gli anticorpi della democrazia? Un complesso vitaminico che
somministrato costantemente rafforzi le difese immunitarie insidiate dagli
egoismi, dai particolarismi, dall’ignavia e dall’indifferenza nei confronti
degli altri? Bastano alcune alte autorità morali a ricordare che tra gli
scartati dalla società fanno proseliti i principali nemici della democrazia?
Basterà quell’esercito di maestri elementari invocato da Gesualdo Bufalino, se
poi i migliori insegnamenti verranno rinnegati in famiglia tra le mura
domestiche? Abbiamo abbastanza guide che accompagnino in età adulta la crescita
della consapevolezza democratica? Nel dubbio ne ho scritto qualche tempo fa.
Nel gorgo della
pandemia, come in un gigantesco maelstrom, si corre il rischio
che emergano i fantasmi del passato, trascinando sul fondo i vecchi ritenuti
inutili, i disabili considerati costosi, i giovani lasciati preda di cattivi
maestri sin dalla più tenera età. Un tempo, almeno, nel corso di un naufragio
risuonava il grido “Prima le donne e i bambini! “ quasi rassegnandosi a salvare
la generatività futura, sacrificando il passato. Quasi mai succedeva e tutti
tranne i più coraggiosi si accalcavano sulle scialuppe.
La verità è che
non esistono alternative a salvarsi tutti insieme. O meglio, ne esiste solo una
ed è quella di perdersi tutti insieme. In tale drammatica prospettiva l’unica
arca a disposizione è la difesa della democrazia, rafforzandone le paratie
perché resistano ad abbietti demolitori e alle onde suscitate dal vento panico
di una società smarrita che sull’orlo della disperazione potrebbe anche
accettare di vendere la propria anima al primo diavolo di passaggio che sa come
illudere la fragilità della natura umana. In caso contrario a naufragare sarà
l’intera umanità per come ci è stata raccontata.
In un articolo
pubblicato dal quotidiano Avvenire il 13 ottobre del 2006, sir Ralph
Dahrendorf, il politologo di estrazione liberale scomparso nel 2009 e autore di
“Quadrare il cerchio: benessere economico, coesione sociale e libertà politica”
scrisse: «Bisogna poi stare attenti alla falsa democrazia i cui rappresentanti
in realtà non danno ascolto alla voce della gente. La repubblica di Weimar è
stata correttamente definita come una democrazia senza democratici ed è questa
una delle ragioni per cui non è durata. Il suo contrario offre forse maggiori
speranze. Anche se non possiamo avere una democrazia mondiale e neppure
europea, almeno abbiamo i democratici: persone coscienti dei propri diritti che
prendono sul serio la responsabilità di difenderli attivamente».
La democrazia è
un’idea filosofica venuta da lontano e, nonostante abbia sulle spalle
duemilacinquecento anni, affascina ancora il mondo, può salvarlo dagli errori
che esso stesso ha commesso e riaprire il sentiero, pur costellato di dolori
individuali e sociali, verso quella cima che abbiamo imparato a chiamare
resilienza e che con nomi diversi ha salvato i superstiti nel corpo e nello
spirito di altri tremendi riti di passaggio tra un’epoca e un’altra della
storia. Se con determinazione, la democrazia e la solidarietà diventeranno per
tutti sentimenti profondi e istinti perfino più potenti di quello della
sopravvivenza, allora anche la prova che stiamo affrontando avrà avuto il
significato di un insegnamento profondo in grado di generare una nuova umanità.
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