Già sappiamo
purtroppo che questa generazione di studenti pagherà alla pandemia globale un
conto elevato, con perdite gravi di apprendimenti, di competenze, di socialità,
che avranno riflessi negativi sulla loro vita e il benessere economico futuri.
In Italia, a quella lunghissima in primavera, oggi si aggiungono nuove chiusure
delle scuole. Mentre si scrive sono ancora parziali, in quanto differenziate
per grado scolastico e per territorio in relazione alla gravità del contagio
(alcune regioni, però, hanno già chiuso ogni istituto), ma non si può escludere
che possano diventare presto generalizzate e durare oltre Natale. Nell’ipotesi
migliore, l’anno scolastico sarà a singhiozzo, con nuovi pericoli e perdite a
danno di un processo essenzialmente cumulativo com’è l’istruzione. Quanto
elevato sarà il conto per gli studenti italiani ancora non sappiamo e sarà
difficile scoprirlo, avendo perso l’occasione di usare a questo scopo uno
strumento che era a disposizione, le prove Invalsi.
Nonostante
tutto, è comunque un bene che il tema della learning loss, la perdita di
apprendimenti, sia infine diventato oggetto di dibattito pubblico, lasciando
indietro temi più futili, dal plexiglas ai banchi a rotelle. 26/11/2020
Formazione obbligatoria per superare l’improvvisazione U.n’altra cosa che
ancora non sappiamo è in quale misura la didattica a distanza (Dad), ora
rinominata didattica integrata digitale (Did), sia riuscita a mitigare la
perdita di apprendimenti durante il lockdown. In attesa di capirne di più,
resta il fatto evidente che – piaccia o meno – la didattica online continuerà a
tenerci compagnia a lungo. Tutti speriamo che ciò avvenga, laddove l’emergenza
sanitaria lo consenta, grazie a una sua efficace integrazione con le attività
didattiche in presenza. In questo caso, sarà una prima, sia pur forzata,
sperimentazione di quelblended learning, che mette appunto insieme
apprendimenti in presenza e online: una strada seguita già prima della pandemia
da sistemi scolastici più aperti al rinnovamento della didattica. E con
risultati promettenti, sebbene in attesa di nuova solida conferma.
Ma potrebbe
anche darsi che la didattica online torni a essere l’unica risorsa per fare
scuola, pur sapendo che non può efficacemente sostituirsi del tutto alle
attività in presenza. Si pensi – per fare un solo esempio - alle lezioni
laboratoriali che sono al centro dei percorsi formativi di istituti tecnici e
professionali. In entrambi i casi, è ormai tempo che di didattica online, di come
farla e come migliorarla, si parli in modo più laico, come si propone di fare
questa guida del Sole 24 Ore. E come, invece, non si è fatto nei mesi scorsi,
quando è quasi diventata il termometro degli umori mutevoli del Paese rispetto
alla scuola in tempi di Covid.
Si è partiti
da una narrazione che nelle prime settimane esaltava l’impegno dei docenti
nella Dad (che davvero è stato generoso), ma dimenticava talvolta sia i troppi
studenti che di fatto ne erano esclusi, sia quanto improvvisata e talvolta limitata
fosse l’offerta delle scuole. Ben presto si è arrivati, però, sulla spinta
della richiesta da parte delle famiglie per una completa riapertura delle
scuole e di alcuni autodafé di intellettuali, a una demonizzazione della
didattica online: inadeguata, inefficace, iniqua, una parentesi da dimenticare
subito, senza alcuna lezione da apprendere. Nelle pagine seguenti si
comprenderà meglio perché la didattica online non è una medicina cattiva né una
panacea, ma una risorsa da analizzare criticamente e migliorare. Per il salto
di qualità credo serva, però, condividere alcuni presupposti che permettano di
andare al di là dell’esperienza dei mesi scorsi. Provo, in chiusura, a metterne
in fila alcuni.
In primo luogo, smettiamo di pensare – come ancora spesso avviene – che la didattica online sia fare una videoconferenza che riproduca in tempo reale una tradizionale lezione ex cathedra. Ci sono strade più promettenti, nei tempi e nei modi. La ricerca internazionale conferma, infatti, che ciò che davvero importa non è tanto che l’apprendimento avvenga “in sincrono” (in tempo reale) piuttosto che in altri momenti e formati, quanto che la proposta del docente fondi la sua qualità anche su alcuni ingredienti didattici ricorrenti, che già sono importanti in presenza e lo diventano di più in quella online e nelblended learning.
Fra questi, fondamentale è la qualità della programmazione, delle
spiegazioni strutturate e dei feedback da dare agli studenti, che in ogni
momento anche a casa devono sapere a che punto si trovano. Non meno rilevante
per gli esiti dell’apprendimento è insistere sul lavoro autonomo di ciascun
allievo e sul lavoro collaborativo fra pari, all’interno di “cordate” online
fra compagni di classe. In secondo luogo, non va abbassata la guardia sui
rischi che – anche dopo il primo lockdown – ci siano studenti ancora tagliati
fuori.
Nonostante
investimenti importanti del ministero soprattutto in device per gli allievi,
restano problemi tecnologici, inclusa per molte scuole la qualità del
collegamento. Allo stesso modo, servono strategie specifiche per “tenere a
bordo” gli studenti con disabilità e con bisogni educativi speciali, allorché la
didattica in presenza – per loro in generale ancora più utile – diventi
impossibile. Infine - è banale, ma va ripetuto dopo l’inerzia colpevole degli
ultimi cinque mesi – i miglioramenti che potrebbero traghettare la didattica
online dall’improvvisazione a una prima maturazione si ottengono solo con un
urgente programma di formazione obbligatoria dei docenti.
* Direttore
della Fondazione Agnelli P.I.
Scuola24.ilsole24ore.com
Nessun commento:
Posta un commento