“Il miglior modo per distruggere un adolescente
è quello di non dare limiti.
Vi spiego come funziona
il suo cervello”.
INTERVISTA ad Alvaro Bilbao
“Il miglior modo per
distruggere un adolescente – scrive nel suo libro – è quello
di non dare limiti, a casa e a scuola”. Eppure, più che una critica verso
le nuove generazioni di adolescenti, dalle 256 pagine del libro “Come
funziona il cervello di un adolescente. Consigli per prepararsi alla vita
adulta”, dell’autore spagnolo Alvaro Bilbao, edito da Salani e
appena uscito nelle librerie, traspare un grande amore e una grande
stima verso ragazzi e ragazze: “Lavoro con loro da anni – ci
conferma in questa intervista – e dico che gli adolescenti del 2025 mi
piacciono molto: sono collaborativi, creativi e anche molto sensibili nei
confronti delle diversità e dei bisogni degli altri, almeno nella maggior parte
dei casi”.
Alvaro Bilbao è
neuropsicologo e psicoterapeuta, padre di tre figli. Si è formato in centri
prestigiosi come il Johns Hopkins Hospital, il Kennedy Krieger
Institute di Baltimora e il Royal Hospital for Neurodisability
di Londra. Ha collaborato con l’Organizzazione Mondiale della
Sanità, insegna in varie università della Spagna. Del suo
lavoro dice: «Ogni volta che ricevo un nuovo paziente, scrivo un libro o tengo
una lezione, spero che la mia conoscenza del cervello possa aiutare le persone
a migliorare le loro vite”.
Tornando alla frase
iniziale, colpisce molto il lettore l’immagine esposta nel libro laddove
l’autore traccia un confronto tra gli adolescenti che fummo e gli adolescenti
di oggi. Tante regole e poco affetto ricevuti un tempo dai propri genitori.
Tanto affetto e poche regole, il fenomeno di oggi. Da un estremo all’altro.
L’atteggiamento dei genitori determinava un tempo nei figli una scarsa
autostima, ma al contempo stimolava in loro la produzione di grande capacità di
risolvere i problemi quotidiani: Vi si legge: “Gli studi indicano che, se
tale affetto non è accompagnato da regole e disciplina, può causare un altro
tipo di problemi. Molti ragazzi e ragazze di questa generazione hanno ricevuto
tanto affetto, ma ben poca disciplina. Forse non a tutti è successo così, ma a
molti ragazzi e ragazze di oggi i genitori hanno comprato un altro gelato
quando il loro è caduto a terra, sono andati a recuperare di persona il pallone
dalla vicina o hanno scritto un messaggio nel gruppo per chiedere notizie sui
compiti dei figli. Magari, insisto, non è successo a tutti, ma gli studi hanno
dimostrato che da un po’ di tempo a questa parte i bambini e le bambine hanno
avuto minori opportunità di risolvere i propri problemi da soli o di imparare a
gestire le naturali frustrazioni della vita, e ciò può lasciare un’impronta
nella capacità dei ragazzi e delle ragazze di risolvere i loro problemi e di
essere più resistenti”.
E’ un libro che
contribuisce a comprendere non solo il cervello degli adolescenti, ma anche le
loro aspirazioni, le paure, gli errori possibili, l’ansia da prestazione e le
fobie sociali, i segnali che portano al suicidio, il bisogno di conoscere e
soprattutto quello di autoconoscersi, il ruolo degli adulti di
riferimento, specie i genitori, che devono sorvegliarli ma sempre con la dovuta
distanza e discrezione – spiega lui –allo scopo di non neutralizzare il
processo di autonomia di cui hanno bisogno e diritto. E’ un libro che manda
segnali diretti e indiretti alla scuola e agli insegnanti, allude alle
dinamiche della classe, alla competizione che talvolta deborda dai limiti: “Sono
certo che l’abbiate sperimentato in un gran numero di situazioni. Per esempio,
nel caso degli studenti succede quando si ricevono i risultati di un compito in
classe. Prima ancora di controllare se si è preso un bel voto o un brutto voto,
la tendenza è di informarsi su che voto hanno preso i compagni. Ecco perché,
quando si è preso un 7 e tutti gli altri hanno preso un’insufficienza la
soddisfazione è maggiore rispetto a prendere 8 quando gli altri hanno preso 7.
Il nostro cervello ha un meccanismo che ci porta a controllare e a paragonarci
di continuo agli altri”.
E’ un libro scritto bene,
con competenza scientifica e buona capacità narrativa. Coinvolge astutamente il
lettore, sia egli un genitore o un insegnante o un terapeuta o anche un
adolescente che vi può trovare spunti preziosi, specie nella seconda parte, laddove
l’autore affronta con molto ottimismo ma senza dimenticare il rigore delle
regole, il tema del futuro dei nostri ragazzi, quello delle necessarie anzi
indispensabili relazioni e delle compagnie che meritano di essere coltivate e
di quelle che sarebbe invece preferibile evitare quando dimostrano di essere
tossiche, senza dimenticare il tema dell’orientamento verso gli sbocchi
professionali. Certi consigli mirano a smorzare la tendenza a caricarsi di
ansia e di stress, di cortisolo dannoso: “La vita – vi si legge
– non è una partita a tennis non è necessario rispondere a ogni pallina”.
Secondo il quotidiano
spagnolo El Pais, “Alvaro Bilbao si conferma fenomeno editoriale e
punto di riferimento del parenting. Riferendosi al volume scrive
che “questo libro contiene consigli e suggerimenti basati sulle più recenti
scoperte della neuropsicologia per guidare nel percorso verso l’età adulta”.
Nelle pagine che seguono, si legge nell’introduzione, troverete metafore,
racconti e riflessioni che vi aiuteranno a trovare le parole giuste per parlare
con i ragazzi dei temi per loro importanti in questa fase della vita. Potreste
anche trovare delle idee in grado di aiutarvi a comprendere aspetti rilevanti
che forse nessuno vi ha spiegato quando avevate la loro età. Come costruirsi
una vita felice? Come orientarsi nella scelta degli studi? Come gestire il
primo amore o il primo rifiuto? Perché è importante ascoltare il corpo e saper
leggere le emozioni? Álvaro Bilbao ha già spiegato in altri libri come funziona
il cervello dei bambini. Ora spiega come funziona quello degli adolescenti che
tanto cambiano le vite di genitori, con chiarezza espositiva e con la ricchezza
di esempi concreti messi a punto nella sua pluriennale esperienza sul campo”.
Professor Alvaro Bilbao,
come sono gli adolescenti del 2025?
“Il cervello degli
adolescenti è molto sviluppato dal punto di vista emotivo; quindi, ci troviamo
davanti ad adolescenti che hanno una grande carica emotiva ma anche una scarsa
capacità di gestire le emozioni e di risolvere i problemi. Ma io lavoro con
loro e dico che gli adolescenti del 2025 mi piacciono molto sono collaborativi,
creativi e anche molto sensibili nei confronti delle diversità e dei bisogni
degli altri nella maggior parte dei casi”.
Lei scrive che i genitori
devono continuare a essere presenti ma non come i compagni inseparabili che li
hanno accompagnati il primo giorno di scuola o che hanno insegnato loro ad
allacciarsi le scarpe. Ora il loro ruolo è un altro, “più simile a un porto
sicuro a cui possono tornare quando sono tristi o preoccupati, a una persona
saggia a cui chiedere consiglio quando sono confusi o disorientati, e a una
rete di salvataggio che può dar loro una mano o mettere un limite se vediamo
che stanno cadendo nel vuoto e hanno bisogno della nostra protezione per non
farsi male”.
“Penso che lei abbia hai
riassunto molto bene il senso del libro. Con i nostri figli adolescenti
dobbiamo essere sì presenti nelle zone condivise salotto ma dobbiamo al
contempo lasciare che passino il loro tempo nella camera da soli o a dialogare
con gli amici o davanti a uno schermo affinché sviluppino i propri interessi.
Bisogna inoltre permettere di studiare a modo loro. Ognuno ha un proprio modo
di studiare: le ragazze ad esempio sottolineano, fanno gli schemi, strutturano
bene gli argomenti, i ragazzi sono più disorganizzati, basta guardare i
quaderni. Ognuno di loro ha un proprio stile. Noi genitori abbiamo il dovere di
essere presenti e dobbiamo assicurarci di avere un controllo sui loro libri,
sugli esami ed essere presenti per poter loro offrire sicurezza, limitandoci a
parlare in cucina e o nel salottino. Possiamo anche provare ad ascoltare una
loro lezione, sempre che lo chiedano, dobbiamo offrire un supporto ma non
bisogna mai essere ansiosi, è importante evitare l’apprensione. Tanti genitori
trasmettono molta ansia, altri sono molto assenti. Il lavoro dei genitori
dipende dai bisogni dei figli”.
Lei sostiene che una
delle cause che sta contribuendo all’aumento dei disturbi di salute mentale tra
i ragazzi e le ragazze ha a che vedere con il modo in cui noi
genitori educhiamo i nostri figli. Un tempo i genitori dedicavano ai figli
poco affetto ma tante regole, con ricadute negative sull’autostima, ma
imparavano in fretta a risolvere da soli tanti problemi della vita quotidiana e
scolastica. Si è passati da un estremo all’altro?
“Sì. Abbiamo confuso la
gentilezza con la permissività. Spiego sempre ai genitori che l’opposto di una
educazione estrema non è l’educazione estrema al senso contrario ma
un’educazione equilibrata dove ci sono norme, affetto e gentilezza. Un tempo Ma
imparavano anche molto in fretta a togliersi le castagne dal fuoco perché non
c’era nessuno che li aiutasse a farlo. Se ti cadeva un gelato, dovevi imparare
a gestire la frustrazione perché i genitori dell’epoca non te ne avrebbero
comprato un altro. Se non ti ricordavi di fare i compiti, non c’era la salvezza
del gruppo WhatsApp, dovevi andare a scuola senza i compiti fatti”
Dal libro emerge che la
vita non è un’isola del tesoro è un cambiamento fin
dall’attimo in cui si nasce e anche un continuo cammino e dunque gli
adolescenti devono essere rassicurati circa il fatto che nel corso di questo
cammino conosceranno ogni tipo di persona e di ostacolo e loro saranno in grado
di affrontarli, ciascuno a modo proprio.
“Più che un’isola del
tesoro la vita è un cammino pieno di alberi, montagne e pianure, giorni aridi e
giorni piovosi, giorni freddi e giorni caldi, giorni faticosi e giorni meno
faticosi. L’adolescenza è una fase difficile per molti perché occorre far fronte
a molti cambiamenti. Per la prima volta gli adolescenti si trovano di fronte a
decisioni trascendentali e ad ostacoli difficili, lo studio non è più un
semplice apprendimento. Ciò che dobbiamo insegnare loro è che fa parte
dell’esistenza superare le difficoltà se vogliamo trovare la nostra strada e
risolvere i problemi”.
Lei scrive nel libro che
la prima cosa che ti insegnano quando entri in un programma di neuropsicologia
e inizi a studiare il cervello è che non esistono due cervelli uguali. Tutti i
cervelli sono composti dalle stesse parti e, tuttavia, ogni cervello è unico e
diverso dagli altri. Eppure, i programmi scolastici e la didattica, al di là
delle attenzioni rivolte agli studenti con difficoltà certificate, spesso non
tengono conto della diversità delle varie intelligenze presenti in una classe e
pretendono la stessa prestazione per tutti.
“La maggior parte dei
docenti rivendica la necessità che le classi siano più piccole così da poter
offrire una didattica personalizzata. Vero è che quando i bambini sono più
piccoli i bisogni sono omogenei: somme e moltiplicazioni sono strumenti di
base, ma via via che si arriva all’adolescenza ci si accorge che uno dei
compiti dell’adolescenza è la specializzazione. Abbiamo ragazzi e ragazze che
sono leader o pacificatori, inclini allo sport o inclini alle arti e cos’ via,
dunque la cosa migliore sarebbe che i programmi fossero più vari per favorire
la specializzazione per ogni alunno”.
La scuola punta alla
conoscenza, oltre che alle competenze. Ma qual è la differenza tra la
conoscenza e l’autoconoscenza, alla quale lei dedica molte pagine del volume?
“L’autoconoscenza
comporta la conoscenza dei punti di forza e dei punti debolezza dei nostri
adolescenti, quello che li fa arrabbiare o accendere positivamente, del gruppo
che ci circonda. E’ una conoscenza diversa perché non si affida solo alla
memoria ma soprattutto ricorre all’intuizione l’autoconoscenza è la migliore
pillola che una persona possa prendere per prevenire e risolvere
molti dei suoi problemi.
Per loro è difficile perché ancora devono sviluppare un’identità che devono
svilupperanno poco a poco e questo è difficile perché gli esseri umani non sono
sono semplici ma sono complessi: possono essere timidi ma al contempo volere
stare con gli altri, possono essere felici ma sensibili per le sofferenze
altrui, quindi conoscersi implica un lavoro complesso al contrario della
semplicità”
Gli adolescenti sono
continuamente in preda alle emozioni. Come fare per aiutarli a controllare le
emozioni?
“Sono importanti due
cose. La prima: servono precisi limiti esterni. Il miglior modo per distruggere
un adolescente è quello di non dare limiti, a casa e a scuola. Dobbiamo imporre
dei limiti circa il tempo da trascorrere sugli schermi, sulle le ore di sonno
minimo. E come genitori e docenti dobbiamo mettere limiti anche su come si
debbano trattare gli altri, limiti chiari così che li possano percepire e
imparare. Spesso i docenti piu severi ottengono più rispetto da parte degli
studenti”.
Ma ai docenti si chiede
anche di essere empatici
“Certamente, l’empatia
consente di creare una buona relazione. Tuttavia possiamo essere empatici nei
confronti di un alunno che si è impegnato e che magari non ha ricevuto la
valutazione che si aspettava. Ma un alunno che ci ridicolizza non necessita di nessuna
empatia o che gli chiediamo: ti piace ridicolizzarmi. Quello che
occorre a questa persona è un limite”.
Piccoli invita i genitori
ad abituare i bambini e ragazzi a piccoli esercizi quotidiani, come rifarsi il
letto.
“Serve per disciplina”.
Dal libro: “Se un adolescente non si rifà il letto prima di uscire di casa,
dovrebbe iniziare da
domani stesso! Farsi il letto non è solo una buona abitudine perché lo aiuterà
a vedere la sua stanza più in ordine (e questo porterà maggiore calma e ordine
mentale), ma anche perché lo aiuterà a iniziare la giornata in modo disciplinato.
Questo piccolo gesto può sembrare insignificante, ma la verità è che in questo
modo si manda al cervello un messaggio molto importante: «Porto a termine le
mie mansioni». Quando uscirà di casa, sentirà di aver iniziato la giornata
facendo qualcosa di positivo per se stesso e avrà abbastanza fiducia da
continuare a portare
a termine i suoi compiti
per il resto del giorno. Inoltre, se le altre cose che deve fare quel giorno
non andassero come sperava, una volta tornato a casa saprà di aver fatto almeno
qualcosa di positivo e proverà un certo orgoglio e la sensazione di avere il
controllo sulla sua vita”.
Lei scrive nel libro:
“Viviamo in un’epoca difficile per molti giovani. È sconvolgente il numero di
ragazzi e ragazze che si sentono senza speranza o demotivati. Inoltre, nei
paesi occidentali, è anche aumentato in modo allarmante il numero di suicidi tra
gli adolescenti e i giovani”. Che cosa devono fare i docenti e i genitori
davanti a certi segnali?
“E’ un tema molto serio
che né i genitori, né i docenti devono prendere sottogamba come se sia uno
scherzo. Se esiste un desiderio di morte occorre andare a capire e far sì che,
se c’è una minaccia reale, venga intercettata.”
Una parte del volume è
dedicata al futuro dei giovani. A questo proposito lei si sofferma molto sul
tema dell’orientamento verso gli sbocchi professionali. Lei consiglia di
scegliere usando la pancia più che la testa. E’ così?
“Alcuni adolescenti hanno
bene in testa cosa vogliono fare da grandi altri hanno invece bisogno di un
supporto. E’ importante che loro riflettano molto sulle cose in cui riescono
meglio. Sì, il processo decisionale dev’essere più di pancia che non freddo e
di testa”. Dal libro: “La migliore strategia che si può usare per
trasformarsi in persone davvero brave a prendere decisioni (dopo aver ascoltato
la pancia) è davvero facile: consiste semplicemente nel prendere decisioni.
Quello che avete appena letto può sembrare una sciocchezza, ma gli studi hanno
dimostrato che i ragazzi e le ragazze che prendono le decisioni migliori sono
quelli e quelle che lo hanno fatto fin da piccoli. Che hanno deciso cosa
indossare, a cosa giocare o come organizzare il proprio tempo. Invece, i ragazzi
e le ragazze che nel corso della vita hanno seguito le decisioni ritenute
migliori dai loro genitori di solito, una volta adulti prendono decisioni
peggiori”. E ancora: “Nella mia esperienza professionale, le persone più
felici a livello lavorativo sono quelle che, quando devono decidere, ascoltano
le proprie emozioni e tengono conto sia dei loro talenti sia di ciò che gli
altri gli chiedono. Le più insoddisfatte, le più pentite, sono quelle che,
quando hanno dovuto scegliere, si sono unicamente basate sugli sbocchi
professionali o sull’opinione dei loro genitori. Facciamo in modo che i ragazzi
non appartengano a questo secondo gruppo”.
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