di Ventotene
il tentativo
di coniugare
Stato e mercato
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di Roberto Petrini
-
Il
tentativo di dipingere il Manifesto di Ventotene come un testo biecamente
statalista, nemico della proprietà privata e del mercato è maldestro e
grossolano. Ernesto Rossi, autore del Manifesto insieme a Altiero Spinelli ed
Eugenio Colorni, scrisse il terzo capitolo del volumetto, quello dedicato ai
cruciali temi economici. Ernesto Rossi era un liberal-socialista o, se si
preferisce, un socialista liberale, era amico e discepolo di Luigi Einaudi dal
quale apprese la cultura economica liberale ed anche le pulsioni sociali volte
a mitigare le asprezze del mercato tipiche del pensiero dell’intellettuale di
Dogliani.
Chi
leggesse con attenzione il terzo capitolo dedicato alla “Riforma della società”
si accorgerebbe che il primo aspetto riguarda proprio il rifiuto della
«statizzazione dell’economia» definita come un regime – questo sì - in cui la
popolazione è «asservita ai burocrati gestori», in poche parole ai
pianificatori. Scorgerebbe che Rossi rifiuta l’equazione tra socialismo e
collettivizzazione generale e che afferma invece che le «gigantesche forze di
progresso che scaturiscono dall’interesse individuale» devono essere
convogliate, attraverso opportuni “argini” verso «gli obbiettivi di maggiore
vantaggio per tutta la collettività». Un limpido pensiero liberale e socialista
che, in quegli anni, si preoccupava di prendere le distanze sia dal crudo
liberismo sia dall’esperienza dell’Unione sovietica.
Alcuni
hanno voluto contestualizzare i contenuti del Manifesto agli anni del
nazifascismo e si è pure lasciato pensare che i tre, nella cattività di
Ventotene, fossero scollegati dal mondo. Niente di più sbagliato: grazie a
molti escamotage e a innumerevoli rischi, i libri e la corrispondenza
arrivavano nell’isola. Inoltre i tre erano figli dell’internazionalismo
antifascista degli Anni Trenta, esuli nelle capitali europee avevano da
Ventotene una visione del mondo ben più ampia di molti altri.
Il
punto economico su cui si regge la concezione dell’Europa unita del Manifesto è
evidente più volte nel testo: i «sentimenti protezionistici» e le barriere
doganali possono condurre «all’urto e alla concorrenza anche tra due
democrazie». Dunque, alla guerra come era stato negli Anni Trenta. Altro che
temi vecchi di ottant’anni, questa è scottante attualità.
Il
pensiero di Rossi sulla proprietà privata è semplicemente e giustamente rivolto
a combattere i monopoli che quando «sono in condizione di sfruttare la massa
dei consumatori» possono essere nazionalizzati. Come farà di lì a poco, sulla
scia dei convegni del Mondo, il centrosinistra e come ancora oggi si fa persino
negli Stati Uniti.
Il
Manifesto propone anche l’estensione della proprietà dei lavoratori con
gestioni cooperative e azionariato operaio (un po’ come fa la Cisl oggi). E
perora la causa dei giovani per i quali «vanno ridotte al minimo le distanze
tra le posizioni di partenza». Un ulteriore messaggio, per nulla scontato, va
al Welfare: solidarietà e interventi «verso coloro che riescono soccombenti
nella lotta economica». Un principio liberale che Ernesto Rossi, in seguito,
integrerà con l’utopia di «Abolire la miseria» dove propone una sorta di
servizio civile dei giovani al posto del servizio militare per produrre beni
primari destinati ai più poveri.
Qual
è il centro delle posizioni di Ernesto Rossi che, sulla scia di Einaudi, non
amava molto neppure Keynes? Il centro è la possibilità di coniugare lo Stato e
il mercato, vedere dove può arrivare l’uno e l’altro. È il tema fondante del
riformismo del Dopoguerra: lo stesso spirito aleggia nella Camaldoli di
Paronetto, nel Piano Beveridge della Gran Bretagna, dell’economia sociale di
mercato Wilhem Röpke.
Ciascuno
naturalmente con il proprio taglio, il proprio spirito e la propria cultura. Ma
l’obiettivo è il bene pubblico, mitigando il mercato attraverso lo Stato. Che
siano questi i fondamenti dell’Occidente di cui si parla tanto? Attaccandoli
brutalmente si compie un clamoroso autogoal proprio nel momento in cui si
tratta di scegliere tra le liberaldemocrazie e i regimi illiberali che ci sono
nel mondo.
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