“Per
questo c’è un gran lavoro da fare nell’educazione preventiva dell’anima (e non
solo del corpo e dell’intelligenza) per essere all’altezza del nostro tempo,
che ha bruciato gli…”
Ecco
allora che ci si pone una domanda: “Esiste nella cultura dei giovani
un’educazione emotiva che consenta loro di mettere in contatto e quindi di
conoscere i loro sentimenti, le loro pulsioni? Oppure il mondo emotivo vive
dentro di loro a loro insaputa, come un ospite sconosciuto a cui non sanno dare
neppure un nome?”
Man
mano che si cresce, nella prima infanzia, i genitori tendono a promuovere
un’educazione fisica ed intellettuale ma non un’educazione emotiva, cioè dei
sentimenti, delle emozioni, delle paure.
“Tra
una palestra e un corso di nuoto perché bisogna crescere con un bel corpo, tra
una spiegazione ora sbrigativa, ora articolata, ora un po' imbrogliata perché
bisogna diventare intelligenti, quanto passa tra genitori e figli di quella
comunicazione indiretta per cui si sente nella pancia, prima che nella testa,
che del padre e della madre ci si può fidare, perché li si avverte al proprio
fianco nei primi movimenti un po' impacciati della vita? Cura del corpo,
dell’intelligenza, ma quando cura dell’anima?”,
questo l’interrogativo principale del filosofo.
Questo
perché manca un’educazione emotiva dapprima in famiglia, e poi a scuola, ed
occorre, pertanto, realizzare un’alfabetizzazione emotiva così da insegnare ai
bambini non solo la matematica o la lingua italiana, ma anche la capacità di
relazionarsi, instaurando rapporti empatici con i loro coetanei.
Ecco
allora l’importanza di educare emotivamente i giovani attraverso quella forza
d’animo che consente loro di essere accettati ed amati per ciò che sono
realmente senza dover indossare una maschera.
“Di forza d’animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono
più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano
incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell’esistenza e
incerta s’è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei loro
padri, e la parola che i padri rivolgono ai figli è insicura e incerta. I loro
sguardi si incontrano, ma spesso solo per evitarsi”, così conclude la sua
disamina il filosofo.
I
giovani, anche se faticano ad ammetterlo, attendono qualcuno che li traghetti
perché il mare che devono attraversare è minaccioso, nonostante all’apparenza
possa sembra calmo e sereno, altrimenti rischieranno di trascorrere la loro
vita senza sentimento, senza nobiltà, inaridendo il loro cuore incapace di
provare emozioni pure e sincere, non riuscendo ad essere se stessi, ma dovendo
indossare una maschera pur di essere accettati in una società cinica e spesso
anestetizzata emotivamente.
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