e di iniziazione
alla democrazia
(a cui abbiamo abdicato)
-di Sara De Carli e Daniele Novara
Assistiamo
a una crescente intolleranza verso i punti di vista diversi, anche da parte
delle istituzioni.
La
cultura della democrazia vive di ascolto delle posizioni differenti, ma anche
la scuola - dice il pedagogista Daniele Novara - «da vent’anni non è più
impegnata sul tema dell’educazione alla discussione e al confronto».
Ascoltami
vs ti ascolto.
Sta
nella distanza tra queste due posture il fare o non fare una iniziazione alla
democrazia per i nostri ragazzi.
«Se
vuoi sostenere la democrazia, devi sostenere i processi di apprendimento per
cui ci si ascolta reciprocamente nelle opinioni diverse.
Le
istituzioni – penso anche alla scuola – da anni invece dicono solo “ascoltami”
e poi lamentano un “non mi ascolta” per giustificare azioni “correttive”.
Ma
l’istituzione democratica si fonda esattamente sull’azione contraria, sul “ti
ascolto”»: Daniele Novara, pedagogista che oltre trent’anni mette al centro del
suo lavoro l’educazione e la gestione dei conflitti, commenta così le
manganellate dei poliziotti sugli studenti di Pisa.
Che
cosa si può dire?
«Con
i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento»: sul fatto in sé le parole del
Presidente Sergio Mattarella sono definitive, non hanno bisogno di chiose o
sinossi.
I
manganelli sui ragazzi sono sempre un fallimento e «l’autorevolezza delle Forze
dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare
sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente
opinioni»: non c’è da aggiungere altro.
La
preoccupazione per una virata di autoritarismo c’è.
Che
dire però del “prima”?
Del
fatto che i ragazzi non avevano comunicato i loro percorsi, che la
manifestazione non era autorizzata…
Che
rispondere insomma, da educatori, all’obiezione che c’è modo e modo di
manifestare e che non può valere tutto?
I
poliziotti hanno detto che i ragazzi “non ci ascoltavano” e “non facevano
quello che gli dicevamo”.
Ascoltami!
È
questo il punto che ci porta a fare una riflessione più ampia: non è solo un
clima sociale ma anche le istituzioni stanno andando nella direzione di una
gestione del dissenso che non è più fondata sul confronto tra posizioni
differenti, ma che cerca un nemico. Assistiamo a una crescente intolleranza
verso i punti di vista diversi.
Anche
le istituzioni dicono “ascoltami” e lamentano il “non mi ascolta”, tutto qui.
Mentre
invece la cultura della democrazia dinanzi a un problema è esprimere le proprie
opinioni, confrontarsi sulle opinioni differenti e quindi decidere.
L’istituzione
democratica al cittadino dice l’opposto, dice “dimmi, io ti ascolto”.
E
favorisce fra i ragazzi, proprio nella loro formazione come cittadini,
l’apprendimento delle modalità per esprimere punti di vista diversi e per
confrontarsi sui punti di vista diversi.
Chiama
in causa la scuola?
C’è
oggettivamente anche un tema di una scuola che fa lezione di educazione civica,
cittadinanza, rispetto dei diritti umani… che restano teoria davanti alle
manganellate della polizia.
Non
è tanto questo, questo può dirlo superficialmente chi non conosce la scuola
oppure chi vuole difenderla a priori.
La
verità è che da vent’anni la scuola non è più impegnata sul tema
dell’educazione alla discussione e al confronto, sul versante del creare una
cittadinanza nella logica democratica.
Il
dibattito maieutico, per esempio, è una tecnica che le scuole usavano
tantissimo fino 10-15 anni fa: adesso non ne parla più nessuno.
La
scuola ha abbandonato completamente le forme pedagogiche di introduzione alla
democrazia e alla libertà di espressione, con la discussione libera in classe o
con quel confronto sui problemi che si faceva leggendo il giornale in classe:
queste cose non le fa più nessuno.
Che
fine hanno fatto i libri preziosi di Clotilde Pontecorvo sulla discussione in
classe?
L’aporia
È
un dispositivo del tutto abbandonato, che ha portato i ragazzi a non saper più
discutere. C’è un’aporia sostanziale, la scuola agli alunni chiede ormai solo
l’ascolto del docente, soprattutto alla secondaria di secondo grado.
Il
problema è questo: quale meccanismo di iniziazione alla democrazia attiviamo
nella classe, se è vero che la scuola è il primo luogo di apprendimento della
democrazia e la democrazia è proprio la gestione del conflitto senza violenza,
attraverso una ritualizzazione in cui l’opinione divergente non viene vissuta
come una minaccia da portare a un duello ma come elemento di ricchezza, da
considerare per analizzare i vari punti di vista e poi arrivare a una
decisione.
È
una cultura di gestione dei ragazzi che si sta creando, di cui fa parte anche
l’orribile norma per cui il 5 in condotta dal prossimo anno porterà alla
bocciatura: è quanto di più antipedagogico esista.
Perché?
Perché
nella storia della pedagogia gli alunni difficili sono quelli che hanno
permesso alla pedagogia di progredire, ti costringono a trovare metodi e
dispositivi, a fare il meglio possibile per recuperarli.
Se
lo condanni con bocciatura, come se la scuola fosse istituto di correzione…
Questa
scelta significa guardare la scuola come luogo di espiazione della pena e non
più come una comunità di apprendimento.
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