Il lavoro educativo è in crisi. Dinanzi alla fragilità diffusa e al timore per il futuro, l'educare deve ripartire da azioni che nascono dalla capacità di vedere e farsi carico di ciò che si è veduto, senza limitarsi allo sgomento.
Sul valore del lavoro educativo si è costruita la storia dell’umanità. Educare significa lasciarsi interpellare dalla relazione e assumerne la responsabilità che contribuisce a costruire il futuro.
Il “ruolo” degli educatori in ogni servizio educativo nasce
da qui ed è cresciuto modificandosi in relazione ai cambiamenti sociali,
politici, culturali.
E oggi proprio dalle grandi trasformazioni in corso dobbiamo
partire.
Il tempo che stiamo vivendo è fatto di grandi trasformazioni
sociali, relazionali e culturali, dal lockdown alle guerre, lo scenario ha
comportato nuove fragilità e insicurezze che hanno profondamente cambiato il
volto delle nostre comunità.
Ci troviamo in una crescente difficoltà economico-sociale e
in presenza di diverse criticità culturali e sociali che si intrecciano nello
spazio e nel tempo: le differenze territoriali, le differenze di genere, i
cambiamenti relazionali, la dissoluzione del tessuto solidaristico e la
chiusura familiare, l’inverno demografico, la trasformazione del ruolo
genitoriale, l’aumento delle violenze profonde.
A questo si aggiunge la dispersione scolastica (l’Italia è
uno dei paesi europei con il più alto tasso di abbandoni in Europa) e la
mancanza di servizi educativi per la prima infanzia.
Tutti questi elementi di fragilità sono poi in relazione con
i tre macrocambiamenti del nostro tempo avvenuti nell’arco di una generazione:
la crescente presenza migratoria, l’ingresso del web nella nostra vita e ora il
ruolo dell’intelligenza artificiale.
Ragazzi isolati che non sanno prendersi cura di sé, come se
la vita si esaurisse nell’attimo presente e non offrisse nessuna reale
prospettiva di senso.
Una diffusa insicurezza, il timore di non corrispondere alle
aspettative, l’incapacità di gestire le emozioni, il disorientamento.
Ma le ricerche ci dicono anche che questi percorsi di
fragilità hanno fatto riscoprire a molti ragazzi il valore della relazione “in
presenza” con i compagni e le compagne di scuola.
E mostrano il valore e
il senso del lavoro educativo, la “bellezza” di aiutare a costruire
benessere esistenziale.
La prevenzione
In questo quadro, la prospettiva prioritaria da potenziare è
la prevenzione.
Per aiutare i figli della crisi a trovare ancora possibilità
di progettare futuro si impongono interventi per azioni che nascono dallo
sguardo; il che significa innanzitutto non limitarsi all’inquietudine o allo
sgomento di fronte ai comportamenti più allarmanti che la cronaca ci riporta
ogni giorno, ma cercare di conoscere i vissuti da cui hanno origine.
La capacità di vedere e farsi carico del veduto è il primo
passo della cura educativa che vuole alleviare il malessere nelle situazioni
difficili. Mentre lo sguardo indifferente, che esprime incuranza, “passa
oltre”.
Prima del samaritano erano passati un sacerdote e un levita
che avevano proseguito la loro strada, senza curarsi di quella persona ridotta
in fin di vita, cioè senza assumere la responsabilità di ciò che avevano
veduto.
Lo sguardo genera il sentimento. Su questo versante le
competenze emotive sono indispensabili per cogliere, valutare e gestire le
emozioni proprie e riconoscere le emozioni di chi ci circonda e per compiere
scelte di senso.
Le emozioni sono sempre collegate alla ragione.
Ma non dimentichiamo che anche se l’intelligenza cognitiva è
molto importante, l’intelligenza emotiva e l’accompagnamento
all’alfabetizzazione dei sentimenti sono indispensabili.
La grande sfida educativa oggi è proprio questa: tenere
insieme le competenze emotive con quelle cognitive.
E la competenza emotiva deve essere prioritaria competenza
professionale.
Animare l’azione educativa significa darle anima e aver cura
della vita emotiva è una risorsa pedagogica
spesso sottovalutata dal primato della ragione che ha dominato in gran
parte il percorso del sapere: la visione cartesiana del “cogito ergo sum”.
C’è un sapere dei sentimenti che non può più essere ignorato
o sottovalutato, proprio quando le competenze emotive sono indispensabili in
questo momento difficile.
L’innovazione avrà quindi come obiettivo accoglienza e inclusione che richiede la costruzione
della comunità educante che è la risposta principale di solidarietà e
condivisione di prospettive educative.
Occorre cioè saper tessere reti tra scuole, Pubbliche
amministrazioni, Regioni e Comuni, Asl e integrazioni con il Terzo settore, il
privato sociale (e non), il volontariato, parrocchie, oratori, centri sportivi
e culturali, scoutistici, musicali, artistici, e altre realtà aventi finalità
educative per ragazzi.
La corresponsabilità
Un sistema integrato dei servizi educativi basato cioè su
coprogettazione e corresponsabilità dell’azione educativa.
Per superare questa stagione di isolamento e insicurezza, il
tema della cura esistenziale diventa sempre più un perno educativo che riguarda
tutti gli ambiti, formali e informali, dai nidi d’infanzia fino all’accesso al
mondo del lavoro.
Più opportunità offriamo ai ragazzi, maggiore è la
possibilità di sottrarli all’emarginazione, al disagio e alla violenza.
Bisogna iniziare subito ad agire, insieme.
*Università Cattolica Sacro Cuore
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