- - di Riccardo Prando
Se diciassette anni vi sembran pochi: tanti ne sono trascorsi
da quando, nel 2007, l’allora ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni vietava
l’utilizzo dei telefoni cellulari dalle elementari alle medie inferiori, con
l’aggiunta della scuola dell’infanzia. Nei giorni scorsi il suo successore,
Giuseppe Valditara, ha anticipato che fra le nuove linee guida della scuola
italiana viene ribadito lo stesso divieto per ovvi motivi didattico-educativi,
ma anche “per evitare tensioni fra studenti e insegnanti: difendere il corpo
docente significa difendere il principio di delega e di autorità”.
Precisazione, quest’ultima, dal forte retrogusto amaro: se in oltre tre lustri,
dirigenti e docenti (scriviamo al femminile perché in quell’ordine di scuole i
maschi si contano sulle dita di una mano) non sono riusciti ad imporre lo stop
ai telefonini ai loro giovanissimi alunni (tanto che ha dovuto intervenire il
ministro), ciò non può che gettare cattiva luce sulla loro immagine in fatto di
autorevolezza e capacità educativa.
Un po’ come accade nei musei, dove all’entrata si legge
spesso un cartello del tipo “vietato scrivere sui muri” che suona come
un’ovvietà, dato il luogo in cui ci si trova, ma che non sarebbe necessario
apporre se i visitatori si dotassero di sufficiente senso civico.
Ci sarebbe poi da sorridere all’idea del divieto all’uso del
cellulare imposto anche ai bimbi dell’infanzia, ma si vede che ormai il
telefonino è regalo comune da fare ai pargoli appena terminano lo svezzamento.
Più seria appare la questione che riguarda la scuola media
superiore, alla quale infatti – stando alle dichiarazioni rilasciate alla
stampa – non si estende il divieto. Potremmo chiederci il motivo, se una
recente indagine nazionale non ci avesse già risposto rilevando che il 54 per
cento degli studenti usa comunemente il famoso dispositivo anche durante le
lezioni e non per motivi didattici. Anche questo aspetto la dice lunga sul
ruolo educativo che riveste il personale docente nei confronti dei ragazzi, perché
se è vero che una battaglia navale, giocata quatti quatti dietro le spalle
massicce del compagno, ce la siamo fatta quasi tutti, è altrettanto vero che un
cellulare è molto più difficile da nascondere. A meno che si abbiano le fette
di salame sugli occhi.
Vien dunque da pensare che estendere il famoso divieto ai
piani alti del sistema scolastico, dove albergano anche maggiorenni,
rappresenti un rischio non da poco a fronte delle occupazioni, delle
manifestazioni di piazza, delle aggressioni a presidi e docenti di cui ogni
anno è ricca la cronaca nostrana.
Meglio chiudere un occhio e sperare nel grado
di maturità degli studenti, ma anche dei loro genitori esperti nell’arte di
delegare alla scuola quella fetta di educazione che invece spetta loro di
dovere e di diritto? Chissà. Cominciamo col vedere l’effetto che fa il
provvedimento sui più piccoli. Fra qualche anno, varcate le soglie delle
superiori, potrebbero anche portare avanti di propria sponte la buona abitudine
di lasciare spento il cellulare.
Il
Sussidiario
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