Senza il cristianesimo
l'Europa è senz'anima
Dario
Antiseri e Marcello Pera
dialogano in un saggio
che va alla ricerca di una vera
unione.
- - di Michele Brambilla
Un
libro piccolo di pagine ma grande di contenuti ci pone di fronte a un tema di
cui forse, anzi certamente, non si parla al bar, e ancor meno sui social, ma
che è di vitale importanza per tutti noi: che cos'è l'Europa, se ha o meno
un'anima, se è ancora cristiana oppure no. È di vitale importanza perché ha a
che fare con la nostra identità e con la possibilità, per l'Europa, di fermare
un declino cominciato da molto tempo. Il libro s'intitola Europa senz'anima?
Politica, cristianesimo, scienza, è edito da Scholé (pagg. 146, euro 15) ed è
un colloquio fra due filosofi: Dario Antiseri e Marcello Pera. O meglio, è il
secondo che risponde all'interrogativo del primo: «Un'Europa scristianizzata è
ancora Europa?». Se ne parla da anni, da quando si decise di non inserire, nel
preambolo della Costituzione Europea, il richiamo alle radici cristiane.
Pera
è consapevole del fatto che la società europea è oggi del tutto secolarizzata,
e dice che al posto del cristianesimo c'è il nulla. «La religione laica un modo
di dire che oggi nasconde il deserto dello spirito europeo sta sconfiggendo,
mettendo da parte, privatizzando e secolarizzando il cristianesimo». E questa
religione laica, aggiunge Pera, è tutt'altro che liberale: «Il laicismo
imperante non è forse un rettile insidioso? Non ti dice che Dio non esiste: ti
dice che, se proprio ne hai bisogno per consolarti, puoi appellarti a lui. ()
Sembra tollerante, questo modo di pensare, ed invece è una dittatura. Perché,
alla fine, la ragion pubblica laica impone i suoi contenuti su vita, morte,
matrimonio, sessualità, procreazione, democrazia, libertà, diritti, e tu puoi
solo ubbidire».
L'ex
presidente del Senato, che si dice laico cristiano («e tu, Dario, ti consideri
credente») si rifà a sant'Agostino, per il quale «la costruzione di una società
in pace, che è lo scopo dello Stato, ha bisogno di un fondamento religioso ()
La ragione, il calcolo degli interessi e dell'equilibrio delle forze, non è
autosufficiente neppure per la costruzione dello Stato».
Ancora
Pera: «L'Unione europea vorrebbe oggi fare eccezione: vorrebbe professare la
religione laica e diventare sempre più unita. Ma conferma la regola: più si
pensa a-cristiana o anticristiana, meno si realizza. Se non c'è concordia di
valori morali, e se non ci sono valori morali comuni tenuti insieme per fede,
gli interessi, anche meglio calcolati, ponderati, combinati, sono sempre
discordi e discorde resterà lo Stato. Anche ove mai ce ne fosse uno lo Stato
dell'Europa».
Citando
Locke, Pera dice che la morale cristiana è la migliore per mantenere la
concordia fra gli uomini e per costruire e conservare uno Stato liberale. «Dal
cristianesimo discende che tutti hanno la stessa dignità», bianchi e neri,
uomini e donne: «Non si può essere cristiani e pensare che la differenza fra
governanti e governati riguardi il valore intrinseco della persona. O che i
sottoposti siano servi o strumenti. O che il governante non risponda ad alcuna
legge».
E
d'accordo, ma l'uomo d'oggi non può sottrarsi a una domanda: il cristianesimo
sarà anche la religione migliore, l'unica liberale: ma è anche vera? Questa è
la domanda. Marcello Pera dice di non sapere se ha fede. «Io distinguo fra
credente della fede cristiana e credente della cultura cristiana».
Ma
può bastare una religione civile? A Pera lo chiede anche Antiseri: «È
sufficiente la cultura cristiana, quella di cui parla, per esempio, Benedetto
Croce?». Leggendo Pera pare di sì, è sufficiente. Ma il cristianesimo non è, e
non può essere un insieme di valori buoni per far funzionare lo Stato. Il
cristianesimo non è una morale: è un fatto. Il cristiano crede che esista un
Dio, che si sia fatto uomo, che sia morto e risorto e che ci attenda per il
giudizio finale, perché c'è una vita eterna. Se non si crede che tutto questo
sia vero, perché seguire la morale cristiana? L'uomo di oggi la pensa come Ivan
Karamazov: «Se Dio non esiste, tutto è permesso».
Da
tempo, l'uomo occidentale ha riposto nella scienza la propria aspettativa di
felicità. Siamo, innanzitutto, un popolo di consumatori, non più di cittadini.
Consumatori controllati, indirizzati e diretti da una tecnologia che ci
illudiamo sia apportatrice di libertà. Quali sono, oggi, i valori dell'uomo
occidentale, se non il vivere bene, il far carriera, il guadagnare e il
divertirsi? L'Unione Europea che non ha voluto nella sua Costituzione il
riferimento alle radici cristiane non è madre della secolarizzazione, ne è
figlia.
Che
cosa ci aspetta, in uno scenario che Pera, rileggendo Agostino, paragona alla
caduta dell'Impero romano? Il futuro è imprevedibile, ma l'uomo è una tale
creatura che, per quanto distratta, si troverà prima o poi a fare i conti con
quello che Wittgenstein considerava Dio stesso: il senso della vita. «È una
domanda ineludibile, una richiesta inestirpabile», scrive Antiseri, che cita
Norberto Bobbio: «La scienza dà risposte parziali e la filosofia pone solo
domande senza dare le risposte».
Il
Giornale
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