Pagine

sabato 3 giugno 2023

DONNE IN PERICOLO


- di Giuseppe Savagnone

Un paradosso

È paradossale che in un tempo in cui si parla tanto di emancipazione femminile le donne siano più gravemente che mai minacciate. Hanno suscitato grande impressione, in questi giorni, due femminicidi verificatisi nel nostro paese. Purtroppo, le vittime, Giulia Tramontano e Pierpaola Romano, sono solo le ultime di una tragica serie che ha visto 47 donne uccise solo negli ultimi cinque mesi.

A volte per spietato cinismo, come nel primo di questi due casi, a volte per una passione distruttiva e autodistruttiva (l’assassino della Romano dopo averle sparato si è tolto sua volta la vita), a conferma della falsità dello slogan, così spesso ripetuto, secondo cui nei rapporti tra i sessi e nella famiglia «l’importante è l’amore», e che esso «non va etichettato». Ce n’è uno che è sfogo delle proprie pulsioni e sfrenato desiderio di possesso e non reale volontà di trovare la propria felicità nel bene dell’altro.

Eppure, il femminicidio, per quanto sia la forma più evidente e cruenta di violenza contro le donne, non è la sola minaccia per la donna. Il fatto stesso che esso giustamente desti raccapriccio è una possibilità di difesa. Nessuno lo giustifica, anche se poi molti reagiscono ad esso con una banale e inadeguata raccomandazione rivolta alle donne di “stare attente”, come se il problema fosse loro e non della nostra società.

Ma, in una prospettiva a lungo termine, che guardi al futuro sotto il profilo culturale, il problema più grave per la donna sono quelle interpretazioni del suo ruolo e della sua identità che trovano sostenitori e sostenitrici tra intellettuali e politici. Proprio in questi giorni nel nostro parlamento si sta svolgendo una battaglia che riguarda la gestazione per altri o maternità surrogata.

La Commissione Giustizia della Camera ha concluso il voto degli emendamenti alla proposta di legge che dichiara la gestazione per altri – se realizzata da cittadini italiani – reato universale, cioè perseguibile anche se commesso all’estero.

Due di questi emendamenti, presentati da Riccardo Magi (+Europa) andavano esattamente nella direzione opposta alla proposta della maggioranza, perché non solo respingevano l’idea che questa pratica sia punibile anche se effettuata all’estero, ma miravano a depenalizzarla anche se realizzata in Italia – dove essa è un reato penale – , prevedendo soltanto una sanzione amministrativa da 5.000 a 50.000 euro. Su questi emendamenti l’opposizione si è spaccata. I 5stelle hanno sostenuto l’emendamento proposto da Magi, mentre il PD ha votato contro. Così come ha votato contro la proposta di legge.

In realtà le motivazioni di questo rifiuto da parte dei parlamentari dem appaiono molto diverse. C’è chi – come del resto la stessa segretaria del partito Eddy Schlein – è personalmente favorevole alla maternità surrogata e la ritiene un preciso diritto. Così Alessandro Zan, responsabile diritti del Partito Democratico, ha scritto su Twitter a questo proposito: «La priorità della destra è limitare i diritti. PNRR, alluvione, asili, inflazione vengono dopo, forse. Ora la loro urgenza è attaccare le famiglie arcobaleno e i loro figli: la corsa forsennata in commissione giustizia per una legge folle lo dimostra. Continueremo a opporci».

Molto diversa la posizione della senatrice del PD Valeria Valente: «La gpa è una pratica che mi vede fermamente contraria: rappresenta una violenza verso il corpo della donna e una commercializzazione dell’essere umano (…). Dobbiamo dire No a questa pratica e sostenere iniziative internazionali, le uniche davvero utili per la sua messa al bando. Dobbiamo dare, al contempo, risposte giuridiche certe all’interno del nostro ordinamento nell’interesse dei minori».

Qui, come è chiaro, l’opposizione alla proposta di legge è motivata non da un rifiuto del principio etico che la ispira, ma dall’esigenza che la condanna universale della gestazione per altri scaturisca da «iniziative internazionali» e non leda i diritti dei figli.

L’appello della rete No Gpa

Su questa linea si pone l’appello intitolato «La maternità surrogata è una pratica che offende la dignità delle donne e i diritti dei bambini», lanciato dalla rete No Gpa (No Gestazione per altri) – coordinata da Aurelio Mancuso, ex segretario Arcigay –  al parlamento italiano. Una petizione che in pochi giorni sta già raccogliendo le firme di centinaia di persone appartenenti agli ambiti sociali e politici più disparati: psicologi, filosofi, avvocati, docenti universitari, imprenditori, amministratori come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e la vice sindaca di Milano Anna Scavuzzo.

Ci sono figure di primo piano del femminismo, come Adriana Cavarero, Francesca Izzo, Alessandra Bocchetti, personalità politiche come Pierluigi Castagnetti e Goffredo Bettini, di figure come Maria Pia Garavaglia, Emma Fattorini, Flavia Franceschini, la Segreteria nazionale ArciLesbica Milano, Cristina Gramolini, la presidente ArciLesbica nazionale e persino attiviste di Resistenza Femminista.

Nell’appello si ricordano le sentenze n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021 della Corte costituzionale, secondo le quali «la gestazione per conto di altri “(…) offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale»

E si continua, rivolgendosi direttamente ai parlamentari: «È in Parlamento, dove si formano le leggi e si individuano i percorsi normativi, che oltre a confermare la contrarietà alla maternità surrogata e prevedere un maggior controllo sull’applicazione della norma, occorre spingere a livello UE e ONU per una messa al bando di tale pratica in sede internazionale. E al tempo stesso vanno risolte questioni che necessitano di un quadro giuridico certo nell’interesse preminente dei bambini, così come sollecitato da Cassazione e Corte Costituzionale».

Solo che, se si continua ad affrontare il problema dei figli limitandosi a riconoscere automaticamente anche in Italia quelli nati in altri paesi da maternità surrogata, si finisce per avallare questa pratica. La scelta della maggioranza di destra di puntare sull’idea di reato universale è discutibile e può essere ampiamente discussa, ma nasce dalla necessità di trovare una soluzione a questo problema.

Guardare solo sul diritto dei figli che già ci sono – senza chiedersi come impedire che si voli i diritto di quelli che ancora non ci sono di non esser solo dei “prodotti” su commissione – porta poi inevitabilmente alla considerazione che a questo punto non è giusto che possano ricorrere ala maternità surrogata solo quelli che hanno i soldi per andare all’estero.

Basta comunicare di voler cambiare genere per cambiare sesso?

Ma c’è, oltre alla maternità surrogata, una questione ancora più radicale, che minaccia non solo la dignità delle donne, ma loro stessa identità. È quella che si pone ormai in diversi paesi europei – e comincia a porsi anche in Italia – del riconoscimento dell’identità di genere indipendentemente dal sesso.

Su questa linea si sono mossi già alcuni stati europei come la Danimarca (2014), l’Irlanda (2015), la Norvegia (2016), il Belgio (2018), il Portogallo (2018), la Svizzera (2021) e, ultimamente, la Scozia (2022)[1]. In altri ci si muove in questa direzione. Come in Germania, dove è già stato presentato dal governo un disegno di legge.

L’ultima riforma è stata fatta in Spagna, dove, nel febbraio 2023,  è stata definitivamente approvata una legge – richiesta a gran voce dalle associazioni LGBTIA+ – che consente di cambiare genere attraverso una semplice dichiarazione amministrativa.

Il testo elimina l’obbligo di fornire referti medici attestanti la disforia di genere e la prova del trattamento ormonale seguito per due anni, come avveniva finora per gli adulti. Perché un uomo diventi donna basterà una doppia dichiarazione a distanza di tre mesi, all’anagrafe, senza autorizzazioni giudiziarie o mediche a partire dai 16 anni (dai 14 previo assenso genitoriale, dai 12 previa sentenza giudiziaria)[2].

Secondo il Movimiento feminista, che riunisce cinquanta organizzazioni di tutta la Spagna e che si è mobilitato contro la legge, la nuova normativa costituisce «una battuta d’arresto nella protezione dei diritti delle donne». Il timore è, ad esempio, che venga messa a repentaglio la sicurezza delle donne in aree come le carceri e i loro diritti in ambiti come la salute, lo sport e la politica.

In Italia il cambio legale di genere era regolato da una legge del 1982 secondo cui è necessaria la “rettificazione chirurgica” del sesso ma, dopo la Sentenza n.180 del 2017 della Corte Costituzionale, non è più necessario un intervento di cambio di sesso per ottenere nuovi documenti.

Le donne in pericolo?

Ma già in occasione del dibattito sul ddl Zan, con cui si voleva introdurre nel nostro ordinamento il concetto di “identità di genere” sganciato dal sesso corporeo, ben 17 associazioni femministe, tra cui Arcilesbica, hanno protestato vigorosamente. Nel loro documento si diceva: «In tutto il mondo l’ “identità di genere” viene oggi brandita come un’arma contro le donne (…). Si vuole che la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili- venga fatta sparire. È la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere»

A questo punto, continuano le femministe, «il “genere” in sostituzione del “sesso” diviene il luogo in cui tutto ciò che è dedicato alle donne può essere occupato dagli uomini che si identificano in “donne” o che dicono di percepirsi “donne”: dagli spazi fisici, alle quote politiche destinate alle donne; dai fondi destinati alla tutela delle donne contro la violenza maschile, alle azioni positive, alle leggi, al welfare per le donne». E si citava un caso concreto: «In California 261 detenuti che “si identificano” come donne chiedono il trasferimento in carceri femminili».

Si è donne solo per autocertificazione, anche se tutto il proprio corpo è quello di un uomo? Negarlo è sempre più pericoloso. In Inghilterrra J. K. Rowling, l’autrice della saga di Harry Potter, è oggetto di una campagna di emarginazione per averlo fatto, rivendicando l’identità femminile nella sua integralità psico-fisica. Su  twitter la Rowling si è difesa: «Conosco e amo le persone trans, ma cancellare il concetto di sesso significa rimuovere la capacità di molti di discutere in modo significativo delle loro vite. Dire la verità non vuol dire odiare».

Non ha convinto nessuno e, paradossalmente, non è stata invitata ai festeggiamenti svoltisi nel novembre 2021 per i vent’anni del primo film – «Harry Potter e la pietra filosofale» – tratto dai suoi romanzi.

I femminicidi sono una tragedia perché colpiscono le donne. Ma forse una tragedia ancora più grande sarebbe che esse si riducano a macchine incubatrici oppure spariscano del tutto.

 

[1] A. Bianchi, Basta un’autocertificazione per cambiare genere, www.europa.today.it 23 dicembre 2022

[2] Cfr. www.euronews.com  del 21 febbraio 2023 e, per il dibattito che ha preceduto l’approvazione definitiva della legge, www.europa.today.it   28 settembre 2022.

 

*Scrittore ed editorialista. Pastorale Cultura della Diocesi di Palermo

www.tuttavia.eu

 

Nessun commento:

Posta un commento