che esprime una filosofia
Dopo le aspre polemiche, che la loro
pubblicazione ha suscitato, le linee-guida della Commissione Europea per una
«comunicazione inclusiva» sono state ritirate, con un comunicato della
commissaria UE all’Uguaglianza, Helena Dalli, responsabile del
progetto. Motivo delle proteste era stata soprattutto l’indicazione,
contenuta nel documento, di evitare il termine “Natale”, per non ferire la
sensibilità religiosa dei non cristiani, sostituendolo con quello, più neutro
di “festività”. Ma il problema è molto più radicale e non riguarda solo la
sfera religiosa.
In realtà le «linee-guida» – al di là
del loro precipitoso ritiro – contengono una ben precisa filosofia, la stessa
che oggi sta alla base di correnti d’opinione ampiamente diffuse, come – per
fare un esempio che nel nostro Paese è stato reso attuale dal dibattito sul ddl
Zan – quelle relative alle teorie del gender (ma non solo quelle). Che il
documento fosse riservato, come hanno precisato fonti della Ue, che sia stato
ufficialmente ritirato, non intacca in alcun modo il suo valore di
testimonianza sulle idee che circolano oggi, non solo a Bruxelles, ma in tutta
l’Europa.
La sua stessa esistenza – a prescindere
dal suo valore giuridico – è un’occasione significativa per rendersi conto di
quali siano queste idee e discuterle francamente, invece di doverle subire
attraverso una propaganda sottile e pervasiva.
Che cosa significa un “linguaggio inclusivo”
Che non si tratti di un puro regolamento
tecnico lo dice già la premessa da cui le linee-guida partono: «Le parole e le
immagini che usiamo nella nostra comunicazione quotidiana trasmettono un
messaggio su chi siamo e chi non siamo». Affermazione pienamente condivisibile,
a cui va aggiunta un’altra notazione, cara ai sostenitori delle gender theories
e del femminismo estremo, secondo cui il linguaggio non si limita a riflettere
la nostra realtà umana, ma in qualche modo contribuisce a plasmarla.
Proprio da qui nasce l’esigenza di
curarlo, per preparare un mondo diverso. È questo lo sfondo del documento della
UE, che si propone – come molti dei movimenti che si ispirano alla sua stessa
filosofia – il lodevole obiettivo di educare a uno stile di rispetto reciproco,
spingendo ad usare un «linguaggio inclusivo», che non implichi discriminazioni
e aiuti a superare le logiche della violenza in nome dell’uguale dignità delle
persone (non a caso il documento porta il titolo di “Union of Equality”).
Una esigenza che, con tutto il rispetto
per i non credenti, è perfettamente in linea con lo spirito del Natale. A
suscitare forti perplessità sul progetto è stato il concetto di uguaglianza
adottato dalle linee-guida: «Ogni persona in Ue», vi si dice, «ha il diritto di
essere trattato in maniera eguale» senza riferimenti di «genere, etnia, razza,
religione, disabilità e orientamento sessuale». Dove, fin dalle
intenzioni, si chiarisce che l’uguaglianza tra le persone le include, sì,
ma non grazie, bensì a prescindere dalle loro differenze.
Su questa linea, infatti, erano gli
esempi portati nel testo per indicare in che termini dovrebbe essere modificato
il nostro linguaggio per essere «inclusivo». In tema di genere – vi si spiegava
– «è meglio non usare nomi o pronomi che siano legati al genere del soggetto».
Perciò piuttosto che “he” o “she” (egli o ella), meglio usare un più
indeterminato e asessuato “they” (loro). Nel salutare una platea il
consiglio era di evitare la classica formula “ladies and gentlemen” (signore e
signori) sostituendola con “dear colleagues” (cari colleghi). Rivolgendosi a
una donna, al “signora” (Mrs) o “signorina” (Miss) va preferito il neologismo
“Ms”.
Anche nel linguaggio riguardante la
famiglia, il «linguaggio inclusivo», secondo il documento, esclude vocaboli
come “marito” e “moglie”, da rimpiazzare con il neutro “partner”, o come
“padre” o “madre”, da sostituire con “genitori”.
L’inclusione, per i vertici Ue, deve essere chiaramente anche religiosa.
Così, quando si compila un comunicato, la Commissione sconsigliava al suo staff
di usare negli esempi nomi legati alla Bibbia e in particolare al vangelo. Alla
frase “Maria e John sono una coppia internazionale” andrebbe perciò sostituita
“Malika e Giulio sono una coppia internazionale”.
In questo contesto il consiglio che ha
suscitato le proteste. Invece di dire o scrivere “Natale è stressante”, usare
l’espressione “le festività sono stressanti”. Non è contenuta nel documento, ma
rientra in questa logica, l’applicazione fatta da molti alla tradizionale
formula di auguri: “Buon Natale!”, che andrebbe sostituita con “Buone feste!”.
Una filosofia che annulla le differenze
Chi ha presenti gli opuscoli che,
qualche anno fa, erano stato preparati dall’Istituto Beck su commissione
dell’UNAR (ufficio governativo) avrebbero dovuto essere distribuiti (poi
l’iniziativa fu bloccata all’ultimo momento) agli insegnanti di ogni ordine e
grado per istruirli sul modo di combattere le discriminazioni sessuali nelle
scuole, non ha di che stupirsi. La filosofia è la stessa. E quando dico “filosofia”
non intendo nulla di astratto e di estraneo alla nostra vita, bensì il modo di
vedere le persone e i rapporti tra di loro.
Il fondamento di questo modo di vedere è
il principio che l’uguaglianza richiede l’annullamento delle differenze. Il
lavoro fatto sul linguaggio mira a formare – e sui più giovani questo è più
possibile che mai – individui che non si riconoscano appartenenti a nessuna
categoria, ma solo a se stessi. È il trionfo del puro individualismo.
Ma è anche l’annegamento del singolo in
una massa informe e indistinta, in cui viene privato di una sua collocazione
nei confronti degli altri, perché non ha più con essi un terreno condiviso che
li accomuni. In questo universo senza appartenenze e che fonda l’uguaglianza
sulla omologazione, anche l’individuo perde alla fine la sua identità, che
avrebbe bisogno delle relazioni. E le relazioni diventano impossibili, o
meramente formali, in una società dove al posto delle differenze c’è
l’incommensurabilità tra individui che sono solo se stessi e che non hanno in
comune né l’essere uomini, né l’essere donne, né l’essere cristiani né l’essere
islamici, né l’essere credenti né non credenti.
Purtroppo queste non sono solo teorie. È
la tendenza della globalizzazione a imporre – attraverso le mode, oltre che
attraverso, ancora una volta, il linguaggio – la logica dell’omologazione, che
rende tutti uguali annullando le differenze culturali e lasciando in vita
individui sradicati e incapaci di relazioni profonde. Per un mondo dove si
realizza la vera uguaglianza non si può puntare sull’annullamento
dell’appartenenza dei singoli alle loro rispettive comunità locali, ma
all’apertura di ciascuna di esse alle altre e al mondo intero, per questo
è stato coniato anche un termine: “glocalizzazione”. Salvo a dover fare i conti
con una realtà che va in tutt’altra direzione.
Insomma, il rispetto «dell’uguale
dignità delle persone», a cui miravano le linee-guida della UE, non si
realizza, come credevano gli estensori del documento, a spese delle differenze,
ma attraverso di esse. E non credo proprio che un non credente possa sentirsi
prevaricato e offeso se un cristiano gli augura la cosa che è più bella e più
grande ai propri occhi, la venuta di Dio nella sua vita (questo significa, in
fondo, «buon Natale”). Meno che mai un islamico, il quale nell’unico capitolo
(sura) del Corano dedicato a una donna – precisamente a Maria, la madre di Gesù
– trova narrato l’evento dell’annunciazione e della nascita verginale.
Una bella occasione per l’Europa di essere “inclusiva”
Se la commissione UE vuole veramente un
mondo più inclusivo, forse potrebbe smettere di opporsi alla richiesta
dell’India e del Sud Africa di applicare una moratoria ai diritti di proprietà
intellettuale, che consentirebbe a Paesi poveri di produrre il vaccino contro
il covid.
«Una misura volta a sbloccare i monopoli
che impediscono l’accesso alla conoscenza medica e il suo utilizzo per
espandere e delocalizzare la capacità produttiva non solo per i vaccini, ma per
tutti i rimedi che servono per contrastare il virus (…). Dal Natale del 2020,
papa Francesco ribadisce la necessità non più prorogabile di ricorrere a questa
misura di giustizia pandemica (…). Ma la Commissione Europea, insieme a
Gran Bretagna, Svizzera e Canada, blocca da mesi il negoziato».
L’Ue in particolare ha proposto «un
sistema che punta sì a rimuovere gli attuali ostacoli all’incremento della
produzione di strumenti essenziali contro Covid-19, ma tramite incentivi alle
industrie farmaceutiche affinché rilascino licenze volontarie per il trasferimento
di tecnologie alle aziende nei Paesi del Sud del mondo, in cambio di abolizione
delle restrizioni commerciali, abbattimento delle barriere doganali,
facilitazioni fiscali. Così i monopoli sono salvi» (N. Dentico, Covid. Vaccini.
La Terza via dell’Europa mette all’angolo i Paesi poveri, su «Avvenire» 27
novembre 2021).
Questo potrebbe essere davvero un buon
modo di rispettare l’uguaglianza tra gli esseri umani rispettando, anzi
valorizzando le differenze. Ma forse, a questa triste Europa che rinnega il
Natale, costa di meno destrutturare le identità delle persone.
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