L’educazione civica non può essere un patchwork delle varie materie, ma
nemmeno essere circoscritta dal perimetro del “cittadino responsabile”. Serve
un infinito.
Lo scorso anno, in maniera imprevista e
in piena pandemia, il ministero dell’Istruzione ha istituito una nuova
disciplina: educazione civica. Ha carattere trasversale e ruota
attorno a tre assi: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile,
la cittadinanza digitale.
Studentesse e studenti devono
approfondire lo studio della nostra Costituzione e delle principali leggi
nazionali e internazionali, formandosi su questioni di valore etico-sociale,
per maturare una cittadinanza responsabile. Qual è, però, la ratio della
nuova disciplina, calata dal deus ex machina senza una
discussione articolata con le componenti della scuola?
Di fronte alla temperie nichilista che
sembra ormai la cifra di una società confusa e intimorita dal Covid, incapace
di offrire luoghi di crescita e maturazione, alcune menti illuminate hanno
ritenuto di porre argine alla deriva incombente attraverso una nuova figura: il
cittadino responsabile. Si tratta, certamente, di un tentativo nobile e attento
che prospetta una novità. Lo studente non è più pensato, come nel passato,
simile a un mero ente cognitivo da seguire con strumenti docimologici adeguati
e da aiutare nelle sue parti varie ma staccate tra loro (sfera emotiva,
sessuale, eccetera) con corsi di educazione sanitaria, sessuale, alimentare,
alla legalità, all’immagine, digitale, e altre. Diventa, finalmente, un ente
unitario: cittadino responsabile. Certamente, si tratta di un passo avanti,
anche se la formulazione di patchwork, mosaici poco bizantini e collages,
per adempiere alla legge, nei consigli di classe è curiosa. “Quante ore
fai tu? E tu, che cosa? Preferisco fare le mie ore nel secondo quadrimestre”
eccetera.
E tuttavia il problema non è solo
questo: arrivare al monte ore previsto con pezzi di educazione civica,
provenienti dallo sforzo di tutte le materie del consiglio di classe. Infatti,
in gioco e sotto discussione è la nozione stessa di cittadino responsabile.
L’idea di cittadinanza, infatti, restringe il campo della vita del soggetto a
una misura e a un metro che non bastano rispetto a ciò che accade.
Ciò che viviamo, infatti, ha bisogno di
uomini e donne in carne e ossa, di persone, di un supplemento d’anima. Ma osare
dire questo implica la necessità di un allargamento della ragione alla
complessità della vita. È un uomo vero, infatti, che diventa anche cittadino
responsabile. Chi sente la questione del bene e del male dentro e fuori di sé,
chi ha provato l’amarezza della sconfitta, chi ha sentito la vulnerabilità
della sua vita, chi, misteriosamente, dà di più senza misurare: questo conta e
apre la scena della responsabilità. Molti uomini che hanno rischiato o donato
la vita non erano affatto cittadini esemplari. Nelson Mandela, Martin Luther
King, Vaclav Havel, Liu Xiao Bo, Etty Hillesum, Edith Stein si sono opposti
all’ingiustizia perché erano uomini e donne veri/e e non cittadini
responsabili. Hanno sperimentato la solitudine, hanno vissuto l’accerchiamento
dei conformisti, hanno subìto la tristezza dell’incomprensione e non hanno
certo avuto l’ancoraggio sicuro a una legge.
E se il problema è quello del rispetto
dell’ambiente, state certi che non sarà lo studio attento delle leggi e dei
reati connessi a far migliorare tutto. Basta invece che uno studente abbia
sentito una volta, una volta sola, la vibrazione nuova e intensa presente nel
verso “che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?” e
state sicuri che non getterà cartacce a terra, perché memore di uno stupore
ineffabile. E ancora: chi si è commosso per il di più presente in Enea che
porta il padre Anchise sulle spalle o ha visto il di più in chi ha dato la
vita per difenderci dalla mafia, o ha sentito il pulsare della ricerca di
Cantor sui numeri transfiniti, non ha bisogno di aggiunte o giustapposizioni
posticce. Lo studente, infatti, attende solo qualcuno che gli faccia vedere il bello che c’è:
depositato nella storia e presente nella vita, già ora.
C’è bisogno, insomma, prima che di
cittadini responsabili di uomini come tutti, ma non rassegnati a stare nel
proprio, custoditi dalla norma o pronti a essere ricalibrati da una nuova
materia che non considera il fondo della questione. Uomini che suscitino la
domanda sul senso della vita e della morte, della direzione dell’esistenza, del
significato del bene e del male, inquietando l’insediamento nell’ambito di un
sapere giuridico. Uomini che escano fuori dal limes della
città, sfondando il confine.
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