- di Giuseppe Savagnone *
- Lo scandalo
Se mons. Staglianò, vescovo di Noto, avesse detto che Dio non esiste o che
Gesù era soltanto, come lo ha definito Odifreddi in un suo libro di successo,
«un disturbatore della pubblica quiete», giustamente neutralizzato dai tutori
dell’ordine, nessuno si sarebbe scandalizzato. Invece l’incauto pastore d’anime
ha avuto l’ardire di sostenere, davanti a dei bambini innocenti, che Babbo
Natale non esiste.
Apriti cielo! Una tempesta, e non solo da parte delle famiglie degli
sventurati piccoli, ma anche sui quotidiani nazionali e perfino sul «New York
Times», che ha dedicato alla grave questione un lungo articolo.
Si è parlato di «un sogno infranto», si è accusato il presule di avere
violato l’innocenza dell’infanzia, di avere invaso il campo dell’educazione
familiare. Invano hanno cercato, sia lui personalmente che l’ufficio stampa
della curia di Noto, di spiegare il senso di quello che era stato detto:
qualche giornale ha perfino scritto «le precisazioni postume non hanno convinto
nessuno» e che «le scuse del vescovo sono peggiori della gaffe».
Da s. Nicola a Babbo Natale
Ma proviamo a ricostruire i fatti. Era il 6 dicembre, giorno in cui la
Chiesa ricorda san Nicola di Myra (nell’attuale Turchia), un vescovo orientale
del IV secolo, molto venerato anche in Occidente. In Italia è noto come s.
Nicola di Bari, perché lì sono custodite le sue reliquie, ma il suo culto è
diffuso anche nei Paesi del nord Europa (tra l’altro, oltre che di Bari, è
patrono di Amsterdam).
Attraverso una serie di influssi di tradizioni popolari preesistenti,
questa figura storica si è via via trasfigurata nel personaggio leggendario di
Santa Claus (da Sinterklaas, il nome olandese derivato dall’originario san
Nicola) ed è ritornato a noi italiani come “Babbo Natale”. Le tracce della
provenienza nordica rimangono nella slitta trainata da renne.
Ebbene, mons. Staglianò ha preso lo spunto dalla festa del s. Nicola
onorato dalla Chiesa per distinguerlo da questa versione leggendaria. Ma non si
è limitato a questo: ha evidenziato la differenza profonda tra queste due
figure: «Non ho detto loro che Babbo Natale non esiste, ma abbiamo parlato
della necessità di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. Così ho
fatto l’esempio di San Nicola di Myra, un santo che portava doni ai
poveri, non regali. Ho voluto spiegare che una cultura consumistica come quella
dei regali è diversa da una cultura del dono che invece è alla base del vero
messaggio del Natale. Gesù bambino nasce per donarsi all’umanità
intera». Specialmente ai poveri.
Perché, ha spiegato ai giornalisti mons. Staglianò, «san Nicola, a
differenza di Babbo Natale, non faceva distinzioni tra bambini ricchi e bambini
poveri. Babbo Natale visita solo le case dei bimbi che hanno dei genitori che
possono permettersi di comprare loro un regalo. Ricordo che quand’ero bambino
un anno non visitò casa mia, perché quell’anno mio padre non lavorava».
Il consumismo inghiotte Gesù
Ma non solo: il vescovo ha anche sostenuto che ad aver creato l’immagine
odierna del vecchio barbuto vestito di rosso è stata la Coca Cola (tesi poi
contestata in base al ritrovamento di una immagine che risale a molto tempo
prima che fosse fondata la celebre ditta di bibite): «Un personaggio
immaginario, inventato dalla Coca-Cola, che porta i regali solo a chi ha i
soldi», spiega mons. Staglianò.
Perché, alla fine, il bersaglio del suo attacco a Babbo Natale è la società
consumistica. Perché il Natale che noi oggi festeggiamo rischia di non essere
più quello cristiano, ma quello del consumismo: «Il problema vero è che il
Natale non appartiene più alla cultura cristiana, ma a una cultura consumistica
del mangiare, bere e vestire. Poi vai a vedere, e le chiese sono vuote…».
A scomparire, soppiantato da Babbo Natale, è stato Gesù: «Ormai, come
diceva don Tonino Bello, il Natale è una festa senza il festeggiato». Non è
più, insomma, una festa cristiana: «Il Natale non ci appartiene più, perché le
sue parole, i suoi simboli e le sue azioni sono state risucchiate dal buco nero
dell’ipermercato».
Parole che riecheggiano quelle di mons. Pompili, vescovo di Rieti, che, nel
2019, in occasione della visita di papa Francesco a Greccio, aveva osservato:
«La reinvenzione del Natale ad opera della Coca Cola in America; è stato parte
di questo processo che ha trasformato il Bambinello in Babbo Natale (…). Questa
reinvenzione accade di vederla anche nelle grandi catene di supermercati dove
non si parla di presepe ma dei borghi antichi. E allora si vede il presepe
senza grotta che è come parlare di Natale senza il festeggiato».
Dio nasce nella povertà
Ma in questa denunzia della società consumistica c’è anche una forte
valenza sociale: «Il vero significato del Natale è racchiuso in quella grotta,
al freddo e al gelo, dove Gesù bambino viene alla luce in una culla tra la
paglia che non era certamente quella spedita da Amazon, ma era invece
circondata dai bisogni del bue e dell’asinello. Perché è lì, nella povertà di
quella grotta, che è nato Gesù. Quindi, il messaggio per i bambini è quello di
ascoltare la voce di Gesù che dice: ora vai dai tuoi genitori e spiega che
nessuno deve nascere più nelle condizioni in cui è nato Gesù».
«Dove nasce, oggi, Gesù?» è stato chiesto dall’intervistatore. E la
risposta di mons. Staglianò, che è, tra l’altro, il vescovo delegato della
Conferenza episcopale siciliana per l’Immigrazione: «Penso a quelle donne che
partoriscono in barconi sovraffollati in mezzo al mare, ecco è lì, in quel
grido di dolore che oggi nasce Gesù. La sua nascita è un atto di amore, così i
bambini quando riceveranno i regali dovranno pensare ai loro coetanei che
non potranno riceverli, non coltivando più l’egoismo di dire è tutto mio».
Comprendiamo il perché della levata di scudi che ha accolto questa presa di
posizione. Nel mondo occidentale si è attualmente divisi tra coloro che
vorrebbero abolire addirittura il Natale, sostituendolo con una più neutra
“Festa del solstizio d’inverno” o, come nel documento proposto dalla
Commissione UE (poi ritirato per le proteste), con l’ancora più neutra
“festività” e coloro che invece tengono ancora a questa ricorrenza (sono loro
ad avere protestato), ma che la identificano con il cenone, i panettoni, i
regali. Non a caso Babbo Natale non viene più tanto a sorvolare i presepi, ma
piuttosto gli alberi di Natale, assai meno impegnativi sul piano religioso, e
anzi ammiccanti a una prospettiva ecologica che esalta la natura al posto del
Dio cristiano.
Il vescovo di Noto ha osato dire questo ai bambini – che sapevano
benissimo, ovviamente, dell’inesistenza di Babbo Natale (ormai i bambini sanno
molte più cose, – anche sul sesso e su tutto il resto – degli adulti) –
sfidando, in realtà, non la loro fede nel vecchio barbuto vestito di
rosso, ma quella nel primato delle “cose” che si vedono e si toccano (i regali
costosi) rispetto a un Dio che ha avuto la pessima idea di nascere povero.
Solo a dei miserabili pastori – gli emarginati delle società ebraica di
allora – fu rivelato il grande evento: «Questo per voi il segno: troverete un
bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Questo sarebbe il segno?
In realtà, è come se l’angelo dicesse che non c’è nessun segno.
Bisogna aprire gli occhi sull’invisibile.
E tuttavia è qui, in questa povertà di segni, che Dio nasce tra gli uomini.
«E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che
lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace
agli uomini, che egli ama”» (Lc 2,12-14).
Era là tutta la gloria di Dio. L’unico che lo ha capito, ed è quasi uscito
di senno per lo stupore, è lo “spaventato”, una delle figurine tipiche dei presepi
di una volta, che fugge a braccia aperte.
Sì, hanno fatto bene i genitori, la stampa, perfino il New York Times, ad
allarmarsi.
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