LE TRE VIE
DEGLI ARTIGIANI DI PACE
Papa Francesco, nel suo messaggio per la prossima giornata mondiale della pace (1 gennaio) invita ogni persona e ogni istituzione a costruire la pace, con coraggio e creatività.
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO
PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2022
Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di
sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto
all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché
ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti
sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli
inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di
pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della
storia, l’inizio di un futuro luminoso.
Ancora oggi, il cammino della pace, che San
Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo
integrale, [1] rimane
purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della
famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici
sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante
rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni
pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado
ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare
un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione
solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei
poveri e della terra [2] non
cessa di levarsi per implorare giustizia e pace.
In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno
condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le
diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che
coinvolge ognuno di noi in prima persona. [3] Tutti
possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio
cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai
rapporti fra i popoli e fra gli Stati.
Vorrei qui proporre tre vie per la costruzione di una pace
duratura. Anzitutto, il dialogo tra le generazioni, quale base per
la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione,
come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per
una piena realizzazione della dignità umana. Si tratta di tre elementi
imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», [4] senza
il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.
2. Dialogare fra generazioni per edificare la pace
In un mondo ancora stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi
ha causato, «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi
privati e altri la affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza
egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il
dialogo tra le generazioni». [5]
Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica,
esige sempre una fiducia di base tra gli interlocutori. Di questa fiducia
reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha
amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi.
Alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e
la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa.
In essa, però, può esprimersi anche il meglio delle persone. Infatti, proprio
durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze
generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.
Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare
insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il
terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di
una pace duratura e condivisa.
Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le
generazioni, le crisi contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da
un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e
spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno,
dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.
Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a
meno del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che
portano avanti la storia – i giovani –; e neanche della disponibilità di ognuno
a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena
perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e
futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel
dialogo fra le generazioni la forza motrice di una politica sana, che non si
accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi o soluzioni veloci», [6] ma
che si offre come forma eminente di amore per l’altro, [7] nella
ricerca di progetti condivisi e sostenibili.
Se, nelle difficoltà, sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale
«potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare
il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per
guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per
alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far
fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli
altri». [8] Senza
le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?
Basti pensare al tema della cura della nostra casa comune. L’ambiente
stesso, infatti, «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere
alla generazione successiva». [9] Vanno
perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si stanno impegnando per
un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato, affidato alla nostra
custodia. Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo, soprattutto con senso di
responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, [10] che
ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e
socio-ambientale [11] .
D’altronde, l’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può
prescindere dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del
dialogo intergenerazionale. È l’educazione a fornire la grammatica del dialogo
tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di
generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze,
esperienze e competenze in vista del bene comune.
3. L’istruzione e l’educazione come motori della pace
Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il
bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che
investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo
umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono
indispensabili per la difesa e la promozione della pace. In altri termini,
istruzione ed educazione sono le fondamenta di una società coesa, civile, in
grado di generare speranza, ricchezza e progresso.
Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato
al termine della “guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo
esorbitante. [12]
È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo
elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli
investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti.
D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non
può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando
risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la
scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.
Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più
consistente impegno per promuovere la cultura della cura. [13] Essa,
di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle istituzioni, può
diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un
Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze
culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile,
la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la
cultura della famiglia, e la cultura dei media». [14] È
dunque necessario forgiare un nuovo paradigma culturale, attraverso «un patto
educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le
comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i
governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature». [15] Un
patto che promuova l’educazione all’ecologia integrale, secondo un modello
culturale di pace, di sviluppo e di sostenibilità, incentrato sulla fraternità
e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente. [16]
Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la
strada maestra che le conduce, attraverso una specifica preparazione, a
occupare con profitto un giusto posto nel mondo del lavoro. [17]
4. Promuovere e assicurare il lavoro costruisce la pace
Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace.
Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica,
collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa
prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il
nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.
La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione del mondo del lavoro,
che stava già affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e
produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili;
molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla
coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi
generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre,
i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella
disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche.
In particolare, l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso
coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono
riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in
condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme
di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga.
A ciò si aggiunga che attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in
età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo
in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità
organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando
l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa
situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di
lavoro dignitoso.
Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà
in ogni comunità. Per questo, «non si deve cercare di sostituire sempre più il
lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe
sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa
terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione
personale». [18] Dobbiamo
unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni,
affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il
proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società.
È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative
decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato.
Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e,
nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché
il profitto non sia l’unico criterio-guida.
In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative
che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani
fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo
le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà
imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo
sociale, tanto più diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana,
partecipando così a loro volta alla costruzione della pace. Su questo aspetto
la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un giusto
equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. E tutti coloro che
operano in questo campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori
cattolici, possono trovare sicuri orientamenti nella dottrina sociale
della Chiesa.
Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire
dalla pandemia, vorrei rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono
impegnati e continuano a dedicarsi con generosità e responsabilità per
garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le
cure mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire
sostegno economico alle persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E
assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e le loro
famiglie.
Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai
pastori e agli animatori delle comunità ecclesiali, come pure a tutti gli
uomini e le donne di buona volontà, faccio appello affinché insieme camminiamo
su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il lavoro.
Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza
far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace.
E che sempre li preceda e li accompagni la benedizione del Dio della pace!
Dal Vaticano, 8 dicembre 2021
Francesco
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