del Covid 19
- di Luigi Sanlorenzo (*)
Illustrazione di Gaver
La fiducia è il collante che tiene unita, o in mancanza scompone tragicamente,
la comunità umana sin dai primordi. Già nelle prime esperienze di convivenza
sociale fu necessario vincere la diffidenza e la paura verso l’altro, spesso
nemico nella disputa per le prede o per i territori di caccia, percependo la
necessità di affrontare il rischio, in vista dei vantaggi che il passaggio da
un’individualità selvaggia ad una dimensione aggregativa avrebbe potuto
comportare.
A differenza della fede che trascende la realtà e confida in concetti
astratti, non richiedendo riscontri probanti degli assunti che
proclama in quanto rivelati e non negoziabili, la fiducia è un processo molto
complesso per quanti la ricercano e soggetta a tanti pericoli per coloro che devono
concederla.
Esiste una fiducia biologica, basata in larga misura sulla dipendenza per
il nutrimento, che fonda il legame tra la femmina di ogni
specie animale e i propri piccoli, sin dalla nascita. Il fenomeno a
lungo studiato dall’etologo Konrad Lorenz ed esposto nell’opera nota come L’anello
di Re Salomone, pubblicata nel 1949 è ricompreso nella più
ampia definizione di imprinting ed è ormai scientificamente
accertato e universalmente accettato.
Come successivamente sperimentato ed approfondito dagli psicologi del
comportamento e dagli antropologi, esso consiste nel seguire istintivamente e
sino al raggiungimento dell’autonomia il soggetto che il nuovo nato vede per
primo e che gli assicura il nutrimento, la protezione e l’interazione con l’ambiente.
Non si tratta di un sentimento ma di un istinto necessario alla sopravvivenza.
Di tutt’altra natura sono la fiducia sociale e l’ancora più complessa
fiducia politica in cui entrano in gioco anche elementi di piena
consapevolezza. Diamo fiducia perché ci aspettiamo qualcosa di buono da
qualcun altro, ma non ne siamo certi, tuttavia le cose che sappiamo, il
carico cognitivo e quelle che sentiamo, il carico emotivo, sono
qualcosa di più di una mera speranza; quindi, solo dopo aver fatto una
sintetica ricognizione dei costi e dei benefici futuri e abbandonando le esitazioni,
ci inoltriamo nel rapporto fiduciario.
Il clima di profonda insicurezza generato dalla pandemia
e dagli effetti economici e sociali che esso sta comportando, è una condizione
ideale per esaminare il tema, individuarne i rischi, contenerne gli effetti
che, anche sul piano politico ed istituzionale, possono essere devastanti.
Oggi la fiducia è considerata la risorsa più preziosa
in ogni campo a motivo del fatto che nelle società evolute la delega a qualcuno
che operi a tutela degli interessi collettivi è in larga misura volontaria,
discrezionale e soggetta a oscillazioni di ogni genere. Anche nelle
organizzazioni più gerarchiche o autoritarie, il tasso di realizzazione dei
risultati è funzione del livello di fiducia che intercorre tra il vertice e la
base e viceversa, non potendo essere in alcun modo assoggettata al controllo l’intera gamma delle variabili del comportamento
umano.
La sociologia suole distinguere all'interno di questo sentimento morale che
permea l'ordine sociale almeno tre tipi di fiducia: la fiducia sistemica o istituzionale,
ossia quella che gli attori sociali ripongono verso l'organizzazione naturale e
sociale nel suo insieme, la fiducia personale o interpersonale,
quella che gli attori rivolgono agli altri attori sociali, l’ autoreferenza o
fiducia in sé stessi.
La fiducia sistemica è stata analizzata dai fondatori
della sociologia Max Weber ed Emile Durkheim anche se non in maniera
nitida come dai successivi scienziati sociali. Come nota Antonio Mutti nell’opera Capitale
sociale e sviluppo - La fiducia come risorsa, Il Mulino, Bologna, 1997
«Si tratta (...) di una presenza confusa con quella di legittimità, consenso,
cooperazione, solidarietà.
Il concetto di fiducia interseca indubbiamente tutte queste dimensioni, ma
non si confonde con esse; ha diritto, perciò, a uno statuto specifico, come ben
traspare dalle brevi ma dense note di Georg Simmel, l'unico grande
classico del pensiero sociale che ha trattato la fiducia come categoria
specifica d'analisi».
E ancor prima dei padri fondatori della sociologia, l'idea che i soggetti
stipulino un contratto sociale tra di loro era a fondamento delle teorie
contrattualistiche del giusnauralismo.
La fiducia interpersonale, sempre secondo Antonio Mutti, viene, allora,
prioritariamente definita come «l'aspettativa che Alter non
manipolerà la comunicazione o, più specificamente, che fornirà una
rappresentazione autentica, non parziale né mendace, del proprio comportamento
di ruolo e della propria identità. L'aspettativa di Ego concerne
cioè la sincerità e credibilità di Alter, intese come trasparenza e
astensione dalla menzogna, dalla frode e dall'inganno».
L’ autostima o fiducia in se stessi, infine, deriva da elementi
cognitivi ovvero dal bagaglio di conoscenze di una persona, la conoscenza
di sé e di situazioni che vengono vissute dal soggetto; elementi affettivi che
vanno ad influenzare la nostra sensibilità nel provare e ricevere sentimenti,
che possono essere stabili, chiari e liberanti; elementi sociali che
condizionano l'appartenenza a qualche gruppo e la possibilità di avere
un'influenza sul medesimo e di ricevere approvazione o meno dai componenti.
Si tratta di concetti abbastanza noti, se non addirittura basici nella
formazione universitaria e manageriale, rispetto ai quali tuttavia, lo sviluppo
degli studi compiuti dalle neuroscienze sta aprendo nuovi e più interessanti
orizzonti che il mondo della comunicazione segue con grande attenzione, pur nell’eterogenesi
dei fini che sconfina nella disinformazione attraverso i social e
nell’ormai dilagante fenomeno della produzione di fake news.
Nel saggio Not so different after all: across-discipline view of
trust, pubblicato in Academy of management Review, Vol. 23,
1998, gli accademici Denise M. Rousseau (Carnegie Mellon) Sim Sitkin
(Duke) Ronald S. Burt (Chicago) e Colin Farrell Camerer
(Pasadena) descrivono le differenti forme di fiducia
secondo quattro tipologie.
La fiducia basata sul deterrente (Deterrence-based trust): un
agente crede che l’altro si comporterà in maniera affidabile perché le sanzioni
che riceverebbe nel caso in cui tradisse la fiducia sono più costose di
eventuali benefici opportunistici. La questione che rimane aperta riguardo a
questo tipo di fiducia è il rapporto con il controllo:alcuni sostengono infatti
che la fiducia basata sul deterrente non possa chiamarsi propriamente fiducia,
anche se favorisce la cooperazione. Altri fattori, ad esempio, la coercizione,
possono infatti incentivare un comportamento cooperativo, ma spesso più che
forme di fiducia sono forme di controllo. In realtà, il rapporto tra fiducia e
controllo è molto complesso.
La fiducia basata sul calcolo (calculus-based trust): si fonda
su una scelta razionale, tipica degli scambi economici. Il trustor ha
la percezione che il trustee intenda compiere un’azione
vantaggiosa per lui.
Le parti si fidano, ma dietro verifica. Il concetto di verifica non è
purtroppo approfondito: da un lato, è sicuramente precedente alla decisione di
fidarsi, nel senso che per fidarsi sono necessarie alcune condizioni:informazioni
sull’affidabilità del trustee dall’altro, potrebbe anche
essere con verifica “postdecisione” ossia controllo dell’operato del trustee una
volta che il compito gli sia già stato affidato.
La fiducia relazionale (relational trust): deriva dalle
interazioni ripetute. La reputazione è costruita dall’esperienza diretta. Non
solo, secondo gli autori in questo caso interviene anche l’emozione, poiché le
interazioni frequenti e a lungo termine formano un attaccamento basato sulla
preoccupazione e la cura interpersonale. Essa può anche superare eventuali
violazioni, a differenza della fiducia basata sul calcolo, che ne sarebbe
invece penalizzata fino all’interruzione di ogni relazione. La forma più
elevata di questa fiducia, che loro chiamano “affettiva”, è la
fiducia basata sull’identità, definizione mutuata dal prestigioso studio
di consulenza manageriale statunitense Cameron
MacAllister Group, di Orinda, California.
La fiducia basata sull’istituzione (institution-based trust) è
la fiducia basata sull’esistenza di sistemi legali per proteggere
dall’assunzione di rischio insita nella decisione fiduciaria. Così come per
la deterrence-based trust, il problema sollevato è: si tratta di una
forma di fiducia o di una forma di controllo? Per tutti coloro che hanno
studiato il tema, resta comunque impregiudicato il concetto che la
fiducia poggi su tre dimensioni declinabili e integrabili con pari intensità:
il comportamento (behaviour ) la competenza (competence) la benevolenza
in senso lato (goodwill) testimoniate
concretamente dal profilo di coloro che aspirano ad
ottenerla. Un’ utile e sintetica metodologia ad excludendum, secondo
l'espressione coniata negli anni settanta dal giurista e politico
Leopoldo Elia, da tenere a mente quando sarà il momento di scegliere
da chi e come si vuole essere governati, ma valida frattanto per valutare chi
già oggi esercita il potere, sia esso legislativo, esecutivo o giudiziario. |
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Nella prima fase dell’epidemia da Sars
Covid 19 in Italia la fiducia è stata massiccia perché richiesta nella forma
più semplice e meno discrezionale: il divieto totale della circolazione
sociale, corredato da un impianto sanzionatorio fortemente centralizzato e da
controlli severi. Un ruolo determinante è stato giocato dai media che hanno
veicolato le immagini drammatiche relative ai decessi ed al livello di massima
abnegazione del personale sanitario.
Tutto sommato, quel livello di fiducia,
pur se costantemente insidiato, permane ancora nella società
italiana, nonostante la residua presenza di irriducibili apostoli del
negazionismo del virus e dell’efficacia dei vaccini. Una protesta sterile che,
dietro il falso schermo del rifiuto del vaccino e del green pass con
motivazioni “lunari” coinvolge un buon 5% dell’elettorato italiano che fa gola
a tutti i partiti in competizione per i prossimi, fatali, appuntamenti
elettorali.
Alcuni di essi hanno finora cavalcato
questa “tigre” ponendosi cinicamente a metà strada tra la responsabilità
sociale e l’interesse di parte che tornerà a scatenarsi dopo l’elezione del
nuovo Presidente della Repubblica. Un ruolo ambiguo che non può più essere
tollerato.
La situazione attuale vede,
intanto, una parte significativa del corpo sociale, sovente proprio
la più debole, non aver più fiducia nella Scienza, nella
Cultura e nelle Istituzioni anche a motivo,
forse, dell’eccessivo protagonismo televisivo di esponenti, talvolta
anche qualificati, dell’una e delle altre. Se tale sfiducia dovesse
prevalere andando in soccorso delle forze sovraniste, non sarebbero a rischio
la razionalità collettiva e l’irrinunciabile capacità di giudizio ma, anche,
l’inevitabile ricaduta del Paese nei momenti più bui della propria storia, dando
un colpo mortale e quella nuova immagine che l’Italia sta costruendo
nell’Europa del dopo Merkel e che si proietterà nei prossimi venti anni.
Non va dimenticato, infatti, che i Paesi
“frugali” (si veda il mio articolo https://www.linkiesta.it/2020/07/conte-recovery-fund-olanda-stati-frugali/ ) che
con crescente diffidenza hanno guardato negli anni l’Italia spendacciona e
inaffidabile, la “aspettano al varco” e dispongono ancora di un consistente,
seppur meno diretto, potere di interdizione sulla concessione di
quegli aiuti che, attraverso gli scostamenti di bilancio, in realtà l’Italia
sta già spendendo, pur non avendo ancora realizzato le riforme strutturali e durature
poste a condizione dell’erogazione delle diverse tranche del
Recovery Plan.
L’ombra del “cigno nero” vaticinato e forse auspicato da economisti come
Claudio Bagnai, Alberto Borghi e l’ineffabile Antonio Maria Rinaldi, sotto
l’egida del ben più illustre professor Paolo Savona e la sotterranea, ma non
troppo, permanenza della Dottrina antieuropea di Grillo che, nonostante gli
ammiccamenti ambigui a Strasburgo, non è mai
mutata, diventerebbe sempre più incombente.
Detto in parole inequivocabili, prenderebbe consistenza il disegno non di
abbandonare l’Unione, cui larga parte degli italiani crede ancora e che non accetterebbe,
ma di farsene cacciare per inadempienza, recitando poi - in una tragica
riedizione del coro giallo/ verde/ nero nuovamente riunito a cantare una messa
da requiem - il ruolo di vittime incolpevoli.
In acque tanto agitate, certa Sinistra estrema di vecchio e nuovo conio,
nostalgica, stancamente ideologica o distopica - anch’essa populista a suo modo
- anziché utilizzare il proprio ruolo determinante per la tenuta del Governo e
l’accelerazione del processo di transizione, preferisce recitare il ruolo
del Naucrates Ductor, pesce più noto come remora,
che accompagna in modo simbiotico ogni cetaceo che si rispetti. Esso
nuota nella bocca dell’animale vivo per nutrirsi dei residui di cibo rimasti
tra i denti, dei parassiti che lo infestano e anche degli escrementi,
sentendosi per ciò stesso utile ed indispensabile, ma, se dovesse ostacolarne i
movimenti vitali, ne decreterebbe invece la morte, diventandone così il
saprofita.
Si vigili, dunque, su coloro che si pensa di
controllare istituzionalizzandoli, ricordando ciò che Woody Allen, con
irraggiungibile ironia ebraica, ha affermato: “Il leone e il vitello giaceranno
insieme. Ma il vitello non dormirà molto.”
(*) Giornalista e saggista. Presidente Associazione
PRUA
http://www.luigisanlorenzo.it/
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