La fotografia dell’Istat, i modelli, i calcoli e i timori esistenziali
E QUI
CI RITROVIAMO A PENSARE L’INCUBO DI CITTÀ SENZA FIGLI
Era una bella città. Ordinata, le aiuole curate, le case
ben tenute. I vetri dei grattacieli avveniristici scintillanti al sole. Vetrine
lussuose in centro, e ressa nei negozi, sotto Natale. Tuttavia un visitatore
casuale notava che mancava qualcosa. Che cosa esattamente, dapprima non capiva.
All’una passò davanti a un edificio d’epoca a tre piani. Scuola elementare,
c’era scritto sul portone. Il visitatore tese l’orecchio in attesa della
campanella di fine lezioni. Ma, niente: nessuna campana, nessun fragoroso
precipitare di passi e voci giù per le scale, né l’allargarsi di grembiuli neri
in cortile, in crocchi, attorno a un mazzo di figurine Panini. Nulla di tutto
questo: perché la grande scuola era chiusa. Didattica a distanza? Si chiese lo
straniero, stupito. Camminando, nel pomeriggio, non sentì per le strade eco di
calci al pallone, né di 'gol!' gridati a squarciagola. I cortili, perfettamente
silenziosi, erano vuoti. Né, sotto ai campanili, dagli oratori si sentivano
voci o canzoni. Ma dove sono andati i bambini? si chiedeva l’uomo. Neppure a
sera, dalle finestre, le voci delle madri, come quando bambino era lui – quel
coro di nomi gridati all’ora di cena, quando uno della banda correva via con la
palla sottobraccio, e la partita era finita.
Andò alla Maternità dell’ospedale, chiese della nursery.
Non c’è più alcuna nursery, gli disse un’infermiera. L’uomo vide dietro una
vetrata le file di culle vuote e se ne uscì, zitto. È soltanto un
brutto sogno, naturalmente. Può capitare però di farne così, davanti all’ultimo
dato Istat: nel 2020 i nati in Italia sono stati appena 405mila, un record
negativo, e si presume dalle proiezioni che nel 2021 si scenderà sotto ai
400mila. Certo, nel ’20 il Covid ha pesato come piombo sulle famiglie. Nel ’21
si assiste a una certa ripresa ma niente, la paura ad avere figli permane. D’altra
parte, anche prima della pandemia il precariato generalizzato o i tempi del
lavoro non erano fatti per incoraggiare a procreare. Né il sospetto, in tante
ragazze, di dover scegliere: un figlio, o la carriera. Possiamo ringraziare
naturalmente la scarsità di asili e di nidi, e la scomparsa delle grandi
famiglie, dove una mano qualcuno te la dava. E anche una cultura dominante per
cui l’aborto è una scelta ragionevole e 'normale'. Allargando la sguardo, un pegno
la natalità lo paga anche a certo ecologismo che annuncia inevitabili
catastrofi. «Sul clima manca un minuto a mezzanotte», ha detto dopo la Cop 26
Boris Johnson – non è frase delle più incoraggianti, se vuoi
diventare madre. Tutto congiura insomma contro la natalità nei Paesi
occidentali, ma in questa classifica l’Italia è ai primi posti. Certo,
quanto a politiche familiari e di conciliazione
maternità-lavoro non abbiamo mai brillato. Però non è,
ammettiamolo, solo una questione economica: se oggi una coppia a
26 anni ha un figlio, i coetanei laureati e in carriera ne sono
meravigliati. Gli stessi adulti spesso commentano: «Così
presto? Che si divertano, finché possono...». Oltre ai nidi mancanti,
agli orari impossibili, al precariato, esiste, fra i benestanti l’«opzione
zero»: quando hai un bambino hai finito di divertirti, viaggiare, di
fare quello che ti pare. Cultura, pandemia, motivati timori, tutto
congiura a diminuire la natalità. Eppure, dietro a tante concrete obiezioni si
avverte fra noi un dubbio non detto: ma, ne varrà poi la pena? È così bello
questo mondo, da spingere un nuovo figlio sulla scena?
Non è anche questo retropensiero a svuotare le nursery
italiane? Le nostre grandi città le vedi piene di bambini filippini,
pachistani, nordafricani. I più poveri hanno meno paura? O, scampati alla fame
o alla guerra, hanno più voglia di vita?
Nelle periferie, nei caseggiati popolari, i loro figli ci
sono, non tanti, ma un po’ di più. I quartieri residenziali invece sempre più
silenziosi: cani al guinzaglio nei giardini, e altalene immote. E dal piano di
sopra, non uno strillo o un rincorrersi, che dica: qui, tuttavia, è arrivato un
bambino. Che cosa cambia una simile denatalità? Tanto, dentro al cuore di un
Paese: se non si sa più, in fondo, per chi, per che cosa costruire e combattere
– se tutto, tanto, finisce con noi.
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