TANTE
RAGIONI PER RIPETERCI ANCORA E SEMPRE BUON NATALE
Quel che va in scena, nella storia delle
culture umane, dall’Annunciazione alle figurine del Presepe è la nascita di
un’antropologia, quella cristiana, dove 'prima' viene la vita al di là dei
panni (Re del mondo o poveraccio, reietto) che indosserà.
Cristianità ovvero Europa, cioè la nostra
'cultura' (quella che si pone il problema di non offendere le
culture degli altri), si gioca su un sentire fondativo di una
capacità di accoglienza dell’umano – eccedente nel suo mistero a
tutte le sue condizioni naturali, biologiche e culturali –
affacciatasi alla storia nell’esperienza cristiana della
vita. Esperienza che ha proposto alla civiltà del Mediterraneo, regnanti
Augusto e Tiberio,
quello che sarebbe di- venuto il
suo patrimonio morale distintivo: una dignità dell’uomo che non è nella
disponibilità di nessun potere umano (che la può solo riconoscere), ma solo
dell’amore, della fondativa solidarietà universale del fatto umano garantito
nella paternità
incarnata di
Dio. E poiché è stata, è divenuta, questa capacità è possibile, e abbiamo una
natura conforme a essa. È un fatto storico, perché è stata concepita nel cuore
dell’accoglienza umana, la cui ispirazione divina è il vero miracolo del
cristianesimo.
L’esperienza cristiana della vita come
questa capacità di accoglienza del divino dell’uomo, dell’uomo come gli venga come a lui
«divino», è il contenuto antropologico dell’Incarnazione cristiana nella scena
dell’Annunciazione. Perché la stessa divinità di Cristo lì è stata «concepita»
( afferrata dal cuore e dalla
ragione) nel seno di Maria e nel cuore di Giuseppe: nella loro accettazione
della rottura dell’ordine naturale (Maria che dice sì, che accoglie l’annuncio,
l’iniziativa di Dio, anche se è immacolata e «non conosce uomo», Luca 1,34); e
dell’ordine culturale (Giuseppe che pensò di rimandarla in segreto, e non lo
fece e tenne con sé la donna, Matteo 1, 18-24). Il Cristianesimo è stato inventato, 'trovato', da
questo, da questo puro
genio dell’accoglienza, che ti libera da tutto, da tutte le condizioni date; che
fa incarnare il divino in mezzo agli occhi, che ci fa vedere divino ogni uomo
che ci venga incontro o che incontri caduto sulla strada. La morale del Samaritano ne è la
logica conseguenza.
Come divenire storico – è la sua
perenne scommessa educativa, il cuore dell’evangelium, al di là delle
abissali cadute ha vissuto e che continua a vivere –
il cristianesimo è la trasmissione di questo genio dell’accoglienza dell’umano.
Cristo è il Maestro-testimone di questo genio, di questa
personalizzazione della fede in cui
metto il mio cuore su un altro, in un altro in un incontro che mi rinnova. E mi
fa libero, libero da ogni condizionamento del Potere.
'Buon Natale' è l’invito e l’augurio ad
ogni uomo a 'ri-nascere' così, libero, accogliente; quale che sia la sua
cultura, la sua razza, la sua religione (il nome dell’unico Dio che gli è
nativo, e persino del non-Dio del suo possibile ateismo; dove per Dio, se c’è,
l’uomo resta solo un’occasione). 'Buon Natale' è l’augurio più inclusivo che
c’è. Solo un’Europa ed europei che non sanno più chi sono, possono pensare di
offendere augurandosi ed augurando 'Buon Natale'.
Buon Natale – laicamente,
interreligiosamente, interculturalmente – significa solo 'rinasci': non come
sono io, ma in te, come sei tu, solo migliore – per te e per i tuoi fratelli.
Per i cristiani, qualcosa in più: ricordati del Bambino (e del Maestro che è
divenuto) che te lo ha insegnato. A meno che l’invito a 'rinascere'
all’incontro con gli altri non sia proprio quello che si vuole evitare; troppo
impegnativo. Meglio 'Buone feste', per consumare senza essere disturbati un po’
di più e non cambiare niente dei giorni feriali finite le feste. L’avevano
capito i pastori. Possibile non lo capiscano i dottori del Sinedrio europeo?
Buon Natale a tutti.
*Filosofo, Università Federico II Napoli
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