i principi e le riforme
NELLA CARTA
TUTTI E
CIASCUNO
-
di BRUNO FORTE
Riguardo alle recenti votazioni parlamentari che hanno aperto la strada alla cosiddetta “autonomia differenziata” e al “premierato” deve far riflettere il fatto che centottanta costituzionalisti di peso abbiano lanciato un appello tanto rigoroso, quanto documentato, in cui tra l’altro si legge: «La creazione di un sistema ibrido, né parlamentare né presidenziale, mai sperimentato nelle altre democrazie, introdurrebbe contraddizioni insanabili nella nostra Costituzione. Una minoranza anche limitata, attraverso un premio, potrebbe assumere il controllo di tutte le istituzioni, senza più contrappesi e controlli. Il Parlamento correrebbe il pericolo di non rappresentare più il Paese e di diventare una mera struttura di servizio del Governo, distruggendo così la separazione dei poteri. Il Presidente della Repubblica sarebbe ridotto ad un ruolo notarile e rischierebbe di perdere la funzione di arbitro e garante».
La Costituzione è in
realtà un testo di singolare saggezza, nato dalla confluenza delle grandi anime
culturali, che cooperarono alla ricostruzione fisica e morale del Paese dopo la
tragedia della guerra e della dittatura che ad essa aveva condotto l’Italia:
l’anima cattolica, quella liberale e quella socialista. È tuttavia in modo
particolare al personalismo di ispirazione cristiana che la legge fondamentale
dello Stato repubblicano deve… sua fonte più ricca in materia di valori. Questa
fonte era stata compendiata nel Codice di Camaldoli, testo programmatico di
politica economica, elaborato al termine di una settimana di studio (18-23
luglio 1943), tenutasi nel monastero di Camaldoli, cui avevano partecipato una
cinquantina di giovani dell’Azione Cattolica e della Fuci, per stabilire le
linee dello sviluppo futuro del Paese, una volta finita la guerra.
Fra di essi non pochi sarebbero stati fra i protagonisti centrali della nuova Italia. Nei 99 punti del testo emergeva l’idea della centralità della persona umana nella futura organizzazione dello Stato e della sua economia, congiunta a quelle della corresponsabilità, della cooperazione, della mutualità e della solidarietà nazionale. Ora, se si guarda ai principi ispiratori della Costituzione non può non nascere la domanda se siano compatibili con essi le riforme che si vorrebbero tradurre in legge: un primo principio è quello della singolarità e dell’uguaglianza di ogni cittadino, fondato sull’irripetibile dignità di ogni persona umana.
La Costituzione recepisce questo principio nell’art. 2, dove si
afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo». Questi diritti sono considerati naturali, non creati, cioè
giuridicamente dallo Stato, ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è
suggerita dall’uso della parola “riconoscere”, che implica la preesistenza di
essi rispetto al loro riconoscimento giuridico. Si avverte qui il sintomo della
reazione al totalitarismo e alla sua concezione dello Stato come fonte assoluta
del diritto: ma non si può escludere la riserva espressa verso forme
costituzionali in cui una singola persona verrebbe ad assommare in sé
vastissimi poteri, come accadrebbe appunto nel caso del “premierato”. L’intero
equilibrio dei poteri è fondato nella nostra Costituzione sul rifiuto di una
tale concentrazione e sulla distribuzione articolata delle funzioni e delle
potestà decisionali. La stessa figura del Presidente della Repubblica, oggi
mirabilmente rappresentata da Sergio Mattarella, si profila soprattutto come
quella di un garante di un tale equilibrio, senza minimamente assommare in sé i
poteri sapientemente distribuiti e articolati.
L’altro principio alla
base della Costituzione è quello della responsabilità di ciascuno verso sé
stesso e verso gli altri. Di qui deriva l’importanza dell’appartenenza plurale,
che non solo non esclude la pluralità delle differenze, ma la suppone come base
di un’unità non formale né forzata, ricca della complessità del Paese reale e
della necessaria interrelazione fra le sue componenti. La domanda che qui nasce
è quella intorno alla proposta dell’autonomia differenziata: se non v’è alcun
dubbio che la Costituzione recepisca il principio di responsabilità affermando
il non meno importante principio del pluralismo, tipico degli stati
democratici, l’intero edificio costituzionale è pensato sulla feconda
articolazione della pluralità economica, sociale, culturale, territoriale.
Proprio perché la
Repubblica è dichiarata senza mezzi termini una e indivisibile, è riconosciuto
e tutelato il pluralismo delle formazioni sociali (art. 2), degli enti politici
territoriali (art. 5), delle minoranze linguistiche (art. 6), delle confessioni
religiose (art. 8), delle associazioni (art. 18), di idee ed espressioni (art.
21), della cultura (art. 33, comma 1), delle scuole (art. 33, comma 3), delle
istituzioni universitarie e di alta cultura (art. 33, comma 6), dei sindacati
(art. 39) e dei partiti politici (art. 49). In altre parole, la garanzia del
pluralismo è coniugata a livello costituzionale alla non meno importante e
necessaria affermazione dell’unità del Paese, decisiva e fondante rispetto alle
differenze.
Non può non porsi allora
la domanda se la differenziazione delle autonomie proposta dalla riforma in
cantiere rispetti adeguatamente quest’unità fondamentale: saranno le regioni
del Sud nelle loro varietà e articolazioni tutelate in modo analogo a quelle
del Nord più produttivo ed economicamente più avanzato? Il sapersi responsabili
verso sé stessi e verso gli altri, cardine del personalismo che ispira la
nostra Carta costituzionale, fonda non solo l’esigenza del rispetto del
diverso, ma esige anche il farsi carico da parte della Nazione intera del
bisogno e della tutela dei diritti di tutti. Nessun cittadino è un’isola, né lo
sono le componenti locali della nostra Italia, e a nessuno è lecito anteporre
egoisticamente il proprio bene al bene comune. Sarà tutelata nell’eventuale
attuazione della riforma proposta l’urgenza di coniugare il bene di ciascuno e
delle singole parti col bene di tutti?
La Costituzione recepisce
questo principio nell’art. 2, dove si afferma che «la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Questi diritti sono considerati
naturali, non creati, cioè giuridicamente dallo Stato, ma ad esso preesistenti.
Tale interpretazione è suggerita dall’uso della parola “riconoscere”, che
implica la preesistenza di essi rispetto al loro riconoscimento giuridico. Si
avverte qui il sintomo della reazione al totalitarismo e alla sua concezione
dello Stato come fonte assoluta del diritto: ma non si può escludere la riserva
espressa verso forme costituzionali in cui una singola persona verrebbe ad
assommare in sé vastissimi poteri, come accadrebbe appunto nel caso del
“premierato”.
L’intero equilibrio dei
poteri è fondato nella nostra Costituzione sul rifiuto di una tale
concentrazione e sulla distribuzione articolata delle funzioni e delle potestà
decisionali. La stessa figura del Presidente della Repubblica, oggi
mirabilmente rappresentata da Sergio Mattarella, si profila soprattutto come
quella di un garante di un tale equilibrio, senza minimamente assommare in sé i
poteri sapientemente distribuiti e articolati. L’altro principio alla base
della Costituzione è quello della responsabilità di ciascuno verso sé stesso e
verso gli altri. Di qui deriva l’importanza dell’appartenenza plurale, che non
solo non esclude la pluralità delle differenze, ma la suppone come base di
un’unità non formale né forzata, ricca della complessità del Paese reale e
della necessaria interrelazione fra le sue componenti.
La domanda che qui nasce
è quella intorno alla proposta dell’autonomia differenziata: se non v’è alcun
dubbio che la Costituzione recepisca il principio di responsabilità affermando
il non meno importante principio del pluralismo, tipico degli stati democratici,
l’intero edificio costituzionale è pensato sulla feconda articolazione della
pluralità economica, sociale, culturale, territoriale. Proprio perché la
Repubblica è dichiarata senza mezzi termini una e indivisibile, è riconosciuto
e tutelato il pluralismo delle formazioni sociali (art. 2), degli enti politici
territoriali (art. 5), delle minoranze linguistiche (art. 6), delle confessioni
religiose (art. 8), delle associazioni (art. 18), di idee ed espressioni (art.
21), della cultura (art. 33, comma 1), delle scuole (art. 33, comma 3), delle
istituzioni universitarie e di alta cultura (art. 33, comma 6), dei sindacati
(art. 39) e dei partiti politici (art. 49). In altre parole, la garanzia del
pluralismo è coniugata a livello costituzionale alla non meno importante e
necessaria affermazione dell’unità del Paese, decisiva e fondante rispetto alle
differenze.
Non può non porsi allora
la domanda se la differenziazione delle autonomie proposta dalla riforma in
cantiere rispetti adeguatamente quest’unità fondamentale: saranno le regioni
del Sud nelle loro varietà e articolazioni tutelate in modo analogo a quelle
del Nord più produttivo ed economicamente più avanzato? Il sapersi responsabili
verso sé stessi e verso gli altri, cardine del personalismo che ispira la
nostra Carta costituzionale, fonda non solo l’esigenza del rispetto del
diverso, ma esige anche il farsi carico da parte della Nazione intera del
bisogno e della tutela dei diritti di tutti. Nessun cittadino è un’isola, né lo
sono le componenti locali della nostra Italia, e a nessuno è lecito anteporre
egoisticamente il proprio bene al bene comune.
Sarà tutelata
nell’eventuale attuazione della riforma proposta l’urgenza di coniugare il bene
di ciascuno e delle singole parti col bene di tutti?
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