È una storia di sangue e sogni, come sempre la storia umana.
- - di Alessandro D’Avenia
Partiamo
dal mito. Europa, bellissima figlia del re fenicio di Tiro, vide comparire
sulla spiaggia un toro bianco. Incuriosita salì sul dorso del prodigioso
animale che entrò in mare e la portò verso ovest fino a Creta. Il toro si
rivelò essere Zeus che la violò. Europa non tornerà più e l’Occidente, dove era
sparita, prenderà il suo nome. Erodoto, storico greco, nel V sec. a.C. cercando
le cause remote della rivalità tra Oriente e Occidente dice che il mito cela
fatti meno prodigiosi ma altrettanto cruenti: i Fenici avevano rapito la
principessa greca Io e i Greci, per vendetta, avevano preso la figlia del re di
Tiro, Europa. Aveva così avuto inizio la catena di vendette e rapimenti che,
passando per la guerra di Troia, culminerà nelle guerre persiane, vinte dai
Greci uniti (Termopili, Maratona, Salamina...) contro l’invasore. Uno scontro
geopolitico che per Erodoto aveva nell’area del Bosforo il cardine: da un lato
l’Asia minore, i Persiani, dall’altro l’Europa, i Greci. Ma come può il nome di
una ragazza rapita diventare l’aggettivo che qualifica il parlamento per cui
ieri 370 milioni di persone di 27 Paesi erano chiamate a votare?
L’origine
del nome Europa è incerta, ma indicava il luogo dove si vedeva sparire la luce,
del Sole o di una ragazza. L’Europa è quindi solo un ovest per chi sta a est, o
una vocazione e quindi un compito?
Erodoto
se lo chiede e afferma che la differenza tra Asia (minore) ed Europa nonché
causa della loro rivalità era la forma di governo: i Persiani si sottomettono a
re dispotici, i Greci alle leggi. Sudditanza contro isonomia (uguaglianza di
fronte alla legge). Lo storico trovava l’elemento unificante dei Greci nella
difesa della libertà: questo aveva dato loro la forza di sconfiggere un impero
potente come il persiano, questo è il DNA greco dell’Europa.
In
questo frangente il collante per l’Europa diventò il cristianesimo.
Come?
Nel 476 d.C. l’ultimo imperatore d’Occidente, un adolescente, fu deposto, il
disordine dilagava tra le rovine dell’Impero. Benedetto, un ragazzo nato a
Norcia nel 480 d.C. da famiglia agiata, dopo essersi recato a Roma per gli
studi, l’aveva lasciata nel caos ma l’aveva conservata nel cuore e nella mente.
Ritiratosi sull’Appennino laziale, creò comunità guidate dalla sua Regola
(stessa radice di reggere), sintetizzata in: ora et labora, «prega e lavora».
Grazie a questi due inseparabili imperativi, i monaci e i laici delle terre
limitrofe formavano una comunità in cui non importava essere liberi o schiavi,
nobili o contadini, dotti o ignoranti, romani o barbari: tutti, dentro e fuori
dal monastero, collaboravano.
Quest’arte
di vivere armonizzava spirito e corpo, eterno e tempo, natura e lavoro,
tradizione e invenzione, singolo e comunità come mostrano i capolavori vivi
della tradizione benedettina: impianti cittadini che oggi ammiriamo nella
sintesi virtuosa tra abitato e campagna, viticultura e apicultura, arte medica
e officinale con le piante, agricoltura di terreni difficili, un sistema
embrionale di depositi e prestiti, gli scriptoria per copiare e meditare i
testi antichi, l’istruzione dei bambini, l’architettura delle abbazie, riti
quotidiani conservati in parole come colazione, pietanza, pranzo... L’Europa
diventa, come dice il grande sociologo Léo Moulin in La vita quotidiana
secondo San Benedetto: ”Una rete di fattorie modello, di centri di
allevamento, di focolai di cultura, di fervore spirituale, di arte di vivere,
di volontà di azione, in una parola, di civiltà ad alto livello che emerge dai
flutti tumultuosi della barbarie. San Benedetto è senza dubbio il padre
d’Europa».
Una
storia
Da
questi semi sbocceranno Medioevo e Rinascimento, che faranno dell’Europa un
capolavoro e un baluardo contro le invasioni, questa volta dell’Islam. Non si
dà Europa quindi senza aggiungere all’eredità di Atene e Roma anche quella di
Gerusalemme, cioè il giudeo-cristianesimo.
Purtroppo,
però l’Europa degli egoismi nazionali e delle guerre di religione tradì
quest’anima composita. Non a caso un genio come Novalis nel 1799, sconvolto
dalla cruenta frammentazione politica dovuta alle guerre napoleoniche,
riprendendo la tradizione umanistica europea (Erasmo da Rotterdam, Pico della
Mirandola), scrisse La cristianità ossia l’Europa, in cui cercava l’anima
perduta del continente.
Una
proposta inascoltata, con l’esito di inasprire le divisioni nazionali che
porteranno alla tragica storia del XX secolo.
Per
fare l’Europa non basta quindi una moneta comune, di comune serve un’anima: non
si dà altrimenti un corpo (sociale) vivo. L’Europa non è la somma di egoismi
nazionali ma una sinfonia: qual è lo spartito? L’Europa non si dà come identità
superiore, impregnata ancora di mentalità coloniale e bellica. L’Europa non si
dà come imposizione di regole dettate dalle economie più forti. L’Europa non si
dà senza Ucraina ma neanche senza Russia, perché come ripeteva Giovanni Paolo
II è una dall’Atlantico agli Urali. L’Europa non si dà senza una politica
condivisa nei confronti del fenomeno migratorio. L’Europa non si dà come
succursale della Nato ma come polo di una tensione geopolitica multipolare.
L’Europa non si dà senza una regolamentazione chiara degli enormi flussi di
capitale gestiti dai pochi gruppi economici e dalle aziende che oggi dominano
l’economia mondiale. L’Europa non si dà senza l’unione di chiesa cattolica,
protestante e ortodossa.
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