alle idee dei padri fondatori
- - di Bruno Forte
L’approssimarsi
delle elezioni al Parlamento europeo ripropone una domanda, alla quale si
fatica a rispondere in maniera univoca: quale Europa vogliamo? Una breve
memoria storica può aiutare a delineare una risposta, sia pur provvisoria:
appena dopo la Prima guerra mondiale Oswald Spengler aveva usato la categoria
di “tramonto” per evocare le tendenze dissolvitrici della modernità
europea-occidentale, in cui le due anime del Faust, la tecnica e la tragica, si
sarebbero polarizzate a scapito della seconda, con l’esito di ridurre l’uomo a
oggetto e aprire la strada alla violenza, messa poi in atto dai sistemi
ideologici (Il tramonto dell’Occidente). Hans Blumenberg aveva utilizzato la
metafora del “naufragio” (Naufragio con spettatore) per descrivere la situazione
prodotta dalla parabola della modernità, in cui ogni sicurezza sembra perduta e
l’uomo è al tempo stesso naufrago e spettatore del suo naufragio. Sygmunt
Bauman ha descritto questa condizione come quella di una “modernità liquida”,
dove “modelli e configurazioni non sono più dati, e tanto meno assiomatici; ce
ne sono semplicemente troppi, in contrasto tra loro e in contraddizione dei
rispettivi comandamenti, cosicché ciascuno di essi è stato spogliato di buona
parte dei propri poteri di coercizione” (Modernità liquida). Queste
interpretazioni – attraverso le metafore del tramonto, del naufragio e della
liquidità inafferrabile – vedono la civiltà occidentale e la sua culla,
l’Europa, destinate ad un inarrestabile processo di dissolvimento e di declino.
In esse, però, il contributo offerto dalla tradizione ebraico-cristiana al
formarsi dell’identità europea resta ampiamente in ombra. Anche per questo il
magistero pontificio degli ultimi decenni ha insistito sulle “radici cristiane”
dell’Europa, senza le quali non sarebbe concepibile né potrebbe sostenersi
l’aspirazione a una comune “patria europea”.
In
tal senso papa Francesco, ricevendo i Capi di Stato e di Governo dell’Unione
Europea alla vigilia della celebrazione del sessantesimo di essa (24 marzo
2017), ha affermato: «All’origine della civiltà europea si trova il
cristianesimo, senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e
giustizia risultano per lo più incomprensibili». E questo perché l’Europa «è
una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente
e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese
da rivendicare. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la
responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica».
Il futuro dell’Europa, insomma, non può prescindere dalle sue radici etiche e
spirituali, le sole a poter alimentare una rinnovata passione morale e un
impegno condiviso.
Ritornare
alle idee dei Padri fondatori dell’Europa unita si offre come una condizione
rilevante per rispondere a questa esigenza. Così, Robert Schuman, ministro
degli Esteri francese, uno dei padri fondatori dell’Europa unita, in
un’importante dichiarazione rilasciata il 9 maggio 1950 aveva affermato:
«L’Europa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una
solidarietà di fatto... La solidarietà di produzione, aperta a tutti i Paesi
che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i Paesi in essa riuniti gli
elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le
fondamenta reali della loro unificazione economica. Questa produzione sarà
offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al
rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace».
Nel
memorabile discorso intitolato “La nostra patria Europa”, tenuto alla
Conferenza Parlamentare Europea di Parigi il 21 aprile 1954, Alcide De Gasperi
affermava: «Tutta la nostra costruzione politico-sociale presuppone un regime
di moralità internazionale. I popoli che si uniscono, spogliandosi delle scorie
egoistiche della loro crescita, debbono elevarsi anche a un più fecondo senso
di giustizia verso i deboli e i perseguitati». Sottolineando l’importanza della
scelta morale da porre alla base dell’impegno per “fare l’Europa”, De Gasperi
ne evidenziava gli scopi ultimi – la pace, il progresso e la giustizia sociale
dei popoli –, senza rinunciare a evidenziare i limiti delle nuove istituzioni
europee. Un’Europa priva di riferimenti etici alti, di spirito di accoglienza e
di integrazione aperto sulle frontiere del mondo, non potrà realizzare la
vocazione più profonda cui è chiamata dalla sua storia. In tal senso, Konrad
Adenauer, Cancelliere della Germania occidentale nata sulle macerie della
barbarie nazista, il 25 marzo 1957 in occasione della firma dei Trattati di
Roma, con cui si dava ufficialmente avvio al processo d’integrazione europea,
aveva detto: «Il nostro scopo è di collaborare con tutti onde promuovere il
progresso nella pace... Unendosi oggi, l’Europa non serve soltanto i suoi
propri interessi e quelli degli Stati che sono in essa compresi, essa serve
anche il mondo intero».
Queste
idee dei Padri dell’Europa unita hanno ispirato i passi e le realizzazioni di
quanti, accomunati dal sogno della casa comune europea al servizio dell’umanità
tutta, hanno speso impegno, passione e sacrificio per costruirla. Ad animarli,
prima che l’interesse economico, è stato un ideale per cui spendersi e pagare
di persona. Ad essi è dovuta la migliore Europa, non quella assillata dalle
esigenze di una stabilità inseguita a volte perfino a scapito delle esigenze
dello stato sociale e dello sviluppo, ma l’Europa dei popoli e delle coscienze,
nutrita dalle grandi fonti che hanno ispirato l’unicità europea: la civiltà
greco-latina, la tradizione ebraico-cristiana e la cultura germanica. A questa
Europa e alla coscienza morale che ne è a fondamento dovrebbero ispirarsi i
nostri politici, quali che siano le loro appartenenze partitiche e le loro
convinzioni morali e religiose. Per questo, non è perdonabile a chi ha
responsabilità decisionali in materia l’ignoranza delle fonti che hanno
motivato il progetto europeo. Lo ricorda Paul Ricoeur in un lucido saggio su
(L’Europa e la sua memoria), dove tra l’altro scrive: «I popoli non possono
vivere senza utopia, al pari degli individui senza il sogno. A tal riguardo,
l’Europa senza frontiere rigide è un’utopia, proprio perché essa è innanzitutto
un’Idea... L’importante è che le nostre utopie siano responsabili: tengano
conto del fattibile e dell’auspicabile, vengano a patti non solo con le
resistenze spiacevoli della realtà, ma anche con le vie praticabili tenute aperte
dalla coscienza storica». La sfida è fra le più serie che l’Europa abbia dovuto
affrontare dagli inizi del processo ambizioso della sua unione: su di essa e su
come sarà affrontata si misureranno il suo presente e il suo futuro, oltre che
la sua effettiva rilevanza nel consesso dei popoli e nella storia dell’umanità.
Solo misurandosi con chiarezza su questa sfida i candidati al Parlamento
europeo saranno credibili: quanti lo stanno facendo e lo faranno?
www.avvenire.it
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