- di PASQUALE HAMEL
Si è oggi al centesimo
anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, un italiano diverso come
titola la corposa biografia dello storico Giampaolo Romanato.
Matteotti è stato un
politico di tenace pensiero, la cui memoria non appartiene, come invece si vuol
far credere, all’intera sinistra ma solo a quella parte di essa che ha assunto
a modello la democrazia ed il riformismo. Un uomo che per queste sue scelte
ricevette il disprezzo non solo del fascismo, che lo indicò come il proprio
nemico, ma della stessa sinistra massimalista e comunista.
Non si dimentichi la
sprezzante definizione di “Pellegrino del nulla” affibbiatogli da Gramsci; non
si dimentichi il profilo negativo che ne disegnò Togliatti in sede di
Comintern; non si dimentichi come, ancora nel 1955, Pietro Nenni scrivendone
avesse ripreso le poco generose critiche formulate da Gramsci. In Matteotti,
infatti, non si riconobbero mai i comunisti, imbarazzati e spiazzati dal fatto
che la vittima più intemerata del fascismo non fosse un comunista, ma
addirittura un socialdemocratico, cioè un “riformista”, un “moderato”, che non
aveva mai risparmiato sprezzanti giudizi sulla rivoluzione d’ottobre (“un nuovo
zarismo”) e che arrivò a scrivere, nel 1924, che il “comunismo era complice
involontario del fascismo”.
In Matteotti si
riconobbero solo, e a buon diritto, i socialdemocratici di Giuseppe Saragat,
cioè un partito che la sinistra considerava venduto al campo avverso. Insomma,
per quasi quarant’anni Matteotti fu la bandierina di pochi più che la bandiera
di tutti. Ricordare tutto questo oggi non è irriverenza ma rispetto della
verità, una verità confermata dai suoi scritti, dalle sue lettere.
D’altronde non è un caso
se la raccolta dell’opera omnia di Matteotti vagò per anni, inutilmente, da un
editore all’altro, dopo esser stata rifiutata da Einaudi, i cui legami con il
Pci erano ben noti, e fu accolta infine dal marchio, benemerito ma del tutto
marginale, di una piccola casa editrice di Pisa, Nistri.
La fine della prima
repubblica e dei partiti che l’avevano occupata fece il resto, diradando la
nebbia dei pregiudizi che per troppo tempo lo aveva confinato in un angolo.E
oggi finalmente Matteotti trionfa. Ma con il rischio di essere nuovamente
frainteso. Perché uomo di tutti, Matteotti, non era e non può diventare.
Austero, rigoroso, intransigente sarebbe il primo a ribellarsi se sapesse di
essere trasformato in un generico ombrello sotto il quale tutti cercano di
trovare riparo. E anche per un’altra ragione.
L’attuale stagione
politica vede in lui soltanto l’antifascista, ciò che fu sempre e senza sconti
(ci mancherebbe!). Ma Matteotti merita di essere ricordato anche per altre e
non meno importanti ragioni. Fu antimilitarista, antibellicista, antinterventista
quando scoppiò la grande guerra. Tutti i suoi interventi di allora ci dicono
che anticipò di mezzo secolo l’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia
ripudia la guerra…”).
Fu nettamente contrario
alla pace cartaginese imposta nel 1919 alla Germania, scrivendo che si stavano
ponendo le premesse di una nuova guerra. Fu un radicale oppositore di ogni
forma di nazionalismo, che produce militarismo e conflitti, e sognò quelli che
fin da allora chiama gli “stati uniti d’Europa”. Insomma, fu un intrepido
antifascista, certo, ma fu anche tante altre cose, che pochi ricordano ma che
gli meritano ugualmente un posto nel pantheon novecentesco.”
*Pasquale Hamel:
Già vice segretario generale dell’ARS, direttore del museo del risorgimento di
Palermo e direttore scientifico della ” Federico Secondo . Ha insegnato e
storia contemporanea nell’università di Palermo. . Opinionista del giornale di
Sicilia, ha scritto su Avvenire e La Repubblica. E’ autore di numerosi libri di
carattere storico e sociale.
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