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venerdì 11 aprile 2025

GLI ANTICORPI DELLA DEMOCRAZIA

Sono gli “anticorpi” della democrazia cioè le difese che essa può mettere in campo per opporsi ad ogni tentativo di corruzione dei propri valori se non di annullamento dell’ intrinseco significato cui il termine riconduce.

 

-         di Luigi Sanlorenzo

 

 
Platone l’esecrava e Aristotele non l’amava.

Occorrerà attendere lo storico Polibio e poi Marco Tullio Cicerone, un avvocato del Foro di Roma, per avere della democrazia una descrizione positiva che poi si farà strada nel pensiero filosofico e politico.

In tempi non lontani è stata invocata, ottenuta, ridimensionata, oltraggiata, negata, perduta e riconquistata.

Winston Churchill ne coglieva i limiti ma ammetteva di non avere idea di una forma migliore di convivenza e ne diventò il campione nell’Europa funestata dai fascismi.

Tra le due epoche ed oltre, esiste una bibliografia sterminata che il lettore potrà facilmente reperire e che, pertanto, ometterò.

Tralasciate le definizioni scolastiche, l’etimologia della parola e le declinazioni peggiorate da aggettivi non sempre appropriati, più utile può essere ragionare su quegli elementi che possono preservarla e se, del caso, estenderla e migliorarla.

Sono gli “anticorpi” della democrazia cioè le difese che essa può mettere in campo per opporsi ad ogni tentativo di corruzione dei propri valori se non di annullamento dell’ intrinseco significato cui il termine riconduce.

I tempi che viviamo ci hanno reso familiare il lessico della biologia e della medicina e mai come oggi si parla di anticorpi, di sistema immunitario, di difese dell’organismo e di barriere, naturali o chimiche, contro l’attacco quotidiano che virus e batteri sferrano ogni giorno contro tutti gli esseri viventi.

Risulterà così più facile analizzare il processo mediante il quale la democrazia si difende, sopravvive, supera momenti drammatici o, per converso, si indebolisce, vacilla e soccombe.

Il primo e più immediato riferimento è l’analisi del termine “anticorpo” che sta a significare come ad un’ entità sia pure microscopica si oppone a difesa un’altra di segno contrario e portatrice di un contenuto cellulare diverso.

Perché ciò avvenga è necessario che quest’ultima esista, in base al principio logico di non contraddizione che distingue A da non A.

Applicato a ciò che ci occupa in questo scritto, vuol dire essenzialmente che il principale anticorpo di cui la democrazia dispone è la conoscenza e la consapevolezza di ciò che essa è e delle potenzialità che possiede.

Se in una società gli individui partecipano di una definizione, generica, vaga e imprecisa, si è già in presenza di un forte deficit immunitario e il corpo estraneo troverà facile breccia per farsi strada, assumendo due principali caratteri: il populismo che fa leva sulle emozioni profonde e sulle pulsioni istintive abilmente evocate e provocate e l’egalitarismo che azzera competenze, meriti e valore, tradendo di fatto il termine “democrazia” specifico contesto sociale e politico in cui non si è affatto tutti uguali, se non davanti alle leggi contenenti diritti e doveri che autonomamente e liberamente essa ha prodotto con il contributo di tutti e a tutela di ciascuno.

I migliori e i peggiori

In ogni società esistono i “migliori” per eredità genetica, capacità personali, inclinazioni naturali, livello culturale, abilità nel fare le cose o nel farle accadere.

Si tratta di elementi che troppo spesso si vogliono far risalire al censo o alle opportunità offerte dall’ambiente familiare e sociale; spesso non è così, come dimostrano le biografie di personalità eccellenti provenienti da condizioni sociali svantaggiate, contesti culturali carenti, situazioni familiari devastanti.

Allo stesso modo, esistono, senza giri di parole, i “peggiori” portati naturalmente a negarsi ad ogni opportunità di migliorare se stessi e di confidare, in modo parassitario, sull’assistenza da parte degli altri, pretesa come un diritto.

Essi adducono quale esimente del proprio destino il “sistema” quale entità astratta cui attribuire le proprie sventure.

Avvinti da bisogni crescenti ed incapaci di emanciparsi, perché non educati ed aiutati a farlo, costituiscono il milieu in cui si sviluppano le peggiori tentazioni antidemocratiche alimentate da quanti sanno come costruirvi sopra il proprio successo personale.

L’anticorpo di cui la democrazia dispone al riguardo è il concetto di pari opportunità quale condizione di partenza offerta a tutti in egual misura e consistenza, lasciando poi a ciascuno la libertà, ma anche la responsabilità, di farne tesoro in ogni parte del mondo.

Istruzione, formazione e internazionalizzazione agevolate, se non gratuite, per i meritevoli meno abbienti sono i suoi migliori alleati e non mancano mai, quando ben gestiti, di dare i propri frutti.

Spesso gli ingenti fondi a ciò destinati sono stati stornati altrove o restituiti, con vergogna, all’Unione Europea che ancora aspetta di capire come mai l’Italia meridionale (cui si sono aggiunte nel 2020 anche Sardegna e Molise) sia ancora tra le aree meno sviluppate del continente.

Un argomento inoppugnabile che abbiamo regalato ai “paesi frugali” che di quei fondi hanno fatto tesoro per decenni.

Tra i “migliori” e i “peggiori” si estende il mare interno dei mediocri in cui prevalgono la difesa di privilegi illegittimamente acquisiti, l’appartenenza acritica a partiti o movimenti, il qualunquismo più cinico, il perseguimento di interessi particolari, familiari o personali, messi davanti a tutto ciò che può sapere di collettivo, di civile, di comunitario.

Denunciano ogni appartenenza come deviata, ogni competenza come potere e, mentre attendono di salire sul carro del vincitore di turno, pretendono di calpestare secoli di cultura e di progresso scientifico esprimendo giudizi apodittici quanto banali, che in altri tempi non avrebbero oltrepassato la soglia dell’osteria.

Oggi essi hanno a disposizione i social media su cui “pubblicano” rutti in forma scritta o video, con cui intendono mettersi in pari con quanti fino ad allora hanno invidiato e snobbato e che oggi odiano.

La democrazia dei like

Forse sarebbe meglio insistere sulla differenza tra “pubblicare” e “postare” per ridimensionare il fenomeno e ricondurlo nell’alveo di opinioni che, con i limiti invalicabili dell’insulto e della palese e morbosa oscenità, tali sono e rimangono, se non suffragate da studi adeguati, faticosi approfondimenti, antiche e recenti letture, concrete esperienze professionali e di vita.

E’ la democrazia dei “like” come qualcuno ha voluto connotare la nostra epoca.

E dai “like” alle piattaforme digitali che hanno sostituito il processo di selezione delle classi dirigenti oggi magna pars nel governo del Paese, il passo è breve.

Medesimo ragionamento può essere fatto su influencer di vario genere e personaggi televisivi che avrebbero solo l’imbarazzo della scelta se volessero candidarsi a ruoli cruciali per la vita democratica del Paese.

La chiamano “democrazia diretta” e su tale altare vengono sacrificati secoli di elaborazione critica, di riflessione filosofica o religiosa, di testimonianze concrete del ruolo svolto dalle Idee nel progresso dell’Umanità.

Dal mancato rispetto del già citato principio di non contraddizione che impone di distinguere tra ciò che è e ciò che non è, spesso accompagnato da un ruolo non sempre obiettivo e trasparente dell’informazione, origina l’assenza del principale anticorpo posto a difesa della democrazia.

Il bastione è stato demolito e i nemici della democrazia possono procedere nella propria strategia di attacco.

Una seconda famiglia di anticorpi è costituita dai cosiddetti “valori non negoziabili” posti a fondamento di ogni democrazia e quasi sempre fissati in carte costituzionali su cui si innestano ogni successiva attività legislativa, la legittimità dei comportamenti individuali e sociali, i limiti del potere, i contrappesi istituzionali.

Va detto chiaramente che l’evoluzione della società, il mutamento dei costumi, l’emergere di nuove soggettualità politiche e di nuove aspirazioni ideali hanno il proprio limite invalicabile nel rispetto dell’integrità fisica e spirituale di ciascun individuo e nel suo diritto a difenderla direttamente nei limiti consentiti e, in ogni altro caso, a vederla difesa dallo Stato democratico.

In quanto strettamente legato alla dignità di tutti gli esseri umani, l’elenco dei valori non negoziabili contiene tutto ciò che fa crescere una società in tale direzione ed espelle con determinazione tutto ciò che limita e minaccia tale spinta vitale tesa verso il miglioramento della condizione umana, come correntemente intesa nei paesi democratici.

I valori non negoziabili

Fermi i valori non negoziabili, contenuti in Italia nella parte iniziale della Costituzione repubblicana del 1948 i cui primi dodici articoli sono immodificabili, la dinamica legislativa si esprime senza ulteriori condizionamenti ed ha lo scopo di attualizzare nella forma e mai nella sostanza quei principi fondamentali per renderli fattuali e misurane nel tempo l’efficacia sull’evoluzione della vita comunitaria.

Qui entra in gioco ancora una volta la dialettica democratica che, garantita dalla citata permanenza dei valori fondamentali, è tenuta ad applicare il principio della legittimità degli atti legislativi e regolamentari, secondo la volontà espressa dalla società in libere elezioni in cui si sono confrontate forme diverse di attuazione dei diritti e di rispetto dei doveri.

Forme attuative, ribadisco, e non modificative dei valori fondativi.

Tale vigilanza è affidata, com’è noto, al vaglio del Presidente della Repubblica nel momento della promulgazione e in un’ultima istanza alla Corte Costituzionale, se adita nelle forme previste da chi ne ha titolo.

Tuttavia tale sofisticata architettura voluta dai Padri Costituenti spesso viene aggirata da interventi legislativi o di decretazione d’urgenza ad opera del Governo.

Va detto una volta per tutte che anche tali decisioni, che vogliamo credere essere sempre urgenti, indifferibili e nell’interesse supremo del Paese, non possono oltrepassare i confini costituzionali né sospendere le libertà individuali garantite dalla Repubblica. Qualsiasi cedimento in tale direzione fa cadere come birilli una serie di anticorpi essenziali per la vita democratica e consente l’avanzamento di parecchi metri a chi sta scavando una galleria di mina sotto i bastioni.

E’ a tale punto che intervengono altri anticorpi che, impossibili da fissare sul vetrino del microscopio legislativo, rappresentano l’ultima barriera all’infezione.

Si tratta della vasta gamma dei comportamenti individuali assunti da ciascuno come parte integrante dell’identificazione nel contesto sociale.

Non potendo essere regolati né, grazie al cielo, controllati o sanzionati dall’impianto normativo, essi sono espressione dei principi di autonomia e di responsabilità e del grado di civismo raggiunto e praticato dalla cittadinanza.

Volendo essere estremamente chiari, significa che una collettività che rispetta le leggi per timore delle sanzioni mentre le aggira con furbizia ed espedienti è la più esposta al rischio del tramonto della democrazia.

A maggior ragione se assume tali comportamenti come protesta verso disposizioni che non ritiene le appartengano perché espresse da una maggioranza politica rispetto alla quale si percepisce come oppositrice.

Il crollo della democrazia

E’ il crollo dell’architrave democratica che si regge proprio sul riconoscimento della volontà della maggioranza, cui può e deve opporsi il dibattito politico e il diritto di manifestazione pubblica ma mai l’inosservanza o la violazione della legge, finchè la medesima è in vigore.

Ci fu chi bevve volentieri la cicuta per non contraddire tale profondo convincimento.

I comportamenti individuali sono dunque l’ultima spiaggia della democrazia, quella più esposta ai frangenti dell’umore popolare, all’azione di erosione da parte di persuasori più o meno occulti e dei mestatori di caos e disinformazione.

Da cosa sono dettati i comportamenti individuali in una democrazia in buona salute?

Innanzitutto dal pieno convincimento dell’esistenza di un patto che, oltre a quelli scritti, fonda la convivenza civile e la mette al riparo dal diritto del più forte, delle menzogne del più furbo, dalle seduzioni del più convincente.

Il paradosso è che mentre tale logica viene accettata e pretesa ad ogni livello sociale dalla stragrande maggioranza dei tifosi sportivi, è rifiutata da molti nella vita di tutti i giorni.

La ragione non è arcana: lo sport si fonda sulla passione ed è amato e rispettato, la democrazia non è ancora, nel nostro paese, oggetto di tali sentimenti e viene percepita da molti più come una tecnicalità politica che come un valore, più come uno strumento che come un fine ideale in progressiva realizzazione.

Come ogni amore ha nell’ affidamento al partner il proprio principale anticorpo per la tenuta del rapporto, anche nell’esercizio della democrazia la fiducia non è solo un sentimento ma anche una tappa formalizzata per l’esercizio del potere e il collante tra le istituzioni chiamate in solido a perseguire lealmente, ai diversi livelli territoriali ogni miglioramento.

Il fenomeno della sottovalutazione della democrazia non riguarda tutti ma trova manifestazione laddove sin dall’atto originario, l’espressione del voto, tale esperienza è vissuta all’insegna della superficialità e spesso con il ricatto sui bisogni primari, scientemente mantenuti tali in molte aree geografiche, perché unico modo di nascondere l’incompetenza e l’inadeguatezza di singoli e di partiti sostituendovi forme di protezione di questo o di quell’interesse particolare.

Quanto vale un singolo consenso in alcune periferie italiane?

In media, secondo le indagini svolte dalle Forze dell’Ordine nei casi conclamati di voto di scambio, una ventina di euro, spesso anche meno.

Ed è gratis davanti a promesse di piccoli o grandi vantaggi assicurati al singolo, magari in danno della collettività.

Troppo ampia è la casistica per trarne alcuni esempi, ma mi colpì a suo tempo l’indignazione di un noto politico che in anni non troppo lontani ebbe a dire «Quanti parroci hanno venduto il proprio voto ed impegnato la propria influenza per vedere realizzato un campetto di calcio?»

L’ultima serie di anticorpi della democrazia è costituita dal complesso degli atti ricompresi nella categoria della solidarietà universale ed è ciò per cui ciascuno riconosce kantianamente nell’altro l’intera Umanità, quindi se stesso, e come tale agisce senza bisogno di una legge, di un regolamento, di una sanzione che lo costringa a qualcosa che non percepisce come valore.

Quando la casa brucia non sono solo i Vigili del Fuoco a salvare le persone ma anche coloro che, nell’attesa, immediatamente si lanciano tra le fiamme per aiutare chi è in difficoltà. Quale molla scatta in un giovane immigrato, magari considerato clandestino, per farlo tuffare in un canale traendone un bambino che sta annegando o per consegnare ad un poliziotto un portafogli smarrito?

Cosa induce una nazione in piena emergenza sanitaria a non negare assistenza in mare a chi fugge verso un futuro migliore?

Cosa può portare un popolo ad osservare le regole, a collaborare con la giustizia, ad essere guardiano della legalità, ad autoimporsi limitazioni alla libertà individuale nel superiore convincimento di fare la cosa giusta, innanzitutto per la comunità di cui si sente parte viva ed attiva?

Soltanto il possesso di una profonda spiritualità civile e la democrazia è una religione laica che non conosce chiese, sinagoghe o moschee ma solo la dimensione della solidarietà tra esseri consapevoli della propria e dell’altrui finitudine.

Fortificare gli anticorpi

Esiste una cura per fortificare gli anticorpi della democrazia?

Un complesso vitaminico che somministrato costantemente rafforzi le difese immunitarie insidiate dagli egoismi, dai particolarismi, dall’ignavia e dall’indifferenza nei confronti degli altri?

Bastano alcune alte autorità morali a ricordare che tra gli scartati dalla società fanno proseliti i principali nemici della democrazia?

Basterà quell’esercito di maestri elementari invocato da Gesualdo Bufalino, se poi i migliori insegnamenti verranno rinnegati in famiglia tra le mura domestiche?

Abbiamo abbastanza guide che accompagnino in età adulta la crescita della consapevolezza democratica ? Nel dubbio ne ho scritto qualche tempo fa.

https://www.linkiesta.it/.../italia-intellettuali.../

Nel gorgo della pandemia, come in un gigantesco maelstrom, si è corso il rischio che emergessero i fantasmi del passato, trascinando sul fondo i vecchi ritenuti inutili, i disabili considerati costosi, i giovani lasciati preda di cattivi maestri sin dalla più tenera età.

Un tempo, almeno, nel corso di un naufragio risuonava il grido “Prima le donne e i bambini!“ quasi rassegnandosi a salvare la generatività futura, sacrificando il passato.

Quasi mai succedeva e tutti tranne i più coraggiosi si accalcavano sulle scialuppe.

La verità è che non esistono alternative a salvarsi tutti insieme.

O meglio, ne esiste solo una ed è quella di perdersi tutti insieme.

In tale drammatica prospettiva l’unica arca a disposizione è la difesa della democrazia, rafforzandone la paratie perché resistano ad abbietti demolitori e alle onde suscitate dal vento panico di una società smarrita che sull’orlo della disperazione potrebbe anche accettare di vendere la propria anima al primo diavolo di passaggio che sa come illudere la fragilità della natura umana.

In caso contrario a naufragare sarà l’intera umanità per come ci è stata raccontata https://www.linkiesta.it/.../robinson-crusoe-naufragio.../

In un articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire il 13 ottobre del 2006, sir Ralph Dahrendorf, il politologo di estrazione liberale scomparso nel 2009 e autore di “Quadrare il cerchio: benessere economico, coesione sociale e libertà politica” scrisse: “Bisogna poi stare attenti alla falsa democrazia i cui rappresentanti in realtà non danno ascolto alla voce della gente.

La repubblica di Weimar è stata correttamente definita come una democrazia senza democratici ed è questa una delle ragioni per cui non è durata.

Il suo contrario offre forse maggiori speranze.

Anche se non possiamo avere una democrazia mondiale e neppure europea, almeno abbiamo i democratici: persone coscienti dei propri diritti che prendono sul serio la responsabilità di difenderli attivamente“

La democrazia è un’idea filosofica venuta da lontano e, nonostante abbia sulle spalle duemilacinquecento anni, affascina ancora il mondo, può salvarlo dagli errori che esso stesso ha commesso e riaprire il sentiero, pur costellato di dolori individuali e sociali, verso quella cima che abbiamo imparato a chiamare resilienza e che con nomi diversi ha salvato i superstiti nel corpo e nello spirito di altri tremendi riti di passaggio tra un’epoca e un’altra della storia.

Se con determinazione, la democrazia e la solidarietà diventeranno per tutti sentimenti profondi e istinti perfino più potenti di quello della sopravvivenza, allora anche la prova che stiamo affrontando avrà avuto il significato di un insegnamento profondo in grado di generare una nuova umanità.

 

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venerdì 13 dicembre 2024

VASI DI COCCIO o PREZIOSE RISERVE?


I cattolici nei due poli. 

Vasi di coccio o riserve della Repubblica?

 

-         di Luigi Sanlorenzo

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Il dibattito di questi giorni intorno alla figura di Ernesto Maria Ruffini quale possibile federatore del centro cattolico sembra avere riaperto il grande tema dell’opportunità di restituire visibilità ad un’identità che si è andata progressivamente dissolvendo all’interno dei due poli. 

Eppure, può piacere o meno, negli ultimi decenni le castagne dal fuoco agli italiani sono state tolte da tre grandi personalità di formazione cattolica: il credente “adulto” Romano Prodi, già presidente della Commissione Europea, Mario Draghi, già a capo della Banca Centrale Europea ed il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il primo sconfisse Berlusconi nel 1996 e nel 2006, il secondo ha archiviato nel 2021 la stagione del populismo, salvando il Paese dalla iattura di un terzo esecutivo presieduto da Giuseppe Conte, il terzo ha garantito dall’alto del Colle la stabilità e la credibilità in Europa.

Tuttavia, nessuno dei governi citati, sempre salutati in Europa e nel mondo con grande consenso e apprezzamento, ha mai superato due anni di vita a motivo dell’ostilità degli alleati di estrema Sinistra e del Movimento 5 Stelle, che ha dato il destro a Salvini, Meloni e Berlusconi.

Non è il caso di dilungarsi sulle cause di quelle cadute, più volte e in altre occasioni oggetto di articoli e riflessioni varie da parte di chi scrive e di larga parte della stampa italiana.

Qui giova, piuttosto, ragionare su come, nonostante le buone intenzioni contenute nell’atto fondativo dell’Ulivo prima e del Partito Democratico successivamente, non sia cresciuta la rilevanza del cattolicesimo democratico nello schieramento di centro sinistra, come peraltro avvenuto sul versante opposto, dove è lievitata progressivamente l’egemonia della Destra.

Nel principale partito del centro-sinistra, alla leadership di Matteo Renzi, utilizzata per vincere le elezioni europee, nessuna tregua è stata data successivamente fino alla decisione dell’interessato di dare vita ad un nuovo soggetto politico che è il stato il vero protagonista della fine del contismo e dell’arrivo di Mario Draghi.

Com’è possibile che ciò sia accaduto? 

A differenza della Destra  – che per molti versi strizza l’occhio ad un impossibile passato giocando con le tante paure degli italiani – e della Sinistra che, dopo la caduta del Muro di Berlino ha iniziato la lunga marcia alla ricerca della propria anima talvolta svendendola “per un piatto di lenticchie” il mondo cattolico dispone di un immenso patrimonio ideale e pratico  contenuto nelle costanti evoluzioni della Dottrina Sociale della Chiesa e nel magistero papale con, da ultimo, le posizioni ardite e progressiste di Papa Francesco.

Quanto ancora dovrà durare il complesso di colpa derivante dalla rovinosa caduta della Democrazia Cristiana, alimentata oltre che da riscontri oggettivi anche da un offensiva senza precedenti nella storia giudiziaria italiana ?

In una società ampiamente secolarizzata è ovvio che non si possa più parlare di unità politica  ma altrettanto lo è constatare l’irrilevanza del pensiero cattolico nei due principali poli italiani, dove la missione di essere fermento e lievito è chiaramente fallita !

Nella diaspora dei cattolici italiani molto è andato perduto sull’onda dei bisogni immediati del Paese cui si è preferito dare risposte di breve respiro, inseguendo sondaggi e mode passeggere e, spesso, anche “valori irrinunciabili” sono stati dimenticati e regalati alle componenti più tradizionaliste e integraliste che hanno trovato gradita ospitalità a Destra.

Eppure, non esiste proposta “politica” più rivoluzionaria del Cristianesimo che, nel Cattolicesimo Romano è documentata da encicliche fondamentali e attuali sui temi ancora cruciali dei nostri tempi. Da “Laborem Exsercens” a “Centesimus Annus” da “Pacem in terris” a “Fratelli tutti” da “Veritatis Splendor” a “Laudato si'” per citare le più note, la Chiesa Cattolica ha prodotto una mole di documenti di orientamento che non ha eguali in alcuna cultura politica e il cui livello di elaborazione concettuale non ha rivali neanche nelle più ardite filosofie del Novecento.

Dunque, esponenti politici ed istituzionali eccezionali, un retroterra culturale di primissimo ordine, un linguaggio universale che raggiunge tutti gli angoli del mondo, un radicamento nei paesi latini ancora forte e intergenerazionale. Solo in anni recenti il movimento Fridays for Future animato da Greta Thunberg ha raggiunto livelli di mobilitazione giovanile paragonabili alle giornate mondiali della Gioventù volute e promosse da Giovanni Paolo II.

È allora, che cosa ostacola il cammino verso una proposta politica che tragga piena e manifesta ispirazione dal Magistero ecclesiale e che sia inclusiva e solidale anche con chi è animato da altri valori che abbiano al centro la Persona e il Bene Comune? 

Forse si tratta di un messaggio scomodo sui temi della sessualità o dell’interruzione di gravidanza o dei matrimoni religiosi tra omosessuali o, ancora, sul sacerdozio delle donne?

Ma sono forse meno stringenti le ideologie che di fondano sul profitto ad ogni costo, su un’uguaglianza contro natura, sul mancato riconoscimento dei diritti civili, sulla persecuzione delle minoranze, sullo sfruttamento dei minori, sulla proliferazione di conflitti e guerre?

Quelle cristiane sono in Europa soltanto radici o alberi frondosi che qualcuno ha interesse a non far crescere perché metterebbero in crisi visioni nazionalistiche improntate all’egoismo?

Sono interrogativi inquietanti che in Italia trovano forti contraddizioni e che nel corso delle prossime elezioni vedranno contrapporsi di fatto un’alleanza che si richiama alle parti più oscure della religiosità che guardano alla Russia di Putin e del suo ambiguo alleato religioso o, dall’altra parte, ad un laicismo di fondo cui piacerebbe ridurre la dimensione spirituale ad un fatto meramente privato senza alcuna influenza sulle scelte pubbliche, nel rispetto della laicità dello Stato.

Nel dopoguerra l’Italia e la Germania si salvarono grazie alla conduzione politica di cattolici quali l’italiano Alcide De Gasperi, il tedesco Konrad Adenauer, il francese Jean-Baptiste Shuman che, insieme al socialista belga Paul-Henri Spaak e al laico Altiero Spinelli sognarono e realizzarono le premesse dell’Unione Europea. E fu un cattolico tedesco, il cancelliere Helmuth Kohl, leader della CDU a riunificare la Germania contro il volere di molti.

Oggi italiani ed europei si trovano davanti ad un bivio nel quale ogni scelta segnerà il destino dei prossimi decenni, le alleanze con il resto del mondo, i nuovi e più gravi bisogni di speranza che il tempo in cui viviamo pone come non mai.

Potrà essere il contributo dei cattolici, una volta annacquato in formazioni variegate e spesso contraddittorie, determinante in tale frangente della Storia? Non lo credo, e non per dogma ma per l’esperienza italiana degli ultimi decenni che ha visto anche in alcuni movimenti di ispirazione cattolica fare un grande confusione tra mode e valori, tra slogan e contenuti, tra fede e militanza, scimmiottando forze politiche ben liete di poterne esibire qualche esponente come “specchietti per le allodole” salvo poi liberarsene al momento più opportuno.

Nella Nota Dottrinale del 2002 circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, si legge:

“È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. 

A seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. 

Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. 

Nel contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità politica. 

La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato. “

E, recentemente, alla domanda “”Ma un cattolico deve fare politica?”  Papa Bergoglio ha risposto: “Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Ma, nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche, che hanno aiutato alla pace nei Paesi. Ma pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra – alcuni: pensate a De Gasperi; pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione … Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominare più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune.

La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici”: non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato” (da “Avvenire”, 2015).

Assodata la differenza tra la Chiesa ed un partito politico, mi sento di concludere con l’ennesima domanda: alla luce della recente esperienza politica italiana serve a qualcosa la sola testimonianza (parola che corrisponde al termine greco  μάρτυς,  martire) isolata in contesti politici chiaramente orientati su valori diversi, quando non addirittura divergenti ?
Credo che un nuovo dibattito diventi urgente, prima che sia troppo tardi !

 

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giovedì 25 aprile 2024

IL DOVERE DI ESSSERE LIBERI

E’ possibile ragionare di libertà senza retorica nella ricorrenza che più di altre rischia ogni anno in Italia di rimanerne vittima? E' opportuno farne un bilancio sociale e politico quando oggi saremo sommersi da centinaia di articoli e di rievocazioni che guardano al passato, non sempre in modo storicamente ineccepibile, piuttosto che alle responsabilità che abbiamo nel presente e verso le prossime generazioni?

 - di Luigi Sanlorenzo

Non si preoccupi il paziente lettore. Nessuna sponda sarà offerta a chi in questo “venticinque aprile” evoca il tema più sacro alla civiltà umana per sostenere opinioni e posizioni politiche che vedono nella costruzione del consenso sulla paura  o sull’angoscia per la propria sopravvivenza economica.

 Ciò che qui importa è il tentativo di comprendere se la ricorrenza dell’evento fondativo dell’Italia repubblicana che vede inevitabilmente decrescere il numero di testimoni già adulti in quel lontano 1945, trovi riscontri nella consapevolezza delle generazioni più recenti e tra i giovani.

 Se cioè i valori della libertà, intesa nella sua interezza e nelle sue implicazioni sulla vita di ogni giorno, siano o meno entrati a far parte della sostanza del sentimento popolare esprimendosi in comportamenti conseguenti.

 C’era una volta l’Italia priva dei diritti fondamentali di libertà di opinione, di espressione in ogni forma, di aggregazione in formazioni culturali e politiche, di opportunità uguali per ceti sociali, per generi, per provenienze geografiche, per razza o per religione.

Una condizione che, con accentuazioni diverse si ripeteva in ogni parte del mondo poiché anche nella Francia, patria della rivoluzione che cambiò il mondo o negli Stati Uniti che quell’ evento avevano anticipato di alcuni anni e perfino nella Gran Bretagna, patria della democrazia, talune libertà erano negate in nome di pregiudizi razziali, sessuali, politici e culturali che sovente si esprimevano in sanzioni sociali o, come nel caso dell’omosessualità, sottoforma di reati penali.

L’Europa centrale perse la propria libertà dopo l’umiliazione subita da Austria e Germania ad esito della Grande Guerra e gli eccessi della repubblica di Weimar che intimorirono la borghesia e aprirono la strada al nazismo; la Russia di Gogol e di Puskin di Dostoevskij e di Tolstoj scambiò il medio evo in cui era vissuta per secoli con il regime di dittatura più sanguinario e longevo del XX secolo e che oggi prosegue sottoforma di oligarchia economica e sociale.

 L’Italia svendette rapidamente le libertà garantite dallo Statuto Albertino per proteggersi dalla violenza che era dilagata nel Paese durante il “biennio rosso” e si consegnò nella mani dell’ Uomo della Provvidenza che probabilmente avrebbe tollerato a lungo –  se non l’avesse precipitata nella Seconda Guerra mondiale – come peraltro avvenne nella Spagna di Francisco Franco, il caudillo che saggiamente resto neutrale e morì nel proprio letto il 20 novembre del 1975 o nel Portogallo di Antonio Oliveira Salazar il cui regime gli sopravvisse per quattro anni fino al 1970.

Una tesi sostenuta autorevolmente dallo storico Nicola Tranfaglia – della cui conoscenza personale conservo memoria per la comune seppur breve militanza nel medesimo soggetto politico – a cui così rispose Sergio Romano sul Corriere della Sera il 28 aprile del 2011, pur evidenziando i limiti della cosiddetta “storia controfattuale”:

 “Attenzione, tuttavia. Questo esercizio, anche quando è particolarmente accurato e circonstanziato, non ha alcun rapporto con la realtà. Tenterò di darne una dimostrazione immaginando che cosa sarebbe accaduto se l’Italia, dopo essere stata per qualche mese non belligerante, avesse proclamato nel 1940 la sua neutralità. La maggioranza degli italiani sarebbe stata grata a Mussolini e il suo regime ne sarebbe stato rafforzato.

 Il Paese avrebbe dovuto destinare somme importanti del suo bilancio alle spese militari (la neutralità ha un prezzo) ma non sarebbe stato necessario gettare nel conflitto una buona parte della ricchezza nazionale e non avremmo dovuto, come accadde fra il 1943 e il 1945, fare l’esperienza di due micidiali guerre combattute sul territorio nazionale: una guerra tra la Germania e gli Alleati, una guerra civile tra fascisti e antifascisti.

La Gran Bretagna non ci avrebbe impedito l’uso del canale di Suez e ci avrebbe permesso di conservare le colonie, almeno sino alla fase della decolonizzazione. Avremmo potuto commerciare liberamente con i Paesi neutrali e, più prudentemente, con i Paesi combattenti. Ma non bisogna dimenticare che uno Stato neutrale non può mai essere totalmente imparziale. Quali che ne siano le intenzioni, la neutralità giova quasi sempre a una parte più che all’altra. La nostra avrebbe giovato alla Gran Bretagna e avrebbe fatto del Mediterraneo, soprattutto dopo la sconfitta della Francia, un lago inglese.

 Sappiamo che l’Italia fu spesso per la Germania una palla al piede e che certi errori strategici di Mussolini costrinsero i tedeschi a intervenire in Grecia e in Libia. Ma non credo che lo Stato di Hitler avrebbe comunque permesso alla Gran Bretagna di dominare il Mediterraneo. Prima o dopo anche il nostro mare sarebbe divenuto teatro di uno scontro fra le due maggiori potenze europee.”

 Resta il fatto che l’ipotesi di Tranfaglia ha trovato riscontro nell’ampio riciclaggio di larga parte della classe dirigente monarchica e fascista all’interno della Democrazia Cristiana o nella confluenza, a viso aperto, nel Movimento Sociale Italiano a lungo considerato pur con qualche forzatura “legittimo” – nonostante la disposizione transitoria della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito dichiaratamente fascista – ma “fuori dall’arco costituzionale”.

 Un equilibrismo eminentemente italiano non malvisto dagli Stati Uniti in pieno delirio maccartista, interessati soprattutto a che gli aiuti del Piano Marshall non andassero a rafforzare il Partito Comunista Italiano che a quel tempo e fino allo “strappo” operato da Enrico Berlinguer nel 1981, era dipendente da Mosca in tutto e per tutto, al punto da tacere sui fatti Budapest nel 1956 e di Praga nel 1968.

 Poiché però questo articolo è dedicato all’etica della libertà, va detto immediatamente che il processo che ad essa conduce, e non a caso definito “di liberazione” non può essere cristallizzato in una data per quanto rappresentativa e fondante essa possa essere considerata e conseguentemente festeggiata.

 La domanda è inevitabile: a quali ed a quante libertà gli italiani sarebbero disposti a rinunciare per ottenere in cambio maggiori garanzie per il futuro dell’occupazione, un migliore funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici, una minore pressione fiscale, una giustizia più veloce e puntuale sia sul piano penale che civile ed amministrativo?

 E’ il caso allora di chiedersi: la società italiana di oggi è ancora intessuta dai valori che oggi celebriamo o piuttosto da quelli della paura di un futuro complesso per il quale la Destra – che sempre ha vissuto a denti stretti tale ricorrenza, talvolta disertandola – propone soluzioni estremamente semplificate come si è visto nel primo governo giallo verde  di Giuseppe Conte?

 Certo, il Paese dispone di una Costituzione, tanto robusta e volutamente “rigida” come saggiamente voluto dai Padri che la vararono, che ha protetto i capisaldi della democrazia da incursioni di vario genere ma, va ricordato che maggioranze cospicue anche non disponendo dei due terzi in Palamento, possono modificarla confidando anche nell’esito del successivo referendum popolare che vincerebbero sull’onda di eventuali vittorie recenti.

 Cosa rischierebbe a quel punto la libertà del popolo italiano? Certamente l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e il passaggio da repubblica parlamentare a presidenziale, certamente una spina nel fianco dell’Unione Europea in cui probabilmente l’Italia resterebbe ma con una diversa considerazione; probabilmente un’uscita dalla zona euro che troverebbe l’iniziale plauso degli esportatori ma nel volgere di pochi anni la rovina finanziaria del Paese.

 Sul versante interno assisteremmo ad una svolta nelle politiche di accoglienza dei migranti, alla fine di ogni sogno di ius soli ed a consistenti restringimenti circa il conseguimento della cittadinanza italiana; assisteremmo all’esaltazione di un’italianità supponente ed arrogante i cui esiti abbiamo visto durante i quattro anni di America First culminati nell’assalto al Campidoglio, al pesante riarmamento delle Forze dell’Ordine compresa la Polizia di Stato, smilitarizzata nel 1981, a politiche protezioniste dei prodotti italiani con l’imposizione di dazi all’importazione nel sogno di un’antica quanto anacronistica autarchia che il Paese, allora come ora, non potrà mai sostenere per le caratteristiche della propria economia manifatturiera e terzista.

 Nei confronti della Giustizia, infine, si assisterebbe ad una vera e propria resa dei conti che potrebbe perfino culminare nella natura elettiva dei magistrati come avviene negli Stati Uniti con la differenza che in Italia a ciò si aggiungerebbero anche la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, la responsabilità civile degli operatori di giustizia e la successiva subordinazione al potere politico: con tanti saluti alla tripartizione dei poteri che sono la base e l’essenza di ogni democrazia compiuta e bilanciata.

 La riduzione della pressione fiscale, inoltre, influirebbe pesantemente sui servizi pubblici in direzione di uno sviluppo di quelli privati come già visto per la Sanità nella Lombardia di Formigoni ieri e di Fontana oggi, le cui conseguenze abbiamo visto sfilare a Bergamo in un corteo di camion militari che mai dimenticheremo.

 Anche i rapporti con la Chiesa Cattolica conoscerebbero momenti cruciali tenuto conto della deriva tradizionalista che Matteo Salvini e Giorgia Meloni non hanno mai nascosto di appoggiare in aperto contrasto con la svolta della Chiesa di Papa Francesco, più volte definita più simile ad una ONG a motivo del netto schieramento in favore di ultimi e di migranti e più in generale del contrasto alla guerra e contro le  manifestazioni esteriori del potere ecclesiastico e della religiosità popolare vissuta con fanatismo ed intolleranza nei confronti di altri culti.

 Dietro a ciascuno di quegli eventuali provvedimenti opererebbe un sistema di valori ben preciso che non ha nulla a che vedere con quelli di cui l’Italia si liberò, insieme ai suoi massimi interpreti, in quel venticinque aprile che oggi festeggiamo.

 Nessun nuovo fascismo, certamente, ma una nuova forma di autoritarismo mutuato da quelle democrature che nell’Est europeo, nella Turchia di Recep Tayyp Erdogan, nella Confederazione Russa, in Brasile, in Egitto e, in forma diversa anche in Cina,  sono lontanissime dal sentire liberale delle grandi democrazie occidentali che sconfissero –  anche   con il contributo di oltre venti milioni di vittime trai soldati sovietici –  nazismo e fascismo con il concorso sul campo dal 1943 in poi, forse eccessivamente enfatizzato in Italia, delle Resistenze locali che in Norvegia, in Olanda e in Francia avevano iniziato ad operare quando ancora era lontano l’esito della guerra e le armate naziste marciavano sotto l’Arco di Trionfo nel segno della guerra lampo e del Reich millenario.

 Abbiamo sempre inneggiato al diritto alla libertà e ciò ha reso grande l’Europa del dopo guerra facendone il modello della massima possibile realizzazione dei valori collegati di legalità e di solidarietà (moderna e più attuale traduzione di quello originario di fraternità) a cui i popoli di ogni parte del mondo hanno fatto riferimento, soprattutto dopo il crollo del Comunismo.

 Se qualcosa abbiamo compreso della grande lezione della Storia, è ora venuto il momento di cominciare a parlare di dovere della libertà come atto preliminare necessario al grande privilegio di potere disporre della medesima: una definizione molto amata da Oriana Fallaci e che è il caso qui di approfondire.

 Nessuna libertà viene regalata a popoli ed a individui se per essa non si è lottato imponendo a se stessi innanzitutto il rigore morale e la solidarietà con i propri simili e dove l’esistenza delle regole appare  come una precondizione della libertà medesima, che trova la sua origine, la sua garanzia e rinnova il suo significato autentico proprio in quel vincolo “necessitato” che risiede proprio in quel sistema di regole che troppo spesso abbiamo messo da parte in nome di un’errata e populistica interpretazione dell’”essere liberi”, vivendo come vincolo ogni limite oltre il quale vige la libertà dell’altro e del corpo sociale.

 Una pericolosa tendenza che durante la pandemia ha visto insieme ad atti di massimo eroismo anche episodi diffusi in ogni contesto culturale e sociale di egoismo, di furbizia e di disprezzo delle regole variamente ma mai credibilmente giustificati.

 Un insulto verso chi ha invece continuato a soffrire in silenzio per il senso di responsabilità verso gli altri, unico cemento di ogni società civile.

 Una lacerazione della trama sociale di cui già molti fa il sociologo Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, aveva avvertito i primi segnali allarmanti successivamente confermati dalla progressiva disgregazione della società italiana che contrappone ora ceti, livelli culturali, posizioni economiche e generazioni a lungo legate da un patto di comune contribuzione allo sviluppo del Paese che chiamammo “boom economico” e che di fatto consentì di lasciare alle spalle le macerie morali e materiali della guerra.

 Mille e settecento anni dopo la coerenza di Socrate e quattro secoli prima che  Immanuel Kant  definisse i tre imperativi categorici che tanto hanno messo alla prova generazioni di liceali e che sono il fondamento di ogni civiltà che voglia definirsi tale,   il dovere della libertà indusse il Poeta di cui abbiamo celebrato il settecentesimo anniversario a scolpire nella Commedia  le parole con cui nel primo canto del Purgatorio Virgilio si rivolge a Catone l’Uticense, presentandogli Dante profugo ed esiliato: “Libertà va cercando ch’è si cara,  come sa chi per lei vita rifiuta”.

 Non dimentichiamolo in questo 25 aprile 2024 che ci coglie debitori oltre che verso i nostri padri che lo resero possibile, soprattutto nei confronti dei nostri figli e nipoti che sul “sentiero dei nidi di ragno” costellato di banalità, di false interpretazioni e di pericolosi revisionismi potrebbero rischiare di smarrirne il significato più sacro. Solo così sarà vera Liberazione che si rinnova ogni giorno e che ci auguriamo di poter celebrare per sempre una volta all’anno con gratitudine e rispetto verso coloro che l’avranno trasmessa quale preziosa ed irrinunciabile eredità.


NUOVI APPRODI


 

 

 

giovedì 1 giugno 2023

DUE GIUGNO. LETTERA AD UN BAMBINO


Lettera 

ad un bambino 

nato il 2 giugno



-         di   Luigi Sanlorenzo

-          

Caro bambino nato nel giorno della Repubblica, prima di tutto, complimenti perché sarà vacanza a scuola e potrai godere della tua festa per l’intera giornata,  magari con qualche “ponte” che, di tanto in tanto,  ti permetterà di farlo in un lungo weekend.

Sei nato in una giornata particolare che, comunque vadano le cose in futuro, vedrà sempre, almeno in questo giorno,  un’Italia unita nei cui cieli si intrecceranno i colori della bandiera che una leggenda vuole abbiamo un significato ben preciso: il verde per ricordare i nostri prati, il bianco per ricordare le nevi perenni e il rosso per il sangue versato nelle guerre combattute sotto forme diverse per conquistare e assicurare la tua liberà.

Che tu compia oggi pochi o molti anni, la coincidenza della tua data natale con quella della Repubblica, pur casuale come per tutti, non può che interrogarti su quanto il destino ti sia stato benevolo.

Qualunque sia il colore della pelle dei tuoi genitori, sei venuto alla luce in un Paese libero che fa parte del continente che ha donato al mondo musica sublime, altissima letteratura, l’idea stessa di quell’arte che da ogni parte ti circonda e ti stordisce, il concetto antico e sempre attuale di democrazia, l’aspirazione all’uguaglianza nei diritti e nei doveri tra tutti gli uomini e le donne.

Ove tu non ne sia ancora un cittadino a tutti gli effetti, ti auguro di diventarlo presto, per il semplice motivo di essere nato in Italia.

Qualunque sia il tuo credo politico o religioso sappi che la sua pacifica espressione sarà sempre tutelata dalla Costituzione e dalle leggi. Adoperati perché ciò sia sempre più concreto e percepito da tutti.

Qualunque sia il tuo stato sociale, ricorda che avrà sempre diritto di essere rispettato e, quando necessario, sostenuto ed aiutato perché non ti siano precluse pari opportunità di realizzazione, a condizione che tu faccia la parte che l’età ti assegnerà in ogni fase della vita.

Qualunque sia il genere a cui ti sentirai spontaneamente e senza condizionamenti di appartenere, confida che nessuno avrà mai il diritto di discriminarti, di insultarti o di farti del male per tale ragione.

Se in questo anniversario sei ancora nell’infanzia o nell’adolescenza, probabilmente tutto ciò ti sembrerà ovvio e normale.

Purtroppo, non è stato sempre così e quando te ne parleranno a scuola o in famiglia,  rivolgi un pensiero a quanti si sono ribellati perché tu potessi considerarlo “scontato” e se dovessi avere la fortuna di incontrare qualcuno di essi che è ancora tra noi,  distingui tra le sue rughe il ricamo di un sogno chiamato Libertà e leggi nel suo sguardo  i fotogrammi drammatici che di quella lotta vi sono rimasti impressi per sempre.

 Degli altri troverai in molti casi il ricordo nei nomi delle strade e delle piazze che percorrerai, talvolta frettoloso e distratto. Sappi che sono lì perché tu possa orientarti nel labirinto in cui è sempre in agguato qualcuno che vorrebbe invece che ti smarrissi.

Delle Istituzioni democratiche,  con le cui tante insufficienze avrai modo di confrontarti quando in forme diverse le incontrerai, tieni a mente che sono idee astratte che diventano concrete soltanto attraverso le azioni di uomini e di donne di diversa indole e natura: alcuni danno ad esse lustro e dignità, altri le usano e le avviliscono con comportamenti indegni che spesso hanno a che fare con il proprio interesse o con la propria stupidità. Difendile sempre e comunque, mentre nel frattempo ti adoperi perché esse trovino il più possibile, gli interpreti adeguati a tale ineguagliabile ruolo.

Non commettere mai l’errore di confonderle con i comportamenti sbagliati di quanti le dovessero rappresentare, rischieresti di indebolirne le fondamenta che altri e migliori di alcuni di loro, hanno edificato settantacinque anni fa.

La Repubblica che ti viene consegnata ogni anno come il più bello dei regali che potrai mai ricevere non è, se non nelle proprie ed irrinunciabile radici ideali, un pacchetto ben confezionato e definitivo; somiglia piuttosto ad un mosaico colorato di cui sei tu la tessera più recente che ne identifica il profilo in divenire o, se preferisci,  ad un gioco creativo dalle composizioni molteplici ma fatte tutte della stessa materia ideale. Diffida pertanto di coloro che vorrebbero indurti a considerarne una ed una sola nel cui pensiero unico imprigionare i futuri possibili.

Di ciò con cui sei nato come con una sorta di camicia della fortuna, non dimenticare che due terzi dell’Umanità è ancora priva o solo all’inizio di un cammino faticoso disseminato di mille ostacoli.

Fai in modo di non essere tu uno di quelli e stai sempre dalla parte di chi più soffre, spera ed ama, consapevole del privilegio che ti è stato donato e se un giorno dovesse toccare a te di rappresentare questa Repubblica nei mille ruoli di servizio in cui essa diventa realtà, siine degno e fiero indossando una toga, una divisa, un camice, una tuta  o semplici abiti civili: non ti mancheranno gli esempi da seguire né quelli da evitare; in ogni caso la tua testimonianza personale sarà unica, irripetibile e mai esente da responsabilità.

E ove la vita dovesse portarti ad assumere ruoli e compiti in altri settori, ricorda che nella società italiana “privato” non è il contrario di “pubblico” né una zona franca da cui i valori repubblicani possano essere esclusi in nome del profitto, del potere  o di altre tentazioni della natura umana. Anche in questo non ti mancheranno italiani che hanno lasciato una traccia su cui orientare i tuoi comportamenti.

Infine, quando sarai giunto all’età in cui si dice prevalga la saggezza come figlia dell’esperienza e ti troverai a festeggiare la Repubblica, magari scrivendo una lettera come questa a chi ti è più caro, che il bilancio della tua vita civile sia sereno e senza rimpianti.

 Buon compleanno a te che sei nato il due giugno, buon compleanno all’ Italia libera, democratica e repubblicana.

 Nuoviapprodi