la salute dei figli
chiede equilibrio
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di ENRICO LENZI
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Educare
al digitale inizia dal «saper giocare con i propri figli sin dalla più
tenera età». Che significa a sua volta «sapersi divertire
con loro e meravigliarsi ogni qual volta mostrano di essere se
stessi e non quello che vorremmo fossero». È lo spiazzante
consiglio che Federico Tonioni, psicoterapeuta della Fondazione
Policlinico Gemelli, ha fornito nell’incontro su 'Educazione al
digitale' all’interno del Convegno nazionale promosso
dall’Ufficio Cei per la Pastorale della salute la scorsa
settimana. Introducendo i lavori, don Paolo Bonini,
assistente pastorale alla Cattolica presso il
Policlinico Gemelli, aveva sottolineato come si stia
osservando da una parte «un certo precocismo, soprattutto sul
piano emotivo- affettivo e sessuale» e dall’altra «un senso di
rallentamento, che si manifesta in una incapacità a gestire il proprio
corpo, a livello della manualità, nelle relazioni e nel saper fantasticare».
Un dualismo frutto anche della diffusione dell’uso dei social, ma non solo.
Ecco allora l’invito di Tonioni a recuperare come genitori una vera relazione
con i figli. «Loro sono nativi digitali – avverte –. A noi adulti spetta
accompagnarli, permettere loro di fare esperienza, fidarsi, mettere in campo
trattative per giungere a un compromesso che rappresenta un cammino per
giungere all’incontro».
Del resto, la pandemia, con l’introduzione della didattica a distanza, ha rappresentato un momento importante per questo cammino comune, come sottolinea Dianora Bardi, docente e formatrice del metodo Imparadigitale. «Non sono mancate criticità – ammette – ma la scuola deve prendere coscienza che indietro non si torna. Una analisi attenta permette di cogliere le potenzialità che l’uso di questi strumenti nella didattica comporta, come ad esempio aver visto sbloccarsi studenti che in classe solitamente si defilano».
La vera sfida delle nuove tecnologie è per i docenti, «chiamati a rivedere il loro modo di fare lezioni, potenziando anche la interdisciplinarità». E come la scuola, anche parrocchia e pastorale sono chiamate a confrontarsi con questi strumenti, che «per molti mesi sono stati l’unico modo per mantenere i contatti nei gruppi», come ricorda don Mimmo Beneventi, direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di Acerenza. «Anche noi dobbiamo studiare bene gli strumenti – aggiunge – per meglio utilizzarli nella costruzione delle nostre comunità». «Spunti su cui dobbiamo aprire una seria riflessione», conclude Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio Cei Educazione-scuola-università.
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