PER IL SINODO
Il
segretario generale della Cei alla vigilia dell'Assemblea dei vescovi italiani:
diamo il via al percorso sinodale. La pandemia, la questione educativa, le
relazioni interpersonali
- di Vincenzo
Morgante, Marco Tarquinio, Amerigo Vecchiarelli
Prendersi
cura delle persone. A partire dai giovani – la questione educativa va posta
«senza ambiguità» – e dai bisognosi. Specie in un tempo come questo, segnato
dalla pandemia e dalle tante periferie esistenziali. Incrementare uno stile di
Chiesa sinodale e riscoprire il protagonismo dei laici per un annuncio del
Vangelo che raggiunga ogni ambito della vita. Così, alla vigilia dell’Assemblea
generale dei vescovi italiani, di nuovo in presenza, pur nel rigoroso rispetto delle misure sanitarie e dopo lo stop di un
anno imposto dal Covid), il segretario generale della Cei, monsignor Stefano
Russo, indica le prospettive di un impegno sempre più missionario delle
comunità ecclesiali nel nostro Paese. Toccando i temi di maggiore attualità –
Pnrr e migrazioni, ad esempio – e confermando che la Chiesa in Italia
continuerà a sostenere i più poveri con i fondi dell’8xmille.
Eccellenza,
i vescovi italiani tornano a incontrarsi di persona in assemblea generale dopo
la pausa forzata dovuta al Covid. Con quale spirito e con quali attese?
È con gioia
che ci ritroviamo dopo così tanto tempo. Portiamo con noi le sofferenze e le
istanze delle comunità dopo un anno terribile segnato da una pandemia che, in
questo momento, sembra allentare la sua morsa. Portiamo in Assemblea le attese
di chi non ha smesso di sperare, di chi ha guardato alla Chiesa come a un
sostegno e a una luce, di chi ci interpella sulle nuove sfide
dell’evangelizzazione. Allo stesso tempo noi vescovi arriviamo con un mandato
preciso, conferitoci dal Papa: avviare un cammino sinodale. Un impegno che è
responsabilità e che ci motiva ancora di più in questa occasione di confronto
senza mediazioni digitali.
L’assemblea
ha come tema “Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita. Per avviare un
cammino sinodale”. Partiamo dalla prima parte: quali sono le coordinate
indispensabili dell’annuncio in un periodo come il nostro segnato dalla
pandemia?
Si tratta di
tornare a tessere la trama delle relazioni personali. Il Vangelo che annunciamo
non è semplicemente un contenuto, ma è una relazione che salva. È necessario
rendere ancora più chiaro che la Chiesa annuncia prendendosi cura delle
persone, proiettandosi al di fuori di sé soprattutto verso quelle che il Papa
chiama le “periferie esistenziali”. La questione degli strumenti dell’annuncio
viene dopo: in questo senso è importante anche saper utilizzare con sapienza i
nuovi mezzi di comunicazione, di cui la pandemia ha messo in evidenza la
particolare utilità. Vedo in questo un riferimento a quel processo di riforma
cui il Papa, in diverse occasioni, ha invitato tutta la Chiesa: è un ritorno
all’essenziale, ossia all’annuncio di Cristo e all’incontro con la sua Persona.
La riforma, allora, non è solo richiesta per reagire alle difficoltà del tempo
presente ma per essere sempre più fedeli al mandato del Signore.
Queste
coordinate andranno declinate nel cammino sinodale. Il Papa, nel recente
discorso all’Azione Cattolica ha già offerto alcune indicazioni concrete. Come
va tradotto, ad esempio, l’accento posto su un cammino che deve cominciare dal
basso?
Il Papa
sottolinea una dinamica che fa parte dell’esperienza della Chiesa primitiva e
che il Vaticano II ci ha riconsegnato quando ha parlato della Chiesa come
popolo di Dio. Il “cammino dal basso” di cui parla Francesco si pone in questo
solco e fa emergere la natura più vera della comunità cristiana. È necessario,
cioè, partire dall’ascolto della comunità in tutte le sue componenti. Questa
dinamica dà modo di recuperare il senso più vero della Chiesa come grande
famiglia. Ne è conferma la Nota del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea
Generale Ordinaria, sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione,
partecipazione e missione”. La prima fase di questa Assemblea ha come scopo la
consultazione del popolo di Dio nelle Chiese particolari. Si avvia un processo
“dal basso”. Il cammino, dunque, percorre un sentiero condiviso.
Francesco ha
anche detto che il cammino sinodale non deve diventare “un bel parlamento
cattolico”. Come si può evitare questo rischio?
Vale la pena
ricordare le parole del Papa ai padri sinodali durante la I Congregazione
generale della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi. Era
il 6 ottobre 2014 e si celebrava il Sinodo Straordinario sulla Famiglia. Queste
le parole di Francesco: «Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia. Dopo
l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia, un
cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni cardinali non hanno avuto
il coraggio di dire alcune cose per rispetto del Papa, ritenendo forse che il
Papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità,
perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza
rispetto umano, senza pavidità. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con
umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli. Con questi
due atteggiamenti si esercita la sinodalità». Parlare con parresia e ascoltare
con umiltà sono due coordinate per evitare il rischio del «parlamento
cattolico».
La Chiesa in
Italia ha alle spalle un lungo cammino che, se vogliamo limitarci agli ultimi
60 anni, prende spunto dal Concilio Vaticano II e si è via via sviluppato anche
attraverso i Convegni nazionali decennali. In che rapporto stanno tra loro
Sinodo e Convegni? Il primo sostituirà i secondi?
La storia
del cattolicesimo post-conciliare in Italia è segnata dai documenti del
magistero del Papa e anche della Cei. I Convegni ecclesiali nazionali, che si
sono tenuti con cadenza decennale, hanno costituito delle tappe altrettanto
importanti per verificare il cammino sino ad allora condotto e per rilanciare
un nuovo percorso. Adesso il cammino sinodale che si sta per inaugurare si
concentrerà sull’ascolto delle Chiese locali. Non c’è fretta di elaborare un
documento comune: verrà dato il giusto tempo per ascoltare, vedere e capire
prima di sviluppare una sintesi che dia ragione del cammino condiviso.
E come
armonizzare il cammino sinodale della Chiesa in Italia con i Sinodi già in
corso in diverse diocesi italiane?
I Sinodi che
alcune Chiese locali hanno avviato non si sovrappongono né contrastano con il
cammino sinodale nazionale. Anzitutto perché il cammino sinodale parte sì dalla
realtà diocesana, ma è proiettato verso una sintesi regionale e nazionale: ogni
diocesi avrà bisogno di raccontare se stessa, nella consapevolezza di fornire
un contributo essenziale a una comunità più grande. Inoltre, chi ha già
sperimentato il processo sinodale potrà aiutare le Chiese sorelle, a partire
dalla propria esperienza, fornendo suggerimenti sui processi che si sono
rivelati più efficaci.
Il Papa
insiste sempre su una Chiesa non clericale e non autoreferenziale. E invoca un
maggior protagonismo dei laici. Il cammino sinodale sarà anche l’inizio di una
nuova stagione del laicato cattolico in Italia?
La Chiesa non
è fatta solo dai sacerdoti, dalle religiose o dai religiosi. Papa Francesco più
volte ci ha messo in guardia dal clericalismo e in una bella immagine ha
ribadito che: «Nessuno di noi è stato battezzato prete né vescovo: siamo stati
tutti battezzati come laici e laiche. I laici sono protagonisti della Chiesa».
La Chiesa quindi è composta da tutto il popolo di Dio e, insieme - ciascuno
secondo le sue specificità, i suoi talenti -, si partecipa alla vita della
comunità e alla forza della Chiesa. I laici hanno attraversato stagioni
diverse, connesse a tempi in evoluzione e alle difficoltà di quegli stessi
tempi. Siamo chiamati a ravvivare la sinodalità che non può che nascere
dall’ascolto di ogni componente della famiglia di Dio, per mettere vino nuovo
in otri nuovi.
Dopo la fine
della Democrazia Cristiana, si ha la sensazione che il peso specifico della
presenza cattolica in politica si sia progressivamente affievolito. Lei
condivide questa impressione? E qual è il modo più idoneo oggi per contribuire
al bene comune da parte della Chiesa nel suo complesso e dei laici in
particolare?
A volte ho
l’impressione che questo continuo riferirsi a un passato che non c’è più rischi
di farci perdere di vista la necessità di un impegno dei cristiani
corrispondente alla stagione che stiamo vivendo. Ci sono valori che il
cristianesimo porta con sé e che dobbiamo sempre più saper mettere in campo a
servizio del bene comune. Anche se spesso si fa fatica a evidenziarli, ci sono
davanti a noi tanti frutti buoni che sono espressione della dottrina sociale
della Chiesa. Da questo punto di vista sono convinto che il laicato cattolico
può portare un contributo straordinario anche in questa stagione particolare. È
necessario riscoprire e saper testimoniare sempre più la bellezza di appartenere
a un progetto di vita comune.
In questo
senso c’è anche un’incarnazione del percorso vissuto nei dieci anni appena
trascorsi sul tema dell’educazione. “Educare alla vita buona del Vangelo” era
il titolo degli Orientamenti pastorali dello scorso decennio. La pandemia ha
fatto emergere, ancora di più, la valenza sociale dell’educazione.
Ormai è
chiaro - e la cronaca continua a ricordarlo - che la questione educativa non è
passeggera. L’educazione coinvolge le famiglie e tutta la società. E su questo
punto non ci possono essere ambiguità. Siamo tutti chiamati in causa. E lo
siamo in misura maggiore ora: la crisi pandemica ha generato una serie di gravi
conseguenze negli adolescenti e nei giovani. La loro età è fortemente bisognosa
di relazioni: esse non sono solo desiderio d’incontro, ma sono anche luogo di
messa alla prova per imparare ad abitare la vita e il mondo, per capire
qualcosa di se stessi e degli altri, per scoprire, attraverso i legami, le
questioni di senso più importanti. In particolare gli adolescenti, che vivono
il delicato passaggio dall’infanzia alla giovinezza, hanno sofferto molto la
didattica a distanza: si sono scavate solitudini fino a riconoscere, tardi, un
malessere che li sta costringendo a una situazione nuova tanto per loro, quanto
per i loro genitori e tutte le figure educative. L’esperienza dell’ultimo anno
ci ri-consegna, in qualche modo, l’impegno educativo.
Il Covid ha
anche creato danni e situazioni di bisogno anche sotto il profilo economico.
Che cosa chiedono i vescovi italiani al governo a nome della gente?
Il Covid ha
messo in discussione tutta la nostra società e ha minato fortemente la tenuta
delle comunità. L’economia è determinante, certo, e ogni tipo di sostegno
finanziario deve essere messo in campo, ma molto è necessario fare soprattutto
per rinsaldare le fratture sociali che hanno visto contrapporsi le persone per
fasce di età, gruppi sociali, aree di impiego e disimpiego. L’inverno
demografico che ci assedia, ben ricordato dagli Stati generali della natalità,
è la conseguenza della mancanza di speranza, della conflittualità,
dell’incertezza.
Il Pnrr,
così come è stato presentato, è in grado di raggiungere gli obiettivi di un
rilancio della crescita e dell’attenzione alle fasce più deboli della
popolazione?
Auspichiamo
che il Piano possa dare spazio e opportunità di crescita ai giovani,
ricostruire il tessuto sfilacciato di una società che ha perso la fiducia nel
futuro, intervenire in aiuto di tutti coloro che sono rimasti ai margini,
ridare fiato alle imprese e alle famiglie. È essenziale che non vi siano
sprechi di risorse o distorsioni a vantaggio di pochi: questo è il momento di
mettere alla prova l’unità di un Paese in una prospettiva di comunione e di
crescita collettiva.
In queste
settimane la ripresa degli approdi ha riportato in primo piano il dibattito
sull’immigrazione. Stante anche la situazione creata dal Covid, qual è la
posizione dei vescovi italiani?
Ogni volta
in cui vediamo uomini, donne, bambini arrivare su imbarcazioni di fortuna
chiediamoci cosa faremmo se ci trovassimo nella loro situazione. Non possiamo
pensare di vivere in un mondo in cui ci sono persone che devono sottostare alla
legge della sopraffazione e a cui vengono negati i diritti essenziali. Siamo
tutti chiamati alla fraternità. La Commissaria europea Ylva Johansson ha
correttamente ribadito la necessità di rafforzare il dialogo con i Paesi di
origine e di transito dei migranti. Il mio auspicio è che da questi colloqui
nasca una collaborazione che, prima di ogni cosa, abbia a cuore il destino dei
migranti e la loro difficile condizione. Mi attendo anche una maggiore solidarietà
dagli altri Paesi europei nell’implementazione del meccanismo di
redistribuzione volontaria, necessario per aiutare i Paesi di primo approdo
come l’Italia.
Durante
l’Assemblea si procederà, come di consueto, alla destinazione dell’8xmille tra
le finalità previste dalla legge. Lo scorso anno ci sono stati stanziamenti
cospicui per far fronte all’emergenza Covid. Ci sarà qualcosa di simile anche
quest’anno?
Ne parleremo
in Assemblea, che delibererà nel merito. Nel 2020 - va ricordato - sono stati
stanziati, dai fondi otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa
cattolica, 200 milioni di euro (recuperati dalla finalità di edilizia di culto
a cui erano destinati) a beneficio delle Chiese locali e di diverse
associazioni e organizzazioni, espressione del volontariato e della solidarietà
in Italia. Inoltre sono stati stanziati 25 milioni di euro quali sostegno
economico alle famiglie in difficoltà attraverso sussidi di studio per studenti
iscritti all’anno scolastico 2020/2021 presso una scuola paritaria di I o II
grado (cattolica e non cattolica); 9 milioni per i Paesi africani e altri Paesi
poveri; 8,800 milioni a favore di strutture sanitarie. In un tempo di prova e
difficoltà causate dalla pandemia, la Chiesa che è in Italia, dunque, anche
attraverso un supporto economico, è stata vicina alle persone e continua a
esserlo con numerose iniziative volte a dare speranza e aiuto concreto.
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