VERSO UN NOI SEMPRE PIU' GRANDE
PER LA 107ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2021
Cari fratelli e sorelle!
Nella
Lettera Enciclica Fratelli
tutti ho espresso una preoccupazione e un desiderio, che ancora
occupano un posto importante nel mio cuore: «Passata la crisi sanitaria, la
peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile
consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che
alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (n.
35).
Per
questo ho pensato di dedicare il messaggio per la 107a Giornata
Mondiale del Migrante e del Rifugiato a questo tema: “Verso un noi sempre
più grande”, volendo così indicare un chiaro orizzonte per il nostro comune
cammino in questo mondo.
La
storia del “noi”
Questo
orizzonte è presente nello stesso progetto creativo di Dio: «Dio creò l’uomo a
sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li
benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gen 1,27-28).
Dio ci ha creati maschio e femmina, esseri diversi e complementari per formare
insieme un noi destinato a diventare sempre più grande con il
moltiplicarsi delle generazioni. Dio ci ha creati a sua immagine, a immagine
del suo Essere Uno e Trino, comunione nella diversità.
E
quando, a causa della sua disobbedienza, l’essere umano si è allontanato da
Dio, Questi, nella sua misericordia, ha voluto offrire un cammino di
riconciliazione non a singoli individui, ma a un popolo, a un noi destinato
ad includere tutta la famiglia umana, tutti i popoli: «Ecco la tenda di Dio con
gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il
Dio con loro, il loro Dio» (Ap 21,3).
La
storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla
fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una
sola cosa» (Gv 17,21). Il tempo presente, però, ci mostra che
il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e
sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi,
come ora per la pandemia. I nazionalismi chiusi e aggressivi (cfr Fratelli
tutti, 11) e l’individualismo radicale (cfr ibid.,
105) sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto
all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più
facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti,
gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali.
In
realtà, siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non
ci siano più muri che ci separano, non ci siano più gli altri, ma
solo un noi, grande come l’intera umanità. Per questo colgo
l’occasione di questa Giornata per lanciare un duplice appello a camminare
insieme verso a un noi sempre più grande, rivolgendomi
anzitutto ai fedeli cattolici e poi a tutti gli uomini e le donne del mondo.
Una
Chiesa sempre più cattolica
Per
i membri della Chiesa Cattolica tale appello si traduce in un impegno ad essere
sempre più fedeli al loro essere cattolici, realizzando quanto San
Paolo raccomandava alla comunità di Efeso: «Un solo corpo e un solo spirito,
come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della
vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,4-5).
Infatti
la cattolicità della Chiesa, la sua universalità è una realtà che chiede di
essere accolta e vissuta in ogni epoca, secondo la volontà e la grazia del
Signore che ci ha promesso di essere con noi sempre, fino alla fine dei tempi
(cfr Mt 28,20). Il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare
tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai
imporre una uniformità che spersonalizza. Nell’incontro con la diversità degli
stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può
scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci
mutuamente. In effetti, dovunque si trovi, ogni battezzato è a pieno diritto
membro della comunità ecclesiale locale, membro dell’unica Chiesa, abitante
nell’unica casa, componente dell’unica famiglia.
I
fedeli cattolici sono chiamati a impegnarsi, ciascuno a partire dalla comunità
in cui vive, affinché la Chiesa diventi sempre più inclusiva, dando seguito
alla missione affidata da Gesù Cristo agli Apostoli: «Strada facendo,
predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi,
risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8).
Oggi
la Chiesa è chiamata a uscire per le strade delle periferie esistenziali per
curare chi è ferito e cercare chi è smarrito, senza pregiudizi o paure, senza
proselitismo, ma pronta ad allargare la sua tenda per accogliere tutti. Tra gli
abitanti delle periferie troveremo tanti migranti e rifugiati, sfollati e
vittime di tratta, ai quali il Signore vuole sia manifestato il suo amore e
annunciata la sua salvezza. «I flussi migratori contemporanei costituiscono una
nuova “frontiera” missionaria, un’occasione privilegiata di annunciare Gesù
Cristo e il suo Vangelo senza muoversi dal proprio ambiente, di testimoniare
concretamente la fede cristiana nella carità e nel profondo rispetto per altre
espressioni religiose. L’incontro con migranti e rifugiati di altre confessioni
e religioni è un terreno fecondo per lo sviluppo di un dialogo ecumenico e
interreligioso sincero e arricchente» (Discorso
ai Direttori Nazionali della Pastorale per i Migranti, 22 settembre
2017).
Un
mondo sempre più inclusivo
A
tutti gli uomini e le donne del mondo va il mio appello a camminare insieme
verso un noi sempre più grande, a ricomporre la famiglia
umana, per costruire assieme il nostro futuro di giustizia e di pace,
assicurando che nessuno rimanga escluso.
Il
futuro delle nostre società è un futuro “a colori”, arricchito dalla diversità
e dalle relazioni interculturali. Per questo dobbiamo imparare oggi a vivere
insieme, in armonia e pace. Mi è particolarmente cara l’immagine, nel giorno
del “battesimo” della Chiesa a Pentecoste, della gente di Gerusalemme che
ascolta l’annuncio della salvezza subito dopo la discesa dello Spirito Santo:
«Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della
Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e
delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Ebrei e
proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle
grandi opere di Dio» (At 2,9-11).
È
l’ideale della nuova Gerusalemme (cfr Is 60; Ap 21,3),
dove tutti i popoli si ritrovano uniti, in pace e concordia, celebrando la
bontà di Dio e le meraviglie del creato. Ma per raggiungere questo ideale
dobbiamo impegnarci tutti per abbattere i muri che ci separano e costruire
ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima
interconnessione che esiste tra noi. In questa prospettiva, le migrazioni
contemporanee ci offrono l’opportunità di superare le nostre paure per
lasciarci arricchire dalla diversità del dono di ciascuno. Allora, se lo
vogliamo, possiamo trasformare le frontiere in luoghi privilegiati di incontro,
dove può fiorire il miracolo di un noi sempre più grande.
A
tutti gli uomini e le donne del mondo chiedo di impiegare bene i doni che il
Signore ci ha affidato per conservare e rendere ancora più bella la sua
creazione. «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere
il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro
dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”» (Lc 19,12-13).
Il Signore ci chiederà conto del nostro operato! Ma perché alla nostra Casa
comune sia assicurata la giusta cura, dobbiamo costituirci in un noi sempre
più grande, sempre più corresponsabile, nella forte convinzione che ogni bene
fatto al mondo è fatto alle generazioni presenti e a quelle future. Si tratta
di un impegno personale e collettivo, che si fa carico di tutti i fratelli e le
sorelle che continueranno a soffrire mentre cerchiamo di realizzare uno
sviluppo più sostenibile, equilibrato e inclusivo. Un impegno che non fa
distinzione tra autoctoni e stranieri, tra residenti e ospiti, perché si tratta
di un tesoro comune, dalla cui cura come pure dai cui benefici nessuno
dev’essere escluso.
Il
sogno ha inizio
Il
profeta Gioele preannunciava il futuro messianico come un tempo di sogni e di
visioni ispirati dallo Spirito: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e
diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno
sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1). Siamo chiamati a sognare
insieme. Non dobbiamo aver paura di sognare e di farlo insieme come un’unica
umanità, come compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa
stessa terra che è la nostra Casa comune, tutti sorelle e fratelli (cfr
Enc. Fratelli
tutti, 8).
Roma, San Giovanni in Laterano, 3 maggio 2021, Festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo
Francesco
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