sabato 15 maggio 2021

L'AMBIGUA PEDAGOGIA DELLA LEGGE ZAN

 Un testo simbolico 

e pedagogico

- di Giuseppe Savagnone*

Il disegno di legge Zan è stato oggetto di innumerevoli commenti, favorevoli o negativi, concentrati, nella stragrande maggioranza, sugli effetti giuridici – opportunità dell’inasprimento delle pene nelle fattispecie indicate, rischio di censura delle opinioni divergenti – che esso avrà dopo la sua ormai probabile approvazione anche in Senato. E, su questo terreno, i difensori del provvedimento hanno abbondato nel fornire spiegazioni e garanzie a prima vista inoppugnabili.

Pochi, invece, per quanto ne so, hanno evidenziato il fatto che la vera posta in gioco, qui, non sono gli anni in più o in meno che un eventuale omofobo violento dovrebbe scontare, e neppure il diritto di chi non è d’accordo di dirlo apertamente, ma il carattere fortemente simbolico e pedagogico che la nuova legge avrà.

La legislazione di un Paese non mira solo a regolamentare singole situazioni, bensì a influenzare la mentalità e il costume, plasmando così il volto di una società e delle persone che vivono in essa. Le norme giuridiche, insomma, in quanto rendono lecito o illecito un certo comportamento, additandolo pubblicamente come espressione di un valore o di un di-valore, hanno anche una funzione educativa. Aristotele non faceva che dar voce al buon senso quando scriveva che «i legislatori rendono buoni i cittadini creando in loro determinate abitudini» (Etica Nicomachea, 1103 b).

I veri effetti del disegno di legge

Per questo, a quanti fanno notare che già nel nostro codice penale è ampiamente assicurata una tutela dei diritti delle persone – inclusi, ovviamente, gli omosessuali –, e che questa nuova normativa è dunque superflua, i sostenitori della legge Zan replicano che manca però una specifica menzione – con relativo aggravamento di pena – dei reati legati all’omofobia, che è presente nella legislazione di molti altri Paesi , e che è in gioco un problema di “civiltà”.

Non basta, insomma, che gli individui siano tutelati come persone: sono la loro «identità sessuale» e i loro «orientamenti sessuali» che devono esserlo, additandoli come valori riconosciuti dalla collettività e ormai indiscutibili.

Il problema della censura molto probabilmente non si porrà nemmeno. Che si levino ancora le voci scandalizzate dei reazionari e dei bigotti non potrà sminuire il salto di qualità che la figura di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali acquisterà, con una legge in cui se ne sancisce solennemente la perfetta “normalità” e la piena equiparazione dei loro comportamenti a quelli eterosessuali.

Con una immediata, evidente ricaduta sull’immagine condivisa della famiglia, prima ancora che sul suo regime giuridico, a cominciare dal diritto morale, proprio di ogni coppia, di avere dei figli. Con tutti i mezzi a disposizione, come si ritiene legittimo per gli sposi etero, e quindi, in linea di principio, anche ricorrendo a quello, già ampiamente usato in altri Paesi “civili”, dell’utero in affitto (nel nostro ancora escluso dalla legge).

Se si guarda alla legge Zan sotto questo profilo, cogliendone il significato “educativo”, si capisce che i suoi effetti non si manifesteranno nelle aule dei tribunali, ma in tutte le sedi in cui si realizza un’opera educativa.

Nelle scuole (elementari incluse), a tappeto

Acquista allora il suo pieno significato l’art. 6, che istituisce la Giornata nazionale contro l’omofobia – che sarà celebrata il 17 maggio – in cui saranno sono organizzate «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche e nelle scuole».

Quale messaggio sarà proposto in questa occasione e in tutte le alte che indubbiamente, all’ombra di quella, si moltiplicheranno? È abbastanza ovvio. Che è una questione di “civiltà” riconoscere la perfetta equiparazione etica e giuridica tra omosessualità ed eterosessualità. E poiché espressamente si è voluto che questo messaggio giungesse non solo agli studenti della scuola secondaria, maggiormente in grado di valutarlo criticamente, ma a quelli di ogni orine e grado, fin dalle elementari, gli effetti, in termini di condizionamento, sono garantiti. Né sarà possibile sottrarre i propri figli più piccoli a questa campagna “civilizzatrice”, perché in Parlamento è stato espressamente respinto un emendamento che chiedeva fosse introdotta la condizione del consenso dei genitori.

Dal rispetto per le persone omosessuali alla cultura dell’indifferenza sessuale

Si può capire l’impegno dei sostenitori del disegno di legge. La nostra storia passata e presente è piena di «pregiudizi, discriminazioni, violenze» nei confronti di gay, lesbiche, transessuali. Le persone omosessuali sono state – e spesso sono ancora – derise, umiliate, emarginate, a volte anche perseguitate. Le si è costrette a nascondersi, a mascherare la loro vera identità e a darle libera espressione solo nell’oscurità di ambienti ambigui e violenti, privati del diritto di avere una vita affettiva – non solo sessuale! – come tutti gli altri. E ancora oggi suscita scandalo in tanti la presa di posizione di papa Francesco, quando afferma che «gli omosessuali sono figli di Dio», esattamente come gli etero, portatori come loro dell’immagine di Dio impressa nei loro volti.

Si capisce allora che alla base del disegno di legge ci sia non solo e non tanto la volontà di combattere, assumendoli come reati formali, comportamenti spregevoli ancora tristemente riscontrabili nella cultura diffusa, ma quella di rivendicare la dignità umana di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Su questo nessuno, tanto meno i credenti, potrebbe e dovrebbero avere nulla da obiettare.

Il guaio è che, nel difendere i diritti degli omosessuali, il disegno di legge – come abbiamo appena visto – pone le basi per una educazione capillare e totalitaria alla cultura dell’indifferenza sessuale. Che non è soltanto in contrasto con le tradizioni morali degli italiani, ma porta in sé delle intrinseche ombre su cui sarebbe meglio riflettere.

L’«identità di genere» in discussione

Lo hanno denunziato ben 17 associazioni femministe, tra cui Arcilesbica, inaspettatamente contrarie all’approvazione della legge, che hanno sottolineato i pericoli insiti in un concetto cardine del testo (ma anche, in realtà, di tutta la teoria del gender), che è quello di «identità di genere».

«Per “identità di genere”», spiega il disegno di legge ««si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso». Ma, sganciando l’identità di genere da quella, biologica del sesso – dice un documento di queste associazioni – «si vuole che la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – venga fatta sparire. È la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere», rendendo insignificante il ruolo dei sesso biologico ed esponendosi ad ogni sorta di confusione.

«In California» – si legge nella stessa nota delle associazioni femministe – «261 detenuti che “si identificano” come donne chiedono il trasferimento in carceri femminili. Il “genere” in sostituzione del “sesso” diviene quindi il luogo in cui tutto ciò che è dedicato alle donne può essere occupato dagli uomini che si identificano in “donne” o che dicono di percepirsi “donne”».

Il racconto dei corpi

È in realtà un problema che i critici delle concezioni centrate unilateralmente sul “genere” hanno da sempre sollevato e che risorge ogni volta che, dal rispetto per le presone omosessuali, si passa alla teorizzazione dell’omosessualità come equivalente alla eterosessualità. I corpi, con la loro struttura biologica morfologica, hanno un loro racconto che deve essere ascoltato e non può essere messo tra parentesi, affidandosi solo a una esperienza soggettiva come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso».

Forse su questo potrebbero trovare un punto d’incontro le associazioni femministe e la Conferenza Episcopale Italiana, se provassero a dialogare invece di ignorarsi (o peggio) a vicenda. Entrambi pensano che i corpi – quello delle donne come quello degli uomini – non possono essere liquidati come puri meccanismi biologici. Essi meritano di essere rispettati e valorizzati, nella consapevolezza che l’identità sessuale completa di una persona non dipende solo dalla sua struttura corporea, ma anche nella certezza che non può prescindere da essa.

È forse troppo tardi per fermare la campagna a favore dell’approvazione della legge Zan. Ora che Fedez si è pronunciato… Ma non lo è per riprendere, in un dialogo costruttivo – anche se affrontato con la chiara coscienza dei differenti punti vista – il punto centrale evidenziato nel documento delle associazioni femministe. Sarebbe un modo per i cattolici di uscire da un isolamento culturale che le apocalittiche denunzie, da parte di alcuni di loro, non fanno che evidenziare, e per chi ha a cuore l’identità della donna di confrontarsi con una tradizione di pensiero che forse, se si è capaci di superare radicati pregiudizi, ha qualcosa da dire anche a loro.

*Pastorale Cultura Diocesi Palermo

 

www.tuttavia.eu

 

 

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