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venerdì 21 maggio 2021

EDUCAZIONE DIGITALE E SALUTE PSICOFISICA


 Social e digitale, 

la salute dei figli

 chiede equilibrio

 

-         di ENRICO LENZI

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Educare al digitale inizia dal «saper giocare con i propri figli sin dalla più tenera età». Che significa a sua volta «sapersi divertire con loro e meravigliarsi ogni qual volta mostrano di essere se stessi e non quello che vorremmo fossero». È lo spiazzante consiglio che Federico Tonioni, psicoterapeuta della Fondazione Policlinico Gemelli, ha fornito nell’incontro su 'Educazione al digitale' all’interno del Convegno nazionale promosso dall’Ufficio Cei per la Pastorale della salute la scorsa settimana. Introducendo i lavori, don Paolo Bonini, assistente pastorale alla Cattolica presso il Policlinico Gemelli, aveva sottolineato come si stia osservando da una parte «un certo precocismo, soprattutto sul piano emotivo- affettivo e sessuale» e dall’altra «un senso di rallentamento, che si manifesta in una incapacità a gestire il proprio corpo, a livello della manualità, nelle relazioni e nel saper fantasticare». Un dualismo frutto anche della diffusione dell’uso dei social, ma non solo. Ecco allora l’invito di Tonioni a recuperare come genitori una vera relazione con i figli. «Loro sono nativi digitali – avverte –. A noi adulti spetta accompagnarli, permettere loro di fare esperienza, fidarsi, mettere in campo trattative per giungere a un compromesso che rappresenta un cammino per giungere all’incontro».

Del resto, la pandemia, con l’introduzione della didattica a distanza, ha rappresentato un momento importante per questo cammino comune, come sottolinea Dianora Bardi, docente e formatrice del metodo Imparadigitale. «Non sono mancate criticità – ammette – ma la scuola deve prendere coscienza che indietro non si torna. Una analisi attenta permette di cogliere le potenzialità che l’uso di questi strumenti nella didattica comporta, come ad esempio aver visto sbloccarsi studenti che in classe solitamente si defilano». 

La vera sfida delle nuove tecnologie è per i docenti, «chiamati a rivedere il loro modo di fare lezioni, potenziando anche la interdisciplinarità». E come la scuola, anche parrocchia e pastorale sono chiamate a confrontarsi con questi strumenti, che «per molti mesi sono stati l’unico modo per mantenere i contatti nei gruppi», come ricorda don Mimmo Beneventi, direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di Acerenza. «Anche noi dobbiamo studiare bene gli strumenti – aggiunge – per meglio utilizzarli nella costruzione delle nostre comunità». «Spunti su cui dobbiamo aprire una seria riflessione», conclude Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio Cei Educazione-scuola-università.

 

www.avvenire.it



 

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