Il pedagogista Bertagna indica le priorità da mettere in agenda: dalla formazione iniziale e continua degli insegnanti, alla nuova progettazione didattica e organizzativa
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di Paolo Ferrario
«Cambiare strada non è una scelta ma una necessità ». Di
fronte alle sfide che attendono la scuola, il pedagogista dell’Università di
Bergamo, Giuseppe Bertagna, già consulente della ministra dell’Istruzione,
Letizia Moratti, ricapitola i temi più urgenti da mettere in agenda. Senza
rinunciare a qualche “puntura di spillo”.
Tra 10 anni avremo 1,4 milioni di alunni in meno: numeri più
piccoli, efficacia maggiore?
Per la verità tra 9 anni avremo poco più di 6,5 milioni di
studenti contro i più di 10 di solo 20 anni fa. E andando avanti ne avremo
ancora meno vista la glaciazione demografica in corso che sembra non incupire
nessuno. In compenso, finora e in più con gli ingenti soldi a debito del Pnrr
caricati sulle già sparute e macilente spalle di inconsapevoli giovani
generazioni, la diminuzione del numero degli studenti è accompagnata da un
aumento del numero dei docenti mantenendo la stessa struttura organizzativa e
le stesse routine del secolo scorso: classi, sezioni, partizioni disciplinari,
organici centralizzati statuiti sulle classi, licei, istituti tecnici, istituti
professionali e cfp tutti ben separati e tra loro gerarchizzati. E ogni anno,
da oltre 20 anni, i pianti rituali di Invalsi, Ocse Pisa e imprese sulle non
soddisfacenti competenze linguistiche, matematiche e scientifico-tecnologiche
dei nostri giovani, sul mismatch tra scuola e lavoro, sulla
qualità delle consapevolezze critico- culturali messe al bando dal
rumoroso sciacquio dei succhi gastrici secreti dai social.
Il ministro Bianchi vuole stabilizzare 200mila precari:
serviranno tutti, a fronte del calo degli studenti?
Le anime morte del partitismo e del
buro-sindacalismo corporativo devono persuadersi che il novecento
(altro che secolo breve: si è prolungato finora!) è archiviato.
Sì, stabilizzati i precari, speriamo con un minimo di
attenzione alla qualità delle loro
competenze, vanno avviati subito quattro nuovi processi
complementari: una formazione iniziale e continua dei docenti basata su
un’alleanza di sistema tra autonomie delle scuole e delle università, valida
anche per la selezione in ingresso; un modo di concepire il tempo scuola
come unità di apprendimenti formali, non formali, informali e perfino
occasionali vissuti nella loro vita dagli studenti; una organizzazione interna
delle scuole che superi la rigidità delle classi e introduca la figura del
gouverneurcoach- tutor di piccoli gruppi di studenti per l’intera durata di un
ciclo di studi; finalmente una carriera per i docenti: non solo docenti tutor,
ma anche docenti a tempo parziale o pieno che siano esperti di e-learning, di
progettazione organizzativa e didattica, di supervisione della formazione
iniziale e continua da declinare con le università, di lettura critica dei
risultati di apprendimento degli studenti della propria scuola per
correggere il tiro.
La scuola in estate: studenti e docenti, almeno in questa
prima fase, non hanno manifestato grande entusiasmo: lei che cosa ne pensa?
Come fare in modo che, come auspicato dal ministro, diventi davvero un “ponte”
verso il nuovo anno scolastico?
Nello scorso anno, fin da febbraio, proposi anche su questo
giornale la scholé estiva facoltativa. Sviluppai poi la proposta più
organicamente anche in un libro ( La scuola al tempo del covid).
Con lo scorso governo nessuna attenzione. Con il ministro
Bianchi un’inversione di tendenza. Tra mille ostacoli, è ovvio. Ma è l’inizio,
spero, di un cambiamento che non sia sterile fuoco di paglia. A cominciare dal
pensare che un calendario da società agricola in un tempo come il nostro è solo
un passato da superare. E finalmente, almeno per tre mesi, una centralità
possibile per l’autonomia delle scuole e del loro collegamento con le
formazioni sociali dei territori. Vedremo se questa sfida sarà raccolta.
Giunti quasi al termine anche del secondo anno di Dad, che
bilancio si può trarre dell’esperienza?
Per insipienza da colpa grave si è fatto credere che servisse
riprodurre in casa a distanza ciò che prima si faceva in presenza a scuola. Per
fortuna dopo un anno si è compresa la pericolosità di questa impostazione. E
che la valorizzazione del digitale e dell’e-learning sempre più indispensabile,
deve passare da un vero cambio di paradigma culturale, organizzativo e
didattico.
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