Patrimoniale, una proposta impopolare…
La
proposta di tassare le successioni ereditarie, avanzata dal segretario del Pd
Enrico Letta, ha suscitato un coro di proteste, ricevendo anche un chiaro
dissenso anche da parte del premier Draghi, che l’ha liquidata con un secco:
«Questo non è il momento di prendere i soldi dai cittadini ma di darli».
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di Giuseppe Savagnone*
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Dall’interno della maggioranza di governo, è subito intervenuto anche Matteo Salvini: «Sono pienamente d’accordo con il presidente Draghi: l’ultima cosa di cui hanno bisogno gli italiani adesso sono nuove tasse». Aggiungendo anche una sua reazione: «Sono allucinato dal fatto che il segretario del partito democratico possa immaginare una nuova tassa». Molto critica anche Italia Viva che, con il capogruppo al Senato Davide Faraone, definisce la proposta del Pd «fuori dal mondo».
Non
parliamo dei quotidiani dell’area di destra… L’eventuale imposta viene definita
un «prelievo sui piccoli patrimoni che si lasciano in eredità ai parenti dopo
una vita di risparmi» («La Verità» 21 maggio 2021). Nella stessa data «Il
Giornale» titola «Sanguisughe a sinistra» («Il Giornale»); «Il Tempo» definisce
quella di Letta una proposta che «semina odio mettendo contro ricchi e poveri,
giovani e vecchi». A prendere atto della sua impopolarità è un titolo, su
questo tema, de «Il Resto del Carlino»: «I democratici si fanno male da soli».
…e
che però è in sintonia con l’insegnamento sociale della Chiesa
Ma ascoltiamo Letta: «La proposta è quella di una dote ai 18enni che possa aiutare i giovani a prendere una casa, trovare un lavoro, pagarsi gli studi senza dover subire il divario con i coetanei che vengono da famiglie che possono pagare per loro. Per essere seri va finanziata non a debito (lo ripagherebbero loro), ma chiedendo all’1% più ricco del Paese di pagarla con la tassa di successione». In concreto, il segretario del Pd ha parlato di tassare le successioni superiori a un milione di euro (due miliardi di vecchie lire…). Una cifra che non corrisponde esattamente all’idea del «piccolo patrimonio» accumulato a forza di risparmi.
Ricordo
ai miei lettori che non sono certo un fan del Pd. In quasi tutti i miei
chiaroscuri non manco di denunziarne la politica e, più a monte, l’impostazione
ideologica. Ma qui siamo davanti a una proposta che corrisponde, nella mia
ottica, all’insegnamento sociale della Chiesa e che credo doveroso, anche a
costo dell’impopolarità, difendere.
Il
Paese europeo che tutela di più i patrimoni
Forse
è bene ricordare che l’Italia è probabilmente il Paese europeo in cui i grandi
patrimoni sono più tutelati. Lo confermano i dati relativi alle imposte di
successione secondo il rapporto dell’Ocse, pubblicato pochi giorni fa. La tassa
di successione italiana è infatti la più bassa a livello europeo, con aliquote
che oscillano tra il 4 e l’8%, con l’esenzione fio a un milione di euro.
In Germania la tassa di successione oscilla tra il 7% e il 50%, in
Spagna tra il 34% e l’86%, in Francia tra 5% al 60%, in Gran
Bretagna è del 40%.
Ciò
comporta, evidentemente, un contributo assai scarso degli italiani più
benestanti alle finanze dello Stato: nel 2018, 820 milioni ovvero lo 0,05%
del Pil In Francia, per esempio, sempre nel 2018 il gettito dell’imposta
su successioni e donazioni è risultato pari a 14,3 miliardi di euro, cioè lo
0,61% del Pil: in altre parole, quasi tredici volte quello italiano. A
quota 0,20-0,25% del Pil troviamo invece la Germania (6,8 miliardi), il Regno
Unito (5,9 miliardi al cambio del 2018) e la Spagna (2,7 miliardi),
tutti Paesi che riescono a incassare quasi cinque volte l’Italia e che quindi
hanno la possibilità di redistribuire la ricchezza attraverso politiche sociali
adeguate (senza indebitarsi).
In
concreto, se si considera l’ipotesi di una eredità del valore netto di un
milione di euro, lasciata da un genitore al proprio figlio, in Italia la
franchigia di un milione è sufficiente a evitare completamente l’imposizione,
mentre in Spagna l’imposta ammonterebbe a circa 335mila euro, in Francia a
270mila, nel Regno Unito a 245mila e in Germania a 115mila.
Tutto
ciò si verifica in un contesto in cui il 10% più ricco della popolazione italiana
(in termini patrimoniali) possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà
più povera della popolazione. Confrontando il vertice della piramide della
ricchezza con i decili più poveri, il risultato è ancora più sconfortante. Il
patrimonio del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41% della ricchezza
nazionale netta) è superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero.
La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco (che detiene il 22% della
ricchezza nazionale) vale 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal
20% più povero della popolazione italiana («Sole24ore», 20 gennaio 2020) «Tre
miliardari», si legge nel titolo dell’articolo, «sono più ricchi di sei milioni
di poveri».
Gli
economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno calcolato che negli ultimi 20
anni i 5.000 italiani più ricchi (pari allo 0,01% della popolazione) hanno
visto «triplicare» la propria quota di patrimoni complessivi, mentre il 50% più
povero ha accusato «una riduzione dell’80% della ricchezza netta». E proprio i
passaggi ereditari vengono identificati come «il principale motivo di
concentrazione della ricchezza».
Né
va meglio se dal patrimonio si passa al reddito. L’Italia risulta, tra gli
Stati europei più popolosi, quello in cui il divario di reddito tra i ricchi e
i poveri è più accentuato: nel nostro Paese il 20% della popolazione con i
redditi più alti può contare su entrate più di sei volte superiori a quelle di
coloro che rientrano nel 20% più povero. Una forbice che nell’ultimo decennio
si è allargata: la differenza era di 5,21 volte nel 2008, è diventata appunto
di 6,09 volte nel 2018.
I
figli dei ricchi e i figli dei poveri
Le
ricadute sulle nuove generazioni sono inevitabili e devastanti. Il nuovo
dossier di Oxfam informa che in Italia l’“ascensore sociale” è fermo: un terzo
dei figli di genitori più poveri è destinato a rimanere bloccato al piano più
basso dell’edificio sociale, mentre il 58% di quelli i cui genitori
appartengono al 40% più ricco è in grado di raggiungere posizioni di vertice.
Gli sforzi individuali, la dedizione, il talento sono sempre meno determinanti
per il miglioramento della propria posizione economica e sociale rispetto alla
famiglia d’origine. E si capisce. Le disuguaglianze di reddito dei genitori
diventano oggi disuguaglianze di istruzione dei figli che si trasformano, a
loro volta, in disuguaglianze di reddito, replicando quelle che già esistevano tra
i rispettivi genitori. Come ha commentato Elisa Bacciotti, direttrice delle
campagne di Oxfam Italia: «Viviamo in un’epoca e in un paese in cui ricchi sono
soprattutto i figli dei ricchi e poveri i figli dei poveri».
Forse
a questo punto si capisce che la proposta di Letta, di aiutare i diciottenni
per far sì che anche i più disagiati possano aspirare a un futuro diverso, col
(piccolo) contributo economico delle fasce privilegiate, non è così
«allucinante» e «fuori dal mondo» come la sia è accusata di essere.
Si
continua a parlare di una particolare attenzione da dedicare alle nuove
generazioni, particolarmente penalizzate dalla pandemia. Si evita però
accuratamente di precisare che le conseguenze non sono state uguali per chi
apparteneva a una famiglia di ampie risorse economiche e logistiche e i figli
dei poveri. Non è «odio», come ci si vuol far credere, ricordare questa
fondamentale differenza e tenerne conto nell’impostare un politica volta a
costruire il futuro del nostro Paese. O vogliamo che l’Italia che verrà sia
ancora quella delle stridenti disuguaglianze che oggi la lacerano e – quelle sì
– spingono i più diseredati, se non all’odio, alla disaffezione verso uno Stato
che fa finta di non vederli?
*Pastorale
Cultura Diocesi Palermo
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