«La
competizione causa l’infelicità»
«Nella
Scuola del gratuito si utilizza la “valutazione dialogica». E le famiglie sono
contente»
-
-Intervista di Paolo Ferrario
«Valutare
significa “dare valore” e non “misurare”. Per questo ritengo un errore
ritornare ai giudizi sintetici alla scuola primaria». Da più di vent’anni,
Ferdinando Ciani, insegnante pesarese di scuola media, ha abolito i voti nelle
proprie classi, preferendo quella che chiama “valutazione dialogica”, fondata
sul dialogo e la collaborazione tra docente e alunno e tra scuola e famiglia.
Coordinatore del progetto Scuola del gratuito, esperienza nata in seno
all’associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, il professor Ciani ha
portato l’idea in giro per l’Italia in convegni e incontri con le scuole. Da
qui è nato anche il Coordinamento delle scuole senza voto, cui oggi aderiscono
decine di istituti, dalla primaria al liceo. Anzi, sottolinea Ciani, sono
proprio i dirigenti delle scuole superiori a dimostrarsi tra i più interessati
ad adottare questo nuovo sistema di valutazione degli studenti.
Perché
è preoccupato da una riforma che ha l’obiettivo di rendere più comprensibili i
giudizi degli insegnanti?
Ma
non è così. Questa riforma è frutto di un’ideologia pedagogica che potremmo
dire fondata sul bastone e la carota. Non è assolutamente giustificabile un
passo indietro così repentino, dopo aver fatto un piccolo ma importante passo
in avanti in questi ultimi anni. Alla primaria non c’è ancora la valutazione
dialogica, ma comunque si sta portando avanti un’idea di valutazione migliore.
Ora tutto ritorna in gioco. Tra l’altro, falsando il giudizio dei genitori che
sono i primi ad essere soddisfatti della valutazione dialogica, la dove è
applicata.
Per
quale ragione?
Perché
è molto più precisa del voto “secco”. Dice dove lo studente deve migliorare,
mettendo allo stesso tempo in evidenza i punti di forza ed i passi in avanti
compiuti. In altri termini, aiuta l’allievo a capire il percorso che dovrà
affrontare, dando indicazioni e suggerimenti sul come farlo. Con la valutazione
dialogica l’insegnante “parla” all’allievo e lo aiuta a migliorarsi. Certo, al
docente è richiesto un impegno maggiore. Mettere un “5” è più semplice,
richiede certamente meno tempo e uno sforzo minore, ma non aiuta l’alunno.
Però,
magari, dice alla famiglia a che punto è arrivato il proprio figlio…
Assolutamente no. Ripeto: il voto non dice nulla. Davanti a un “4” la famiglia capisce
solo che il ragazzo va male a scuola. Magari lo punisce, non sapendo, però,
perché ha preso quel voto. Perché nessuno lo ha spiegato ai genitori. Limitarsi
a mettere un voto non aiuta nessuno. L’unica strada è il dialogo e il confronto
sia con lo studente che con i suoi genitori. E questo vale soprattutto per le
famiglie meno attrezzate culturalmente, che più delle altre devono essere
aiutate a capire che il voto non definisce il proprio figlio. È anche per
questo che ritengo sbagliato un ritorno ai giudizi sintetici. Che,
inevitabilmente, portano alla competizione tra studenti. Ma l’unica
competizione utile è con sé stessi, per migliorarsi.
Come
si può cambiare rotta?
Occorre
uscire dalla logica del profitto, della competizione, della lotta perenne con
gli altri che condanna l’essere umano all’infelicità.
Che
cosa direbbe ai politici che stanno pensando alla riforma della valutazione?
Dovrebbero
fare un bel bagno di umiltà e ascoltare le scuole e le famiglie. Che, lo ripeto
ancora, in grande maggioranza promuovono la valutazione dialogica, che sostiene
soprattutto gli studenti che fanno più fatica. Il mio appello alla politica è
di guardare con attenzione alle tante sperimentazioni che, spontaneamente,
stanno venendo avanti. Non soltanto con i bambini della scuola primaria, ma
anche alle superiori, con gli studenti più grandi. Stimolando allo stesso tempo
un nuovo e più proficuo rapporto con le famiglie.
www.avvenire.it
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