L’identità di genere non si decide a tavolino
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di Paola Binetti
“Stop
alle prescrizioni del farmaco utilizzato nei centri che si occupano di disforia
di genere per la sospensione dello sviluppo puberale in casi di pubertà
precoce. Lo ha deciso il Servizio sanitario inglese (NHS)”. Stiamo parlando di
triptorelina e la notizia, che appare netta e chiara sulla maggioranza dei
giornali italiani, invita ad una riflessione molto seria, per molteplici
aspetti. Vale la pena provare ad evidenziarne almeno alcuni.
La
disforia di genere sembra decisamente in aumento e a Roma sia l’Università
Cattolica che il Bambino Gesù hanno deciso di attivare dei servizi clinici che
se ne occupano, impegnando professionisti di alta qualità e attivando
contemporaneamente un centro di studio e di ricerca. L’approccio è
evidentemente clinico e per affrontare il problema sembra richiedere un
intervento decisamente specialistico.
A
Milano, quasi contemporaneamente, l’8 marzo scorso, mentre nelle piazze
sfilavano i cortei per festeggiare la Giornata internazionale della donna, il Comune ha
diramato una circolare contenente le linee guida per l’attivazione e la
gestione dell’identità alias a favore dei dipendenti che ne fanno richiesta. La
delibera era stata approvata a fine 2023, il provvedimento era entrato in
vigore dal 1° gennaio 2024 e le linee guida sulla gestione delle carriere alias
nello stesso Comune sono state emanate l’8 marzo. Un iter velocissimo per chi
conosce i tempi della burocrazia, reso necessario per favorire “la piena
inclusione lavorativa di tutti coloro che intendono modificare nome e identità
nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, così come previsto
dal contratto collettivo nazionale di riferimento”. Secondo il Comune di Milano
quindi tutti questi passaggi possono essere fatti senza alcuna diagnosi o
perizie mediche, in coerenza con gli orientamenti dell’OMS.
La
disforia di genere è comunemente definita come la profonda sofferenza
secondaria all’incongruenza tra l’identità di genere e il genere assegnato alla
nascita. Le persone con disforia di genere sono descritte come una popolazione
psicologicamente e socialmente più vulnerabile, in particolare quando
attraversano i primi stadi dello sviluppo puberale.
Tre
approcci decisamente diversi e per alcuni aspetti decisamente contraddittori:
in Gran Bretagna l’uso della triptorelina è sospeso, a Roma si attivano centri
di diagnosi e cura della disforia di genere in due degli ospedali a più forte
caratterizzazione religiosa, entrambi considerati, a diverso titolo, gli
ospedali del papa, a Milano invece ognuno può definire gli standard della sua
sessualità e del suo genere come meglio crede, ottenendo piena legittimazione
dal Comune, senza verifiche di alcun genere. A Milano quindi il tema della
disforia di genere viene cancellato con una delibera comunale e l’unico
parametro di riferimento diventa: non chi sono, ma chi credo di essere e
soprattutto come voglio essere considerato nel contesto in cui vivo e lavoro. A
questo punto, cancellata la disforia di genere, l’uso e l’abuso della triptorelina,
almeno sul piano teorico, cessano di avere un qualsiasi interesse perché oggi o
domani posso dichiarami come meglio credo, senza avere bisogno di una qualsiasi
documentazione. Tutto si risolve nella mia soggettività e nella mia
egoreferenzialità.
Ma
ovviamente non è così. Sono ancora attuali i problemi relativi al vissuto della
propria sessualità e alle sue possibili contraddizioni, resta il problema degli
adolescenti, davanti a fisiologici dubbi ed incertezze sul proprio orientamento
e soprattutto resta il problema dell’ideologia legata ad un tema che sottrae la
stessa sessualità alle sue radici biologiche, che non ne esauriscono il senso e
il significato, ma indubbiamente ne sono parte integrante. La
triptorelina, vale la pena ricordarlo, è un farmaco utilizzato per la
sospensione dello sviluppo puberale in casi di pubertà precoce, ed è stata a
lungo utilizzata per il trattamento della disforia di genere, in attesa che il
soggetto decida chi voleva essere o diventare: maschio, femmina o altro. Il
Servizio sanitario inglese (NHS), dopo molti anni che lo aveva autorizzato, ha
deciso di interrompere le prescrizioni di routine, poiché non sono stati
trovati prove sufficienti riguardo alla sicurezza o all’efficacia del farmaco.
In Italia il Comitato Nazionale di Bioetica in un suo documento del 2018 ne
aveva raccomandato l’uso solo in casi molto circoscritti, con prudenza, con una
valutazione caso per caso e l’AIFA, nel febbraio 2029, sulla scorta della
valutazione data dal CNB, aveva reso il farmaco prescrivibile e completamente a
carico del SSN, precisando però: “per l’impiego in casi selezionati in cui l’identità
di genere (disforia di genere) con diagnosi confermata da una équipe
multidisciplinare e specialistica e in cui l’assistenza psicologica,
psicoterapeutica e psichiatrica non sia risolutiva”.
Una
“terapia” rischiosa e ideologica
I
recenti accadimenti dell’Ospedale Careggi di Firenze hanno riaperto
il problema, che merita ulteriori approfondimenti. La Gran Bretagna, infatti,
ha bandito l’uso della triptorelina perché il farmaco non assicura né sicurezza
né efficacia. In altri termini non è in grado di ridurre i problemi comportamentali
ed emotivi degli adolescenti con una sindrome di disforia di genere; resta il
rischio suicidiario e non si intravvedono segno di miglioramento del
funzionamento psicologico generale. Nell’autorizzazione all’uso del farmaco,
sia in UK che in Italia, mancava l’indispensabile riferimento al principio di
precauzione, che esige una strategia complessa nella gestione del rischio, come
avviene quando in medicina non si ha una conoscenza certa, scientificamente
fondata, dei potenziali effetti negativi di una determinata attività
terapeutica. Nel caso della triptorelina non ci sono mai stati studi di follow
up che consentano di escludere il rischio di possibili conseguenze
negative sulla crescita, sulla struttura scheletrica, sull’apparato
cardio-vascolare, neurologico-cerebrale e metabolico e sulla fertilità
dell’adolescente trattato, comprese le conseguenze sul suo sviluppo sessuale e
su quello emotivo-cognitivo che lo accompagna.
Una
sperimentazione poco chiara e rischiosa
Dopo
anni di somministrazione senza reali prove di efficacia, dopo la denuncia degli
abusi compiuti nel Gender Identity Development Service (GIDS) della Tavistock
Clinic di Londra, denunciati dal suo stesso direttore, era naturale,
auspicabile, che la Gran Bretagna mettesse la parola fine ad una
sperimentazione in cui il fattore ideologico superava di gran lunga gli aspetti
scientifici. Lo staff della Tavistock è stato accusato di aver adottato un
atteggiamento superficiale, con un incoraggiamento indiscriminato verso la
prospettiva di una transizione di genere anche di fronte a casi d’incertezza
tipici nell’adolescenza rispetto alla propria identità; infatti in gioco non
c’è solo la triptorelina, come farmaco, attualmente ritirata dall’uso, ci sono
anche le forti criticità rilevate sulla verifica del consenso informato dei
pazienti ammessi ai trattamenti di transizione da un sesso all’altro e la loro
consapevolezza delle conseguenze relative all’assunzione del farmaco.
Necessaria
la prudenza
Quanto
accaduto nel Regno Unito mostra al di fuori di ogni dubbio la prudenza
necessaria nel trattamento della cosiddetta disforia di genere, per saperne di
più cogliere anche le naturali incertezze dell’adolescenza e saper impostare
sul piano psico-pedagogico tutta una serie di interventi volti a rafforzare
l’identità complessiva del soggetto; la sua maturazione progressiva, la sua
sicurezza nel prendere decisioni che lo riguardano. Il problema non si
esaurisce nell’alternativa triptorelina sì o triptorelina no; ha radici più
profonde che coinvolgono anche il senso antropologico della differenza dei
sessi, il suo rispecchiamento nel contesto sociale attuale, in cui sembra
prevalere un approccio di tipo negazionista, che invece di sottolineare la
differenza e coglierne valore e significato tende a ricondurla in un anonimato
relazionale che rimanda ad un profondo senso di solitudine e di isolamento.
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