24
marzo 2024
Domenica
delle Palme
Mc
11, 1-10
Commento di S.B. Card. Puierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme.
Con
la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa, nella celebrazione
dell’ora in cui Gesù rivela definitivamente il mistero dell’amore del Padre per
l’umanità.
Arriviamo
a questa soglia dopo aver percorso le diverse tappe della Quaresima.
E
l’abbiamo fatto con questo sguardo, quello di chi si lascia stupire dalla
manifestazione di un Dio “capovolto”, un Dio diverso e lontano da ogni
possibile forma di potere, di forza, di grandezza.
Il
Vangelo di oggi (Mc 11, 1-10) ci porta in questa stessa direzione.
La
particolarità di questo brano è che se da una parte racconta l’ingresso
trionfale di Gesù in Gerusalemme, dall’altra indugia a lungo su particolari
apparentemente secondari.
Ben
sette versetti su dieci (Mc 11,1-7) sono occupati dalla descrizione dei
preparativi per l’ingresso.
Fino
a quando l’ora non era ancora giunta, nessuno era riuscito a mettere le mani su
Gesù (Gv 7,30). Ma nel momento in cui quest’ora giunge, niente può più
fermarlo, e Lui stesso si dispone a preparare l’evento: manda due discepoli in
un villaggio a prelevare un puledro, prevede che qualcuno farà obiezione,
suggerisce le parole da dire…Insomma, una preparazione fatta con grande cura,
senza che nulla sia lasciato al caso.
La
stessa cosa Gesù farà più avanti (Mc 14,12-16), per l’ultima cena che vorrà
vivere con i suoi: manderà due discepoli in città, dove troveranno un uomo con
una brocca, chiederà loro di seguirlo, affiderà loro le parole da dire…
Gesù
prepara la sua morte e non la prepara da solo, come da solo non aveva vissuto
la sua vita: i suoi discepoli avranno parte a questa preparazione.
Ma
perché questa attenzione ai preparativi?
Gesù
prepara la sua morte e dispone i fatti in modo che sia chiaro il significato
che questa morte dovrà avere.
Con
l’ultima cena cercherà di dire ai suoi discepoli che la sua morte non sarà un
fallimento, né la fine di tutto, ma piuttosto il culmine di una vita donata per
amore. E che questo dono sarà come un pane spezzato, sarà il nutrimento e la
forza per il loro nuovo cammino, per la loro comunione fraterna.
L’ingresso
in Gerusalemme è preparato con cura da Gesù perché sia chiaro lo stile
messianico che Gesù ha scelto e a cui rimane fedele fino alla fine.
Siccome
è re, Gesù può entrare a Gerusalemme su una cavalcatura e non a piedi, come era
previsto.
Siccome
è re, può prendere la cavalcatura da uno dei suoi sudditi.
Ma
siccome è un re mite, la sua cavalcatura sarà quella dei servi, e non quella
dei potenti.
E
siccome è un re che viene per donare, e non per usurpare, chiede una
cavalcatura a prestito, ma si premura di dire che la restituirà subito (Mc
11,3).
Inoltre,
per gli abitanti di Gerusalemme e per i pellegrini saliti per la festa, sarà
evidente il richiamo dei gesti di Gesù alla profezia di Zaccaria (Zc 9,9-10),
che annuncia l’arrivo di un re pacifico, mite, un re che entra in città proprio
su un puledro per annunciare la pace non solo a Gerusalemme, ma a tutte le
nazioni.
Per
questo il puledro su cui Gesù salirà può essere slegato: il verbo ritorna 5
volte in pochi versetti (Mc 11,2.4.5), per dire che la profezia è sciolta, è
compiuta, ed è giunto finalmente un re capace di portare la pace.
Marco
precisa che su questo puledro nessuno era ancora salito (Mc 11,2): finora,
infatti, nessun re era stato un re di pace.
Abbiamo
visto che il puledro, slegato e utilizzato da Gesù, verrà restituito subito.
Subito è un avverbio che l’evangelista Marco ha usato molte volte nel suo
Vangelo.
Siccome
il tempo è compiuto (Mc 1,15), la salvezza è qui, è presente. Per questo
motivo, quando Gesù incontra qualcuno, subito accade qualcosa: subito la lebbra
sparisce (Mc 1,42), subito il paralitico si alza (Mc 2,12), subito la lingua si
scioglie (Mc 7,35). Tutto in Marco è affrettato, è presente, tranne una cosa,
ovvero il riconoscimento di Gesù come Messia: quando le persone guarite, o i
demoni, vogliono proclamare che Gesù è Figlio di Dio, Gesù ritarda questo
momento, lo rimanda, perché non gli venga attribuito un significato diverso da
quello che Lui vuole dargli.
Ora
siamo alla fine del Vangelo, ed è tempo di rivelare il giusto significato della
sua vita.
E
ciò che era rimandato, ovvero la rivelazione piena del Messia come servo
sofferente, ora è un fatto presente, per cui il puledro potrà essere riportato
subito al suo legittimo proprietario: la rivelazione è compiuta.
Marco
utilizzerà questo avverbio solo altre due volte: per il tradimento di Giuda (Mc
14,45) e per il rinnegamento di Pietro (Mc 14,75): di fronte allo scandalo di
questa rivelazione, c’è la reazione dell’uomo, che subito si chiude all’idea di
un Dio sconfitto e sofferente.
Così
sarà anche per la folla di Gerusalemme: subito accoglie l’ingresso di Gesù con
gioia, ma subito dopo questa stessa folla griderà per metterlo a morte (Mc
15,11-14), proprio come coloro che assomigliano al terreno sassoso della
parabola, che quando ascoltano la Parola subito l’accolgono (Mc 4,16), ma nella
difficoltà subito vengono meno (Mc 4,17).
Nella
sua ora, Gesù rivela di essere un Messia che si fa debole per amore.
Non
elimina la fragilità e la debolezza, ma la rende il luogo della massima
rivelazione del suo amore.
Per
tutti noi, incostanti e incapaci di lasciarci amare così, Gesù entra in
Gerusalemme, senza tirarsi indietro, chiedendoci solo di alzare gli occhi per
vedere fino a che punto arriva l’amore del Re che ha scelto la pace.
+
Pierbattista
https://www.lpj.org/it/news/meditation-of-hb-card-pizzaballa-latin-patriarch-of-jerusalem-17
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