Solitudini,
dipendenze, disagio, ritiro sociale: i più giovani sotto pressione. E gli
adulti non stanno molto meglio.
Il punto annuale sul benessere psichico degli italiani nel convegno dell’Ufficio Cei per la Pastorale della salute con psichiatri e studiosi. Cresce l’allarme per patologie che insidiano le nuove generazioni
Baturi:
«L’incontro nasce solo quando riconosco l’altro come persona, anche con tutte
le sue ferite. E mi prendo cura di lui»
-
di PINO CIOCIOLA
Il
futuro non sembra di grande compagnia. Anzi, mostra piazze quasi solo virtuali
e solitudini reali, condite da una discreta tristezza e qualche senso di vuoto.
Mentre il presente neppure mostra un barlume d’inversione di rotta e tendenze.
Non c’è insomma da stare granché allegri, specie pensando ai più giovani, ma
tocca muoversi, com’è stato spiegato a “Le grandi solitudini. La Chiesa
italiana e la salute mentale”, settima edizione del convegno promosso
dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei, in
collaborazione con l’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici e
l’associazione “In punta di piedi”, con una ventina di relatori.
Pandemia
della solitudine.
Diversi
elementi «ci fanno dire che oggi viviamo una “pandemia della solitudine”, e si
direbbe che il contesto sociale occidentale attuale non aiuta la relazione»,
dice in un videosaluto inviato al convegno monsignor Giuseppe Baturi,
segretario generale della Cei. Ma «l’incontro, la relazione, può nascere solo
quando riconosco l’altro, anche nelle sue fragilità, anche quando è vulnerato,
ha subito qualche ferita, lo riconosco come persona, come un “tu” che possiede
quell’originario valore per sé stesso. E mi prendo cura di lui».
Ritiro
sociale. Punto, già sconsolante, di partenza, socialmente
parlando: «Una percentuale di ragazzi tra l’11 e il 27% soffre di sentimenti di
tristezza e vuoto, quando diventano consapevoli della scarsa quantità e qualità
delle proprie relazioni sociali», percentuale che «sale al 40% se si considera
l’età adulta», spiega Stefano Vicari, docente di Neuropsichiatria infantile
alla Cattolica di Roma e responsabile dell’Unità operativa complessa
Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza all’Ospedale Bambino Gesù. Occhio
poi al cosiddetto “ritiro sociale” (sottrarsi alle opportunità d’interazione
con i coetanei), visto che si stimano in questa condizione «120mila ragazzi ».
Vita
da smartphone . Ancora Vicari: «Il 78,3% di bambini fra
11 e 13 anni utilizza internet tutti i giorni, soprattutto attraverso lo
smartphone ». A proposito, «i bambini tra sei e dieci anni che utilizzano lo
smartphone tutti i giorni sono passati dal 18,4% del 2018/19 al 30,2% del
2020/2021», cioè dopo la pandemia. Risultato? «Facile e veloce soddisfazione
dei bisogni virtuali», «controllo sugli altri, sulle proprie emozioni e i
propri comportamenti», «eccitazione da immagini, suoni e video durante la
navigazione». Naturalmente con la “sindrome da disconnessione” scattano «ansia,
tristezza e rabbia», annota Vicari. Così – conclude – «la dipendenza da
strumenti elettronici è la piaga di questi anni». Con relativa e annessa
solitudine.
Condizione
patologica. Tanto più che c’è una bella differenza fra stare
soli, restarci o finirci: «Se usiamo l’espressione “stare da soli” – annota
l’Ufficio Cei per la Pastorale della salute, diretto da don Massimo Angelelli –
possiamo pensare a un’opportunità per generare nuove energie, progetti,
sviluppi. Se passiamo a “restare da soli” tratteggiamo uno scenario velato di
tristezza, con la sensazione che si sia perduto qualcuno di prezioso. Ma quando
nel nostro linguaggio entra la parola “solitudine” disegniamo un quadro malinconico
che confina con – o addirittura entra in – una condizione patologica». Dunque,
«nato per la relazione, l’essere umano, si trova non poche volte in condizione
di solitudine, al punto che la letteratura a più riprese lo descrive come un
essere “solo” dalla nascita alla fine».
I
“divorzi grigi”. Prendiamo la coppia che scoppia, altro
giro di potenziali (e purtroppo non solo) solitudini. Un campanello ormai più
che d’allarme sono i “ grey divorces” (divorzi grigi), i divorzi che avvengono
oltre i cinquant’anni. E sono le donne – sottolinea Cinzia Niolu, medico,
psicoterapeuta, psichiatra, dirigente della Uoc di Psichiatria della Fondazione
Policlinico Tor Vergata – ad avere «una maggiore difficoltà a riprendersi
emotivamente e psicologicamente».
Disabilità.
Ancora, pensando alla solitudine delle famiglie con figli disabili,
«nell’ultimo decennio il numero delle consulenze neuropsichiatriche al
Dipartimento emergenza e accettazione del Bambino Gesù è aumentato undici
volte», fa sapere Paolo Alfieri, dottore in Neuroscienze dello Sviluppo, Uoc di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù di Roma.
Intanto, nel mondo «più di un adolescente su sette tra 10 e 19 anni convive con
un disturbo mentale diagnosticato» e «il suicidio è la seconda causa di morte
tra 15 e 19 anni in Europa». Testimonianza della mamma di una ragazza disabile
in cura al Bambino Gesù: « Invitare un familiare in casa a pranzo o per un
semplice incontro è impensabile. Ancor più quando tutti si riuniscono», come a
Natale o per un compleanno, che «per noi rimane un’utopia».
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