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sabato 19 marzo 2022

ASCOLTANDO LA PIOGGIA

 


    

«E chi sei tu? Chiesi alla pioggia che dolcemente scendeva,

 e che, strano a dirsi, mi rispose, come traduco:

sono il poema della terra, disse la voce,

 sorgo impalpabile eterna dalla terra e dal fondo del mare,

 su verso il cielo, in forma mutata ma la stessa,

 E sempre, giorno e notte, restituiscono la vita alla mia origine,

 la rendo pura e l’abbellisco, con amore».-         


                                                                                      di ROBERTO MUSSAPI


Nella Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, la pioggia costituisce un avvento, un’epifania: il marinaio colpevole di avere ucciso il bianco e angelico albatro giace disidratato sulla nave arsa dal calore, in una plumbea e massacrate bonaccia. Ma si avvicina l’istante di redenzione e la sua salvezza, il perdono divino sarà segnato da un’improvvisa pioggia, ritorno della vita: l’acqua che «per incantesimo bruciava / d’un acceso rossore immoto sparsa», nell’epocale traduzione di Luzi, torna salvifica in forma di poggia: «Quelle inutili secchie sulla tolda/ che inerti erano state così a lungo,/ sognai ch’erano colme di rugiada;/ e dopo, quando mi risvegliai, pioveva».

Similmente al fuoco, che è amore, energia, calore, ma può anche divenire incendio, distruzione, la pioggia è benedicente nutrice della terra e dei semi e delle piante e dei frutti e dell’uomo, ma anche calamità nei nubifragi e delle alluvioni. Pluviale è uno dei miti delle origini, il Diluvio universale, la cui memoria appare in molte parti del mondo. Vitale, nella sua origine, e nel rito universalmente diffuso della sua invocazione. Il più famoso è quello dei nativi d’America, in particolare del Sud Ovest, dove erano frequenti lunghi periodi di siccità, con conseguenze disastrose per la sopravvivenza. Il rito propiziatorio vedeva agire uomini e donne insieme, con abiti specifici, rituali, maschera turchese con peli di capra, bande blu e gialle, un rito con colori, costumi, canti, gesti e movimenti codificati.

Non fa riferimento né alla danza della pioggia né a Coleridge, il conciso e brillante Breve storia della pioggia

 di Alain Corbin, (Marietti 2016, pagine 74, euro 9), un libro che si legge in un soffio, ma che tocca alcuni nodi centrali della nostra esperienza nei confronti di quella realtà che, nota acutamente l’autore, è vista, simbolicamente, spesso, come scorrere di lacrime. Un excursus intelligente sulla molteplice lettura della pioggia nei secoli, dal diciottesimo, quando nasce la moderna meterologia, a oggi, quando è divenuta quasi una scienza esatta, ma in compenso si è diffusa la meteoropatia... Se il meteoropatico è ultrasensibile alla pioggia, in realtà non fa che manifestare in modo esplicito quanto avviene in ogni uomo, spesso inconsciamente. Ma, molte volte, amore o disdegno per questo fenomeno, suscita entusiasmo o fastidio esplicito: come la repulsione di Stendhal per «le piogge continue, eterne, villane infami, abominevoli», o al contrario lo stupore di Darwin che nella pioggia sente la potenza gioiosa del torrente, quello di Thoreau, l’autore di Walden, ovvero vita nei boschi, a cui la pioggia suggerisce la sensazione di immergersi nella totalità del mondo nell’ebbrezza della natura, l’entusiasmo di Whitman (a cui si aggiunge l’incantato e incantante di D’Annunnzio nella Pioggia nel pineto).

Whitman il grande poeta dell’anima del mondo, le parla direttamente e alla sua voce risponde la voce della pioggia: «E chi sei tu? Chiesi alla pioggia che dolcemente scendeva, / e che, strano a dirsi, mi rispose, come traduco: / sono il poema della terra, disse la voce, / sorgo impalpabile eterna dalla terra e dal fondo del mare, / su verso il cielo, in forma mutata ma la stessa, / E sempre, giorno e notte, restituiscono la vita alla mia origine, / la rendo pura e l’abbellisco, con amore».

 

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