-di
ENZO BIANCHI
Prima
di organizzare dibattiti e confronti su un tema oggi evocato con frequenza come
quello della “fragilità”, occorrerebbe fare con intelligenza una distinzione
tra fragilità, debolezza, vulnerabilità e imperfezione. Altrimenti si fa
confusione e non si accede a una consapevolezza che aiuti il nostro cammino di
crescita umana.
Certamente
viviamo in un contesto di relativismo, di oblio delle esigenze morali e di fuga
dalla fatica che incoraggia una certa inerzia e che non può non diventare
debolezza spirituale. Anche la crescita delle ansie esistenziali e delle paure
di fronte alla vita stessa, al futuro, alla morte, al fallimento, hanno
alimentato un clima di depressione che porta a rimuovere le virtù da
conseguirsi con fatica, mentre incoraggia la fragilità. Vulnerabili siamo tutti
noi in quanto esseri umani: ma la fragilità è altra cosa e non va confusa!
“Vulnerabilità”
significa capacità di essere feriti, apertura ed esposizione all’altro: l’altro
che ci sta davanti e ci mostra il volto con le sue ferite e il suo pianto
ferisce anche noi, ci fa soffrire e ci porta alla compassione, al “soffrire
insieme”. Essere vulnerabili è una grande possibilità di comunione anche perché
la vulnerabilità non solo non esclude la fortezza, ma può incitarci
all’acquisizione di questa virtù, tanto necessaria per poter aiutare con
responsabilità e intelligenza l’altro che soffre.
La
fragilità invece è il male che ci coglie a causa della vita, della malattia,
delle vicende del mondo. Dalla fragilità vorremmo “essere liberati” perché è un
impedimento alla pienezza della nostra vita.
Oggi
c’è un elogio della fragilità che è insensato. Viene fatto da impotenti e
inerti, ma va giudicato con chiarezza come giustificazione di una vita nella
quale si rifiuta la fortezza per un equivoco: la fortezza infatti non è
violenza, non è un vile prevalere sugli altri, ma è capacità di resistenza, di
saldezza, di resilienza, di pazienza, di makrotymía, capacità di continuare a
pensare in grande e a vedere in grande.
Per
questo le persone fragili sono riconosciute da chi sa di essere fragile e sono
conosciute nel faccia a faccia, guardandosi negli occhi, nel mettere la mano
nella mano, nell’abbracciarsi. Abbracciare un corpo deforme o malato, dare la
mano a un mendicante, dare un bacio a un povero, accogliere un viandante in
casa, è vivere la beatitudine di chi riconosce e discerne l’uomo fragile,
dicono i salmi nella Bibbia.
La debolezza. E
infine possiamo dire che la debolezza è una consapevolezza spirituale della
nostra situazione: siamo sempre deboli, ma è vero che in certi momenti
sprofondiamo in una debolezza che rasenta la morte. Nonostante la lotta contro
la tentazione cadiamo nel compiere il male, falliamo nel fare il bene,
contraddiciamo l’amore. Gregorio Magno dice che, se non fossimo deboli e
soggetti a cadute e a fallimenti nella vita, penseremmo che il bene che
facciamo viene da noi e non da Dio. E arriva a dire con molta audacia che i
peccati che facciamo, soprattutto quelli impuri, sono un rimedio all’orgoglio.
Ma è il grande san Bernardo, che dopo una vita in cui comandava al papa e ai re, vive una crisi profonda: esce dal monastero e va a vivere da solo, in una
capanna nella foresta. E qui confessa a causa dei suoi peccati il fallimento
della sua vita da monaco, il fallimento del cammino verso la santità che si era
prefisso. Ne esce come un uomo spogliato e canta: O optanda infirmitas! O beata
desiderabile debolezza!
Alzogliocchiversoilcielo
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