C'é compatibilità tra l’evoluzione della specie umana
e la dottrina della creazione?
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di -di Gianfranco Ravasi
Uno
degli orizzonti più complessi, ma anche più praticati ai nostri giorni, è
quello del rapporto tra fede e scienza e, quindi, anche tra Bibbia e ricerca
scientifica. Quello che noi possiamo ora proporre è solo uno spunto,
considerati i limiti della nostra rubrica. Vorremmo, perciò, dedicare queste
poche righe a un tema imponente come una montagna, quello della compatibilità
tra l’evoluzione della specie umana e la dottrina della creazione, così come è
definita nei primi tre capitoli della Genesi e sviluppata nella riflessione
teologica.
Come
è noto, lo scienziato inglese Charles Darwin, dopo una lunga ricerca in vari
mari e una sosta decisiva alle isole Galapagos nel Pacifico, simili a un
giardino zoologico arcaico, aveva pubblicato nel 1859 il celebre saggio
L’origine della specie per selezione naturale. In esso ricostruiva il processo
della vita fisica che si evolve (donde il termine «evoluzione») in forme sempre
più complesse, da gradini inferiori, attraverso una selezione che privilegia le
specie più dotate e abili nel sopravvivere.
Questo
schema fu da lui applicato anche alla specie umana che, attraverso una serie di
modificazioni, da livelli inferiori giungeva all’ominizzazione. La reazione dei
teologi di allora (ma non solo) fu aspra perché essi gli opponevano appunto il
racconto della creazione diretta dell’uomo da parte di Dio (il cosiddetto
«creazionismo» in antitesi all’«evoluzionismo»). In realtà, era necessario
impostare meglio la distinzione dei due approcci, senza incursioni di campo
reciproche.
È
ciò che, invece, accade con gli sconfinamenti e la confusione dei due ambiti di
ricerca. Da un lato, c’è stato da parte di alcuni teologi un uso dei testi
sacri per giustificare “scientificamente” l’atto creativo e la natura della
persona umana. D’altro lato, alcuni scienziati, adottando l’evoluzione come
teoria globale, respingevano ogni interpretazione metafisica, spirituale e
teologica della realtà umana.
In
verità, le due prospettive della scienza e della teologia sono distinte e
presentano dimensioni diverse dell’uomo; non sono, quindi, incompatibili perché
si muovono su piani differenti e rivelano qualità entrambe importanti: per la
scienza, lo sviluppo biologico dell’essere umano attraverso un lungo processo
evolutivo; per la teologia l’accendersi in lui dell’anima, della coscienza,
della libertà, dell’esperienza estetica e spirituale. È su questo secondo
aspetto che si impegnano sia le pagine bibliche, sia la ricerca
filosofico-teologica, rispettando l’analisi che lo scienziato conduce sulla
struttura fisica umana nel suo configurarsi progressivo.
La
lezione di Galileo Galilei è stata decisiva nel definire la «verità» che ci
vuole insegnare la Bibbia: essa non è di tipo scientifico ma, come egli
scriveva all’abate benedettino Benedetto Castelli, è quella «necessaria alla
salute», cioè alla salvezza dell’umanità. È ciò che aveva già intuito
sant’Agostino quando, commentando proprio la Genesi, affermava che «nel Vangelo
non si legge che il Signore avrebbe detto: Vi manderò il Paraclito che vi
insegnerà come vanno il sole e la luna. Voleva formare dei cristiani e non dei matematici».
E il Concilio Vaticano II ribadirà: «I libri della Sacra Scrittura insegnano
con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, a causa della nostra
salvezza, volle che fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (Dei Verbum n. 11).
Famiglia
cristiana
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