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di MASSIMO ONOFRI
Lo sguardo incrociato e pluriprospettico di Sisci – particolare non da poco – ha a che fare con un dato di biografia che ci fa meglio intendere la disposizione del libro. Questa: Sisci ha studiato filologia e filosofia classica cinese, senza dire degli anni trascorsi in Cina non solo come giornalista, ma anche come direttore dell’Istituto italiano di cultura, come docente di politica internazionale all’Università del Popolo e persino come collaboratore della Scuola centrale del Partito Comunista. Questo gli ha consentito di guardare l’Italia sempre da lontano: e di soggiornarvi – magari bloccato per il Covid – con lo stesso spirito di quel persiano delle Lettere di Montesquieu in visita a Parigi.
Ne è
venuto fuori un libro insolito, di vocazione che direi contro-storica, di
quelli che, però, nella storia della nuova Italia (oh Croce!), non sono mai
mancati e di cui resta ancora maestro uno scrittore come Corrado Stajano: ve lo
ricordate Patrie smarrite. Racconto di un italiano uscito nell’ormai lontano
2001? Libri di difficilissima definizione che si collocano in quella striscia
di territorio intellettuale sempre più esile, ove, come il senno d’Astolfo
sulla luna, giace il senso rimosso di tanta storia nazionale. In taluni casi
capolavori come quel Golia. Marcia del fascismo (1937) di Giuseppe Antonio
Borgese che per Stajano è di sicuro un maestro. Dico Golia: il libro in cui si
diagnostica una malattia italiana molto antica, risalente addirittura a Dante,
Cola di Rienzo e Machiavelli e che ha a che fare con un’idea di fascismo che è
qualcosa di assai più profondo e duraturo che non il ventennio nero. Un
fascismo eterno e pertinace. Che continuamente riaffiora. Anche là dove non te
lo aspetti.
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