SACRIFICI
PER
IL BENE COMUNE
-
di Giuseppe Savagnone*
-
Uno
shock collettivo
Le
parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono state semplici e
chiare: per risanare i conti pubblici, sarà necessaria una manovra che
«chiederà sacrifici a tutti».
E
il ministro ha citato l’articolo 53 della Costituzione, secondo cui «tutti sono
tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva», un principio che per lui dev’essere «la stella polare» in questa
situazione.
In
concreto, ha spiegato, per far fronte alle necessità del momento bisognerà
reperire risorse da «tutto il sistema Paese»: «i privati, le aziende e
soprattutto la Pubblica amministrazione, che sarà chiamata ad essere più
performante e produttiva». In particolare, per quanto riguarda le banche e le
aziende, si tratterà di «tassare i giusti profitti, gli utili», calcolati «in
modo corretto».
A
prima vista non sembrerebbe un discorso sconvolgente. Invece lo è stato. La
Borsa di Milano ha chiuso a -1,5%, il risultato peggiore in Europa.
Peggiore
anche del -1,32% di quella di Parigi, dopo l’annuncio di una «imposta
eccezionale» sulle imprese e sui contribuenti più ricchi ipotizzata dal governo
del nuovo premier, Michel Barnier.
Ma
non è stata solo la Borsa ad aver un shock: basta leggere, all’indomani
dell’annunzio di Giorgetti, i titoli di prima pagina dei quotidiani – ad
eccezione di quelli filo-governativi, che significativamente non hanno
riportato la notizia o l’hanno relegata in un piccolo riquadro – per rendersi
conto di quanto esso abbia scosso partiti e opinione pubblica.
La
maggioranza ha cercato di calmare gli animi e di rassicurare tutti: «Niente
nuove tasse», è stato ribadito con forza da diversi suoi esponenti. Né essi
potrebbero dire diversamente, per coerenza con il programma elettorale della
destra, che, al n.4, prevedeva, fra gli altri punti, «Riduzione della pressione
fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi» e «No a patrimoniali
dichiarate o mascherate». E proprio a una “patrimoniale mascherata” fanno
pensare le parole del ministro dell’Economia.
Ma,
nel tempo della post-verità, non è necessario che una affermazione sia conforme
alla realtà: basta che lo sembri. E le parole in questo aiutano.
Come
nel caso delle accise sul gasolio, per le quali allo studio del Tesoro ci
sarebbe un «meccanismo di allineamento» con quelle della benzina. Una
possibilità che ha suscitato aspre reazioni. Anche in questo caso, l’accusa al
governo è di essere incoerente con le promesse elettorali.
Su
X, allora, Giorgia Meloni scriveva: «Gli italiani continuano a essere spennati
alla pompa di benzina… Per forza, le tasse sui carburanti sono tra le più alte
al mondo! Abbassare, se non abolire, alcune folli e anacronistiche accise che
gravano sugli automobilisti sarebbe un atto di civiltà!». E, l’opposizione ha
rispolverato un video del 2019, durante la campagna elettorale, in cui
l’attuale premier pretendeva che le accise venissero «progressivamente
abolite».
Ma
anche qui il recupero è possibile, grazie alle parole: è stato subito precisato
dal governo che non si tratta di un vero e proprio aumento delle accise del
gasolio, bensì di una loro «rimodulazione». Miracoli del linguaggio. Vedremo se
basteranno a fermare le proteste.
Il
problema delle imposte tra vincoli dell’economia e libere scelte politiche
Davanti
a questo quadro, bisogna innanzi tutto constatare che, anche nell’ambito della
politica fiscale (non è l’unico) i partiti al governo non stanno riuscendo a
mantenere le promesse fatte quando chiedevano il voto agli elettori.
Non
è certo la prima volta nella storia che ciò accade. Prenderne atto serve solo a
ricordare che ormai, al di là delle proclamazioni retoriche, di “svolte
radicali” – a comandare la linea politica dei governi sono, in larga misura, le
regole dell’economia, che impongono loro una sostanziale uniformità di scelte,
anche quando le idee e i progetti sono diversi.
Una
seconda osservazione, che controbilancia la precedente, è che, un certo margine
di autonomia la politica continua comunque ad averla. Lo dimostra il fatto che,
sempre in campo fiscale, il governo in carica due promesse elettorali le aveva
mantenute: «Pace fiscale e “saldo e stralcio”», sulla base di un «accordo tra
cittadini ed Erario per la risoluzione del pregresso»; ed «Estensione della
Flat tax per le partite IVA fino a 100.000 euro di fatturato».
Anche
se entrambe queste scelte appaiono problematiche. La Pace fiscale è accusata da
più parti di essere in sostanza un puro semplice condono, che avvantaggia gli
evasori fiscali e li incoraggia per il futuro a non pagare le tasse, irridendo
e scoraggiano coloro che attualmente versano contributi esorbitanti proprio a
causa della immunità di cui godono gli altri.
Quanto
alla Flat tax (“tassa piatta”) – già varata per i titolari di partita IVA con
incassi lordi annui non superiori ai 65mila euro (ma di cui si prevede presto
l’estensione anche ai redditi superiori) – è un sistema fiscale non progressivo
per cui applica una sola aliquota d’imposta, a prescindere dall’ammontare
dell’imponibile. Invece di pagare in percentuali proporzionate al loro reddito
– e quindi più elevate per quelli che ne hanno uno maggiore – , i
contribuenti rispondono tutti sulla base
della stessa percentuale.
Una
riforma che è stata contestata perché appare in contrasto con quello stesso
art.53 della Costituzione, citato dal ministro Giorgetti, che, al secondo
comma, recita: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
E che, secondo molti esperti, comporta in sostanza uno sgravio per i redditi
più alti.
La
filosofia insita nella lotta contro le tasse
In
entrambi i casi, le riforme che la destra aveva annunciato e sta attuando in
campo fiscale prestano il fianco al sospetto di essere un favore alle classi
più abbienti, in una prospettiva che ha sempre visto con aperta ostilità le
tasse.
Non
bisogna dimenticare che i partiti di governo si ispirano tutti, anche se con
accentuazioni diverse, alla visione e alla testimonianza vissuta di Silvio
Berlusconi (per la cui morte hanno indetto il lutto nazionale), grande nemico
delle tasse, al punto da dichiarare che la «giustificazione morale»
dell’evasione è insita nel «diritto naturale».
A
questo gli italiani sono stati educati nel corso della Seconda Repubblica, una
stagione di cui quella attuale è la naturale continuazione. Si capiscono,
allora, lo sconcerto dell’opinione pubblica e l’imbarazzo del governo di fronte
alle parole di Giorgetti quando cita l’art.53 della Costituzione (sia pure solo
nella sua prima parte), ricordando che «tutti sono tenuti a concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Ce ne eravamo
dimenticati.
E,
quel ch’è peggio, non aderiamo più alla filosofia sottesa a tutto questo
articolo – primo e secondo comma – , che era quella della dottrina sociale
cristiana, a cui aderiva la maggioranza dei padri costituenti, democristiani,
su questo punto d’accordo con i loro colleghi del PCI e del PSI.
Quello
che ormai la grande maggioranza degli italiani pensa è che ognuno ha diritto di
tenersi quello che è suo. Questo spiega l’adesione massiccia alla politica del
governo nei confronti dei flussi migratori (ormai sempre più condivisa anche
dal resto d’Europa, che si ispira alla stessa filosofia), con relativa “difesa
delle frontiere”, a tutela del nostro sovrabbondante benessere (vedi gli
sprechi spaventosi che esso comporta).
E
spiega anche l’ostilità verso le tasse, percepite come un abuso di uno Stato
che – secondo la famosa espressione berlusconiana – vuole “mettere le mani
nelle tasche” dei cittadini.
Magari
ci si dedica al volontariato e si fanno offerte alle fondazioni di beneficenza,
ma il diritto di proprietà è un dogma indiscutibile e il principio delle tasse
ne costituisce tendenzialmente una violazione. Posso regalare il mio, ma non
essere obbligato a darlo alla comunità, perché il frutto del mio lavoro, o di
quello dei miei genitori (nel caso delle successioni, per cui pure l’Italia è
il paradiso degli ereditieri), o del denaro che in qualche modo mi sono
guadagnato.
Ma
forse si perde di vista qualcosa…
È
praticamente assente, nei più, la consapevolezza che in realtà ognuno di noi
può crescere, studiare, lavorare, produrre e consumare, grazie a una società
che lo precede, lo accoglie alla nascita e lo accompagna in tutte queste fasi,
creando le condizioni per cui le sue potenzialità possono realizzarsi.
E
che essa può farlo solo perché e nella misura in cui i singoli non si limitano
a percepirne i benefici, ma contribuiscono al mantenimento dei suoi servizi con
quello che posseggono, che perciò non è solo in funzione del loro benessere, ma
va impiegato perché anche altri abbiano quello che noi abbiamo ricevuto.
Come
si è molto indebolita, a livello collettivo, l’idea che siamo responsabili
degli altri esseri umani, al di là di ogni appartenenza etnica e culturale, e a
maggior ragione dei nostri connazionali poveri.
Secondo
i dati ufficiali sono più di cinque milioni. Uomini, donne, bambini, che non
hanno neppure il necessario (per loro colpa? Il liberalismo classico lo
sosteneva, ma oggi sappiamo che non è così). Il sistema tributario ha il
compito, precisamente, di realizzare concretamente questa umana solidarietà.
In
ogni caso, poveri o ricchi, c’è una solidarietà – i cristiani la chiamano
fraternità – che rende i nostri destini, lo vogliamo o no, dipendenti tra loro.
Perché, come ha scritto nel Seicento il poeta inglese John Donne, «nessun uomo
è un’isola, completo in se stesso./ Ogni uomo è un pezzo del continente,/ una
parte del tutto./ Se anche solo una zolla fosse portata via dal mare,/ l’Europa
ne è diminuita,/ come se lo fosse un promontorio,/ o una magione amica,/ o la
tua stessa casa./ Ogni morte d’uomo mi sminuisce,/ perché io sono parte
dell’umanità./ E dunque non mandare mai a chiedere/ per chi suona la campana:/
essa suona per te».
Questa
è la filosofia, oggi dimenticata, a cui si ispira la nostra Costituzione. E ora
che il ministro Giorgetti ha avuto il coraggio di ricordaci la necessità di
fare tutti dei sacrifici per il bene comune, forse, invece di farci prendere
dal panico, dovremmo riflettere.
*Scrittore
ed editorialista – Pastorale della Cultura, Diocesi di Palermo
www.tuttavia.eu
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