di: Lorenzo
Blasetti
Abbiamo vissuto con
angoscia l’esperienza della pandemia. Un fatto che avremmo dovuto trasformare
in un evento, in un kairòs, perché era l’occasione buona per
sganciarci da una prassi che da decenni i vescovi ci chiedono di rinnovare ma
che poi, loro stessi, i vescovi, sono i primi a perpetuare lasciando il
cambiamento sulla carta dei loro non sempre stimolanti documenti.
Non era allora il caso,
ad esempio, di fermarci per verificare che cosa ne è stato di questa citazione
presa da uno dei loro documenti? Siamo nel 2004 e il documento è Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia:
Nella vita delle nostre
comunità deve esserci un solo desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo
scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria; per
fare esperienza del suo amore nella fraternità dei suoi discepoli. Una pastorale
tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità
cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci
nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in
generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo
testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere
l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire
a rendere nuova l’intera società (n. 1).
Cambiamento … numerico
Ho citato un documento
del 2004. Ma ne ho presente un altro a cui rimando e che, a mio modo di vedere,
è uno dei documenti profetici ispirati dal Concilio Vaticano II e che andrebbe
riletto e meditato per fare un doveroso esame di coscienza. Si tratta di Vivere la fede oggi e siamo nel 1971.
Nessuno può onestamente
affermare che da allora – sono passati più di 50 anni – qualcosa sia cambiato.
O meglio: il cambiamento c’è stato, ma solo a livello numerico. Nel tempo,
infatti, si è assottigliato il numero di coloro che chiedono di celebrare i sacramenti
ed è aumentato il numero di coloro che, pur avendo ricevuto il battesimo,
decidono di vivere la loro vita senza alcun riferimento alla Chiesa, di cui,
essendo battezzati, dovrebbero far parte.
Per la verità non si può
negare che, in questo tempo, sono nate esperienze ecclesiali significative ed è
aumentato il numero di persone che sentono il bisogno di approfondire la loro
fede attraverso la lettura e la meditazione sistematica della Bibbia. Ma sono
per lo più esperienze di nicchia che, per molteplici ragioni, poco incidono per
il rinnovamento del popolo di Dio e, in non pochi casi, tendono più che ad
animare la sua vita, a clonare sé stesse.
Ma il fatto più
sconcertante che abbiamo visto realizzarsi in questi anni è stato quello di
aver dato credibilità a quanti si sono buttati a capofitto nella difesa dei
cosiddetti valori non negoziabili per puro calcolo e interesse politico senza
un minimo di decenza e di pudore rispetto alla loro mancanza di coerenza. Basti
pensare alla strumentalizzazione del tema famiglia.
Un altro aspetto,
anch’esso piuttosto sconcertante, è ciò che è avvenuto e sta avvenendo con il
drammatico fenomeno della migrazione. Nessuno può negare che sia un immenso
problema che interpella la società e la politica e nessuno può proporsi come
chi ha la ricetta giusta per affrontarlo. Ma nessuno può dimenticare che i
criteri di valutazione di un cristiano hanno il loro fondamento nel vangelo che
non lascia alcun dubbio su come si debba guardare lo straniero che bussa alle
porte delle nostre case.
Sorprende come una
percentuale altissima di sedicenti cristiani lo dimentichino e si lascino
ammaliare da proposte socio-politiche e culturali che hanno il sapore della
xenofobia e del razzismo. E, fatto ancora più grave, è che coloro che le
propongono si spacciano anche loro come cattolici e non esitano a sbandierare
pubblicamente simboli cristiani per dare forza ai loro ragionamenti senza che
ci sia stato un coro unanime da parte della Chiesa italiana per dire
chiaramente che Lui, Gesù, ragiona in un altro modo e che si è cristiani quando
i suoi pensieri diventano i nostri.
Il sarto e il guardaroba
La faccenda è seria e io
credo che sia arrivato il momento di scegliere se vogliamo continuare a
proclamare la necessità del rinnovamento pensando di poterlo attuare con
qualche toppa su un vestito logoro o se invece vogliamo finalmente cambiare
vestito come raccomanda Gesù: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un
vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo
diventa peggiore» (Mt 9,16).
Il sarto c’è e il
guardaroba è ben fornito: il sarto si chiama Gesù e il guardaroba che ci mette
a disposizione è il suo vangelo. E io credo che, se vogliamo rinnovare la
Chiesa veramente e seminare il futuro, dobbiamo avere l’umiltà e il coraggio di
farci dire da Lui, Gesù, in che modo farlo.
Non credo che Gesù ci
direbbe qualcosa di diverso da ciò che ha detto quando ha pensato e
voluto costituire la sua Chiesa: «convertitevi», «seguitemi», «rimanete»,
«andate». Ho l’impressione che questi verbi costitutivi, iniziando dal
primo, non siano particolarmente frequentati nelle nostre discussioni
(chiacchiere) pastorali. Pensare di cambiare senza rimetterli in gioco con
decisione e coraggio significa rimandare sine die il
rinnovamento con l’aggravante che la realtà della Chiesa si sfilaccia sempre di
più e si perde di vista lo scopo per cui Gesù l’ha voluta.
*Lorenzo Blasetti, sacerdote
della diocesi di Rieti, ha ricoperto vari incarichi pastorali in diocesi e
fuori. Assistente spirituale degli studenti nell’Università
Cattolica a Roma. Ha insegnato Teologia Trinitaria nell’ISSR di
L’Aquila. È autore del volume Cambiare
sì, ma come? La pastorale delle sfide, Prefazione di mons.
Domenico Pompili, Tau editrice, Todi (PG) 2024, pp. 96, € 14,00.
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