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sabato 12 aprile 2025

UN PULEDRO LEGATO


 Domenica delle Palme 



Vangelo Lc 19,28-40


"Troverete un puledro legato... "




Commento del Card. Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme

Il brano di Vangelo che viene letto all’inizio della Celebrazione eucaristica della Domenica delle Palme (Lc 19,28-40) ci racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, dove poco dopo, verrà consegnato alle autorità romane, per essere condannato e crocifisso.

La particolarità di questo brano, però, è che per gran parte del suo racconto non ci parla tanto di quanto succede durante questo giorno di festa, quanto piuttosto dei suoi preparativi (Lc 19, 29-35).

In modo particolare, l’attenzione si focalizza sulla cavalcatura che Gesù utilizza, ovvero un puledro, che è descritto con due caratteristiche, su cui ci soffermiamo.

La prima caratteristica è che questo puledro è legato: questo termine ritorna 4 volte in pochi versetti (Lc 19,30.31.33), e ritorna per dire che i discepoli troveranno un puledro legato, e dovranno slegarlo.

Era un periodo in cui il popolo era in grande attesa, (Cf. “Poiché il popolo era in attesa” - Lc 3,15) e tale attesa riguardava la venuta di un re, un messia che avrebbe assicurato alla sua gente la pace. Dio stesso si era rivelato come il vero Re, ma il popolo aveva insistito per avere un re come tutti gli altri popoli. E Dio aveva concesso un re, come suo rappresentante, posto a capo del popolo per assicurargli la pace.

Ma lungo tutta la storia biblica, ben pochi erano stati i re all’altezza di questo compito, capaci di non lasciarsi sedurre dalle logiche del potere e della ricchezza. Al posto di guidare il popolo come fa un pastore buono, che slega le pecore e le porta al pascolo, loro avevano legato e oppresso il popolo con scelte sbagliate, ingiuste. Al posto di donare libertà e pace, avevano portato al popolo oppressione ed esilio.

L’attesa di un re buono, dunque, era andata crescendo, così come la certezza che un re buono non poteva essere se non un re unto, ovvero donato da Dio.

Per questo l’evangelista Giovanni fa precedere il racconto dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme (Gv 12,12-15) dal racconto dell’unzione di Betania (Gv 12,1-11): Gesù è il vero re, Colui che viene per liberare il suo popolo. Gesù viene dunque a sciogliere, a slegare ogni legame di oppressione, a slegare il suo popolo dal potere del male, della violenza, di tutto ciò che tiene l’uomo legato e incapace di libertà vera.

Il puledro su cui Gesù sale, inoltre, offre un riferimento evidente alla profezia di Zaccaria (“Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” - Zc 9,9), che racconta della fine dell’attesa di questo mite re di pace, che infine giunge, seduto proprio su un puledro d’asina.

Le attese del popolo, tuttavia, si concentravano soprattutto sulle profezie che annunciavano un Messia trionfante, vincitore, forte. La profezia di un re Messia che cavalca un puledro, invece, era una profezia scomoda, lontana dai criteri di attesa del popolo.

Il puledro che Gesù manda a slegare, nessuno mai era ancora salito (“troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno” - Lc 19,30). La storia non aveva mai ancora visto la venuta di un re capace di pagare con la propria vita il prezzo della pace del suo popolo. Ora tutto questo accade, e una folla di poveri esulta (Lc 19,37-38).

 Ma anche nel momento in cui il Signore vuole entrare nella vita del suo popolo, e portarvi la salvezza, c’è sempre qualcosa che tenta di impedirlo: i farisei, di fronte a tutto questo entusiasmo, chiedono a Gesù di far tacere i suoi discepoli (“Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli” – Lc 19,39).

Questo, però, non è più possibile: i discepoli potranno anche tacere, rimanere muti, e questo accadrà durante la passione, dove tutto l’entusiasmo di oggi lascerà il posto allo sgomento. Ma d’ora in poi anche ciò che non può parlare, come le pietre, non farà altro che dire che la salvezza è giunta (“Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre»” – Lc 19,40).

L’uomo potrà sempre accoglierla o rifiutarla, ma Gesù prosegue con la sua missione di salvezza: la profezia è slegata e quel puledro, su cui nessuno era ancora salito, ha finalmente trovato il re capace di cavalcarlo.

 + Pierbattista

Patriarcato Latino Gerusalemme

 

sabato 23 marzo 2024

OSANNA !

 

24 marzo 2024

Domenica delle Palme

 Mc 11, 1-10

Commento di S.B. Card. Puierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme.


Con la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa, nella celebrazione dell’ora in cui Gesù rivela definitivamente il mistero dell’amore del Padre per l’umanità.

 Arriviamo a questa soglia dopo aver percorso le diverse tappe della Quaresima.

E l’abbiamo fatto con questo sguardo, quello di chi si lascia stupire dalla manifestazione di un Dio “capovolto”, un Dio diverso e lontano da ogni possibile forma di potere, di forza, di grandezza.

 Il Vangelo di oggi (Mc 11, 1-10) ci porta in questa stessa direzione.

 La particolarità di questo brano è che se da una parte racconta l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, dall’altra indugia a lungo su particolari apparentemente secondari.

 Ben sette versetti su dieci (Mc 11,1-7) sono occupati dalla descrizione dei preparativi per l’ingresso.

 Fino a quando l’ora non era ancora giunta, nessuno era riuscito a mettere le mani su Gesù (Gv 7,30). Ma nel momento in cui quest’ora giunge, niente può più fermarlo, e Lui stesso si dispone a preparare l’evento: manda due discepoli in un villaggio a prelevare un puledro, prevede che qualcuno farà obiezione, suggerisce le parole da dire…Insomma, una preparazione fatta con grande cura, senza che nulla sia lasciato al caso.

 La stessa cosa Gesù farà più avanti (Mc 14,12-16), per l’ultima cena che vorrà vivere con i suoi: manderà due discepoli in città, dove troveranno un uomo con una brocca, chiederà loro di seguirlo, affiderà loro le parole da dire…

Gesù prepara la sua morte e non la prepara da solo, come da solo non aveva vissuto la sua vita: i suoi discepoli avranno parte a questa preparazione.

 Ma perché questa attenzione ai preparativi?

 Gesù prepara la sua morte e dispone i fatti in modo che sia chiaro il significato che questa morte dovrà avere.

 Con l’ultima cena cercherà di dire ai suoi discepoli che la sua morte non sarà un fallimento, né la fine di tutto, ma piuttosto il culmine di una vita donata per amore. E che questo dono sarà come un pane spezzato, sarà il nutrimento e la forza per il loro nuovo cammino, per la loro comunione fraterna.

 L’ingresso in Gerusalemme è preparato con cura da Gesù perché sia chiaro lo stile messianico che Gesù ha scelto e a cui rimane fedele fino alla fine.

 Siccome è re, Gesù può entrare a Gerusalemme su una cavalcatura e non a piedi, come era previsto.

 Siccome è re, può prendere la cavalcatura da uno dei suoi sudditi.

 Ma siccome è un re mite, la sua cavalcatura sarà quella dei servi, e non quella dei potenti.

 E siccome è un re che viene per donare, e non per usurpare, chiede una cavalcatura a prestito, ma si premura di dire che la restituirà subito (Mc 11,3).

 Inoltre, per gli abitanti di Gerusalemme e per i pellegrini saliti per la festa, sarà evidente il richiamo dei gesti di Gesù alla profezia di Zaccaria (Zc 9,9-10), che annuncia l’arrivo di un re pacifico, mite, un re che entra in città proprio su un puledro per annunciare la pace non solo a Gerusalemme, ma a tutte le nazioni.

 Per questo il puledro su cui Gesù salirà può essere slegato: il verbo ritorna 5 volte in pochi versetti (Mc 11,2.4.5), per dire che la profezia è sciolta, è compiuta, ed è giunto finalmente un re capace di portare la pace.

 Marco precisa che su questo puledro nessuno era ancora salito (Mc 11,2): finora, infatti, nessun re era stato un re di pace.

 Abbiamo visto che il puledro, slegato e utilizzato da Gesù, verrà restituito subito. Subito è un avverbio che l’evangelista Marco ha usato molte volte nel suo Vangelo.

 Siccome il tempo è compiuto (Mc 1,15), la salvezza è qui, è presente. Per questo motivo, quando Gesù incontra qualcuno, subito accade qualcosa: subito la lebbra sparisce (Mc 1,42), subito il paralitico si alza (Mc 2,12), subito la lingua si scioglie (Mc 7,35). Tutto in Marco è affrettato, è presente, tranne una cosa, ovvero il riconoscimento di Gesù come Messia: quando le persone guarite, o i demoni, vogliono proclamare che Gesù è Figlio di Dio, Gesù ritarda questo momento, lo rimanda, perché non gli venga attribuito un significato diverso da quello che Lui vuole dargli.

 Ora siamo alla fine del Vangelo, ed è tempo di rivelare il giusto significato della sua vita.

E ciò che era rimandato, ovvero la rivelazione piena del Messia come servo sofferente, ora è un fatto presente, per cui il puledro potrà essere riportato subito al suo legittimo proprietario: la rivelazione è compiuta.

 Marco utilizzerà questo avverbio solo altre due volte: per il tradimento di Giuda (Mc 14,45) e per il rinnegamento di Pietro (Mc 14,75): di fronte allo scandalo di questa rivelazione, c’è la reazione dell’uomo, che subito si chiude all’idea di un Dio sconfitto e sofferente.

 Così sarà anche per la folla di Gerusalemme: subito accoglie l’ingresso di Gesù con gioia, ma subito dopo questa stessa folla griderà per metterlo a morte (Mc 15,11-14), proprio come coloro che assomigliano al terreno sassoso della parabola, che quando ascoltano la Parola subito l’accolgono (Mc 4,16), ma nella difficoltà subito vengono meno (Mc 4,17).

Nella sua ora, Gesù rivela di essere un Messia che si fa debole per amore.

 Non elimina la fragilità e la debolezza, ma la rende il luogo della massima rivelazione del suo amore.

 Per tutti noi, incostanti e incapaci di lasciarci amare così, Gesù entra in Gerusalemme, senza tirarsi indietro, chiedendoci solo di alzare gli occhi per vedere fino a che punto arriva l’amore del Re che ha scelto la pace.

 + Pierbattista

https://www.lpj.org/it/news/meditation-of-hb-card-pizzaballa-latin-patriarch-of-jerusalem-17


sabato 1 aprile 2023

STANCARSI DI DIO


 - Domenica delle Palme - Vangelo

 - Commento di p. Ermes Ronchi

 Quanto volete darmi perché io ve lo consegni? In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. La Domenica delle Palme ci immerge in uno dei momenti più festosi della vita di Gesù: un fiume di sorrisi, dal monte degli ulivi al tempio. E attorno era primavera, allegra e potente, come adesso. Non ho più dimenticato un dialogo di molti anni fa con un monaco trappista dell’abbazia di Orval, in Belgio. Davo una mano nella “brasserie”, cercando di rendermi utile, quando mi venne da chiedergli: «Padre, ma lei non si è mai stancato di Dio? Di pregare, di pensare a lui, di dargli tutto il tempo? Quando ci si stanca di Dio, cosa dobbiamo fare?».

 Mi aspettavo che dicesse: ma come si fa a stancarsi di Dio? Vuol dire che siamo credenti da poco... Invece mi guardò con i suoi occhi profondi, e mi raccontò di una omelia di san Bernardo ai suoi monaci: «nel giorno delle Palme, nel corteo che accompagna il Maestro e i discepoli giù dal monte degli ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e stende i mantelli, chi agita rami di palma: un giardino che cammina. Chi più vicino a Gesù, chi più lontano. Ma tutti contenti. C’è però un personaggio che fa più fatica di tutti, anche se è forte, anche se è il più vicino, ed è l’asina con il suo puledro (Matteo 21,2), su cui hanno steso i mantelli, su cui è salito Gesù. Chi sente tutto il peso di quell’uomo da portare su per l’erta che sale dal torrente Cedron verso il tempio e si stanca, è l’asina.

 È la più vicina a Gesù; eppure, quella che fa più fatica. Così anche noi» continuò «quando facciamo fatica, quando sentiamo il peso delle cose di Dio, forse questo accade perché siamo molto vicini al Signore, stiamo portando lui e insieme il peso del cielo sopra di noi, con le sue nuvole scure da spingere più in là. L’importante è continuare: poco dopo c’è Gerusalemme».

 La Settimana Santa porta con sé i giorni supremi della storia, la Sua vita e la nostra un fiume solo, i giorni della “vendetta” di Dio: quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta la separazione, di tutta l’indifferenza, inventando la croce che solleva la terra, che abbassa il cielo, che raccoglie gli orizzonti, crocevia di tutte le nostre strade disperse. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. Lassù, le braccia di Gesù, inchiodate e distese in un abbraccio irrevocabile, mai più revocato, sono le porte dell’eden spalancate per sempre, sono dilatazione del cuore fino a lacerarsi, ancor prima del colpo di lancia. Nuova genesi dell’uomo in Dio: l’amato nasce sempre dalla ferita del cuore di chi lo ama. L’uomo nasce dal cuore lacerato del suo creatore. Rivelazione ultima che Dio e la vita sono sempre dono di sé, e non sarai mai abbandonato. Allora nella croce di Gesù risplende davvero la gloria della vita.

 (Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14-27,66)



sabato 9 aprile 2022

SETTIMANA SANTA. ABBIAMO BISOGNO DI TEMPO

 Una relazione non è fatta unicamente di momenti trionfali; anzi, è spesso fatta anche di momenti che, seppur scomodi, ci conducono a un cambiamento. Ecco, la relazione con Gesù impegna ciascuno di noi a cambiare qualcosa della nostra vita, perché Cristo ci ha amati ed è il Suo amore a indicare la via da percorrere.

 Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,28-40)

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».

Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:

«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

 IL COMMENTO di don Gianluca Coppola

 La celebrazione della Domenica delle Palme ci introduce nella settimana centrale della nostra fede cristiana. Risulta quasi impossibile commentare in maniera completa ed esaustiva il passo che viene proclamato, ovvero quello della Passione di Gesù raccontata dall’evangelista Luca; proprio per questo motivo, preferisco soffermarmi soltanto su alcuni aspetti, che reputo fondamentali.

Innanzitutto, una prima, importante indicazione è la seguente: dobbiamo fare attenzione a non essere come la folla di Gerusalemme, che in un primo momento accoglie Gesù in modo trionfale, osannandolo, e poi, dopo soli cinque giorni, griderà «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Questo stesso atteggiamento potrebbe presentarsi nella nostra vita nel momento in cui il messaggio evangelico diventa scomodo: decidiamo di mettere Gesù fuori dalla nostra esistenza quando seguire i suoi insegnamenti non ci conviene più, ci risulta poco agevole, quasi fastidioso. Al contrario, il percorso che ormai da tante domeniche stiamo affrontando insieme, attraverso questi commenti, ci dice che, prima di ogni altra cosa, le fede è una relazione. E all’interno di una relazione non ci possono essere soltanto momenti gloriosi in cui siamo così contenti da sventolare le palme. Questo gesto, infatti, era un’accoglienza che si riservava ai re, nei momenti di grande trionfo e di vittoria, e la palma, oltre ad essere il simbolo della pace, era anche il simbolo della regalità. Ma una relazione non è fatta unicamente di momenti trionfali; anzi, è spesso fatta anche di momenti che, seppur scomodi, ci conducono a un cambiamento. Ecco, la relazione con Gesù impegna ciascuno di noi a cambiare qualcosa della nostra vita, perché Cristo ci ha amati ed è il Suo amore a indicare la via da percorrere.

 Un altro aspetto fondamentale della Passione secondo Luca, che proclamiamo in questo Anno C, risiede nel fatto che il racconto si incentra interamente sulla misericordia di Dio, che diventa dono totale. Anzi, non soltanto diviene dono totale, ma diviene un dono anche per coloro che non lo meritano. E tra questi, potremmo esserci anche noi.

Pertanto, tutta la Passione secondo Luca, che presenta alcuni aspetti unici non riportati dagli altri evangelisti, si concentra proprio su questo, sulla capacità di Gesù di donarsi completamente, di donarsi anche a chi sceglie di non accoglierlo, di non volerlo nella propria vita. Tra questi, ancora una volta, troviamo coloro che, invece, avrebbero dovuto essere proprio i più devoti, i più fedeli. Difatti, tutta la trama è costruita intorno a un’unica persona, che accoglie Gesù nel momento più tragico della sua vita terrena: si tratta, sorprendentemente, di un malvivente, di un ladro. Il contrasto tra coloro che avrebbero dovuto comprendere, ma non hanno compreso, e un ladro, che invece apre il proprio cuore e dunque riceve la salvezza, potrebbe essere facilmente paragonato al primo contrasto su cui ci siamo soffermati, ovvero quello che intercorre tra coloro che accolgono Gesù e subito dopo inneggiano alla sua morte per crocifissione.

Da entrambi i contrasti, possiamo trarre qualche spunto, di fondamentale importanza, per la nostra vita spirituale. Innanzitutto, possiamo affermare che, in un cammino di fede, non si giunge mai a un approdo finale o definitivo. Tutti, sacerdoti o laici, dottori della legge, scribi o farisei, tutti noi siamo chiamati ogni giorno a rinnovare la nostra adesione a Dio attraverso la relazione con Gesù, soprattutto a partire dalla meditazione della Parola.

Il secondo spunto per la nostra vita spirituale potrebbe essere il riconoscere, e accettare, che non esistono categorie di persone a cui è preclusa la salvezza. Siamo noi che mettiamo dei paletti, che troppe volte sentenziamo sulle vite degli altri; magari, lo faremo anche questa domenica, storcendo il naso e guardando con un certo fastidio le persone che si recano a messa solo per ricevere le palme, senza cogliere nella loro presenza una preziosa opportunità di evangelizzazione. La verità è che non esistono persone escluse dalla grazia, e l’episodio del ladrone ce lo conferma.

Ancora, un terzo suggerimento è che siamo chiamati a rimettere la nostra vita completamente nelle mani di Dio, proprio come fa il ladrone di questo passo. Egli, infatti, è consapevole del proprio peccato, sa perfettamente di aver vissuto la sua intera esistenza in modo da non potersi aspettare altro che una punizione. Eppure, smette di commiserarsi e decide di affidare tutto a Gesù, che prontamente lo salva e lo perdona. Potremmo addirittura sostenere che ci troviamo di fronte all’unico santo beatificato direttamente da Dio. E da ciò potremmo ricavare un ultimo consiglio importante: nella vita spirituale, è fondamentale prendersi del tempo per interiorizzare le cose. Coloro che accolgono Gesù al grido di “Osanna” e che poco dopo trasformano quel grido in un “Crocifiggilo”, sicuramente non avevano pensato abbastanza, non avevano meditato, non avevano aspettato.

La celebrazione della Passione, nella Domenica delle Palme, ci fa comprendere invece quanto sia importante prendersi il tempo necessario per rispettare i tempi dello Spirito. Oggi, siamo purtroppo abituati a risolvere tutto e subito, nella nostra epoca così tecnologica dove tutto deve essere immediato e veloce. Eppure, l’animo umano non segue i tempi della tecnologia; abbiamo bisogno di sedimentare, di comprendere, abbiamo bisogno perfino di passare attraverso l’esperienza della sofferenza e della croce, proprio come succede al ladrone. Abbiamo bisogno di tempo per poter portare frutto nella nostra vita spirituale.

Punto Famiglia



sabato 13 aprile 2019

TENTAZIONE E PERDONO -


Commento al Vangelo 
di  ENZO BIANCHI 

Lc 22,14-23,56

I vangeli ci consegnano quattro racconti della passione di Gesù, narrazioni che si accordano sullo svolgimento dei fatti ma ci appaiono anche differenti tra loro. Nel racconto di Luca, proclamato quest’anno nella liturgia, vi sono episodi assenti dagli altri vangeli e vengono registrati particolari eloquenti, che contribuiscono a presentarci un Christus patiens con caratteristiche che il terzo evangelista vuole mettere in evidenza per i lettori della sua opera.
Nella celebrazione della cena pasquale, Gesù consegna ai Dodici un insegnamento sul suo essere “servo” in mezzo ai discepoli e profetizza una grande tentazione da parte di Satana nei confronti della comunità da cui sta per essere strappato; nello stesso tempo, assicura a Simone una preghiera per lui e per la sua fede vacillante, affidandogli la missione di confermare i suoi fratelli. Nell’agonia del Getsemani Gesù è assalito da una forte angoscia, fino a sudare sangue per quella tensione-paura davanti alla morte. A lui viene però in aiuto un angelo, un messaggero di Dio che appare come un segno dell’interpretazione salvifica di quella passione. Durante il processo presso il procuratore romano Pilato per ben tre volte Gesù è dichiarato innocente e subito dopo incontra il tetrarca Erode, di fronte al quale fa assoluto silenzio. Le donne discepole incontrano Gesù sul cammino verso il Golgota e ricevono da lui una parola. Infine, sulla croce con le sue ultime brevi parole Gesù perdona il malfattore accanto a sé e rimette il suo respiro, il suo spirito, nelle mani del Padre.
Possiamo notare che quasi un terzo dei versetti del racconto della passione sono redatti da Luca, mentre gli altri sono tratti dalla sua fonte, Marco. Non potendo commentare tutto il racconto lucano, scegliamo dunque di mettere in evidenza solo gli episodi propri a questo evangelista, in modo da comprendere attraverso questa via la ricca diversità dei racconti evangelici, capace di nutrire e approfondire la nostra fede.
Per Luca la passione è innanzitutto l’ora della tentazione che assale Gesù, assale i discepoli e quindi anche la chiesa. Quando il bambino Gesù fu presentato al tempio per essere offerto al Signore, l’anziano Simeone, che attendeva la liberazione messianica, riconoscendolo per rivelazione dello Spirito santo, proclamò: “Egli è posto come segno di contraddizione … affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Ora, durante la passione, Gesù appare come segno di fronte al quale avviene la caduta nelle tentazioni oppure la resurrezione, la salvezza.
Per Luca l’ora della passione è anche “il tempo fissato” (Lc 4,13), in cui il diavolo sarebbe tornato da lui per tentarlo. Non lo aveva vinto nel deserto (cf. Lc 4,1-12), ma adesso ritorna mettendo in bocca ai persecutori di Gesù le sue stesse parole: “Se tu sei il Cristo, salva te stesso…”. Soprattutto al monte degli Ulivi Gesù, proprio per non cadere in tentazione, prega, addirittura prostrandosi in ginocchio, e chiede: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Ecco l’agonia, il combattimento che avviene all’interno di una preghiera più intensa. La paura della morte vissuta da Gesù attesta senza equivoci la sua appartenenza in tutto alla condizione umana. Gesù non ha una volontà diversa o contraria a quella del Padre e fino alla fine cerca soltanto di realizzare tale volontà; ma come uomo uguale a noi in tutto eccetto che nel peccato (cf. Eb 4,15) prova angoscia di fronte alla morte, nonostante l’avesse annunciata come esito necessario della sua vita conforme all’amore di Dio (cf. Lc 9,22.43-45; 18,31-34).
Se Gesù vince ogni tentazione, non riescono a fare lo stesso i suoi discepoli e, tra di loro, in particolare Pietro. Uno dei Dodici, Giuda, tradisce Gesù fino a consegnarlo nelle mani dei suoi avversari, i capi dei sacerdoti del tempio che ne avevano decretato la morte. Gli altri discepoli, proprio mentre Gesù annuncia il tradimento da parte di un membro della sua comunità, si mettono a discutere su chi tra loro fosse il più grande. E Pietro, quando gli viene annunciata la prova da parte di Satana, il loro essere passati al vaglio come il grano, in modo presuntuoso promette una fedeltà a Gesù che poche ore dopo smentirà, dichiarando di non averlo mai conosciuto. Questa la caduta nell’ora della tentazione: i Dodici non hanno saputo pregare per entrare nella tentazione e risultarne vincitori, a differenza di Gesù che, proprio in quel combattimento, proprio in quell’ascolto della parola del Padre e in quell’invocazione ripetuta, è riuscito a leggere (l’angelo interprete di Lc 22,43!) il senso di quella sua morte e dunque a farne un atto preciso, una donazione nelle mani del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio respiro!”, significativa citazione delle parole di un salmo (31,6) da lui tante volte pregato.
In Luca, oltre al tema della tentazione e della preghiera per combatterla e vincerla, possiamo scorgere un accento particolare posto sul perdono che Gesù sa dare anche in quest’ora, l’ora dei suoi nemici, l’ora che egli stesso definisce come quella delle tenebre. Quando avviene la sua cattura e uno dei discepoli sfodera la spada per difenderlo, ferendo all’orecchio un servo del sommo sacerdote, non solo Gesù si oppone a tale comportamento ma subito tocca l’orecchio sanguinante e lo guarisce, con un gesto che è molto più di una dichiarazione di perdono.
Colpisce anche un’annotazione solo lucana sullo sguardo indirizzato da Gesù a Pietro dopo il suo triplice rinnegamento. L’apostolo che aveva voluto rassicurare Gesù sulla sua sequela fedele, in realtà per ben tre volte nega di averlo conosciuto e lo fa davanti a una serva e ad altri due anonimi presenti nel cortile del sommo sacerdote. Allora il gallo canta e nello stesso istante Gesù si volta, cerca Pietro con il suo sguardo di misericordia e causa in lui un pianto di pentimento, un pianto amaro che nasce dalla consapevolezza di non essere stato capace di rimanere saldo come una Roccia, saldo come la sua vocazione gli avrebbe richiesto.
Ma è soprattutto sulla croce che Gesù rivela la sua misericordia e rende epifanico il suo perdono. Mentre è ormai innalzato tra due malfattori, uno a destra e uno a sinistra, guardando i suoi carnefici, i suoi nemici e la folla che assiste a quell’esecuzione, Gesù prega dicendo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Mentre gli umani lo stanno uccidendo, Gesù invoca su di loro il perdono di Dio, si fa strumento di riconciliazione. Non scusa i malfattori ma denuncia la loro ignoranza, il loro non sapere ciò che fanno né ciò che dicono contro di lui e contro il Padre, che lo ha inviato e lo ha dichiarato Figlio eletto e amato. Uno dei delinquenti crocifissi insieme a Gesù lo insulta, lo provoca, lo tenta allo stesso modo dei capi del popolo e dei soldati: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Ma l’altro malfattore, che sa riconoscere il proprio peccato contrapposto alla giustizia di Gesù, grida: “Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno”. Gesù allora gli risponde: “In verità ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Non alla fine dei tempi, non nell’ora della parousía, ma oggi, nell’ora della morte costui potrà seguire il Signore e Messia nel suo regno. In tal modo, Gesù non ha preservato né se stesso né il malfattore dalla morte, ma ha fatto di questa morte un passaggio alla vera vita, quella in Dio.
Se questi sono i tratti specifici di Luca nel consegnarci l’icona del Christus patiens, è soltanto questo evangelista che osa parlare della crocifissione come theoría, contemplazione. Questa la contemplazione cristiana: il crocifisso! Guardando a lui, si può passare dalla contemplazione al pentimento e alla conversione, che è sempre un ritorno sulle sue tracce. Le folle che si erano radunate per quello spettacolo-visione, avendo visto come Gesù aveva vissuto la sua morte violenta e avendo constatato il suo amore mitissimo capace di invocare su tutti il perdono, se ne ritornano battendosi il petto. Da parte sua, un centurione pagano – e noi siamo invitati a farlo con lui! – riconosce la gloria di Dio in questo evento che dava la morte a “un uomo giusto”, senza peccato quale Figlio di Dio (cf. Sap 1,16-2,20).