"Se solo l'ascolto ci consente la conversione della mente"
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di Vito Mancuso*
Tutte
le cose più importanti della vita avvengono al passivo. Dicendo
"passivo" qui non intendo inerzia o inattività bensì
"passione", termine che ha un duplice senso: irresistibile trasporto
("non resisto, è la mia passione") e insopportabile sofferenza
("la passione di Cristo", o anche "la passione di Gaza").
Tale concetto veicola le due esperienze decisive dell'esistenza, la bellezza e
la sofferenza. Le quali vengono esperite entrambe al passivo. Per questo
sostengo che tutte le cose più importanti della vita avvengono al passivo.
Con
ciò non intendo negare l'apporto della libertà cadendo nel fatalismo, ma
piuttosto privilegiare l'ascolto. L'ascolto in tutte le sue dimensioni è quanto
ci consente di essere consapevoli e vigili al cospetto di forze più grandi di
noi che ci fanno patire e insieme gioire. Sto dicendo, in altri termini, che la
vita nella sua pienezza si origina dall'unione simbiotica di due movimenti, il
primo dei quali ci desta dal torpore della superficialità in cui si vive solo
da spettatori per farci agire attivamente in prima persona, mentre il secondo
ci fa comprendere che questo nostro agire non si deve conformare su di noi e a
vantaggio di noi ma aprirsi a una dimensione più grande. Il primo movimento ci
rende attivi, il secondo passivi. Di quella passività però che è apertura e che
orienta verso qualcosa più importante di noi. Il primo movimento genera
autostima, il secondo genera stima.
La
devozione dell’intelligenza
Definisco
la stima "devozione dell'intelligenza". Un essere umano si compie
quando, essendo giunto a stimarsi, trova qualcosa più importante di sé cui
conferire la propria stima. Sotto questo profilo la vera stima nasce quando si
sciolgono le catene mentali e si comincia a guardare in modo libero dalla
prigione del sé, da quella ristretta angolatura della mente e del cuore che
porta a considerare la realtà come un sistema geocentrico in cui al centro di
ogni cosa ci sono io e tutto deve ruotare intorno a me. Vivendo secondo questa
ristretta prospettiva si può avere un atteggiamento predatorio guardando agli
altri come prede, o al contrario vivere nella paura sentendosi preda degli
altri, ma in entrambi i casi si passa l'esistenza all'interno di un sistema egocentrico
simile all'antiquato sistema astronomico geocentrico che deriva dall'ignoranza
e che genera una relazione distorta con la realtà.
Crescendo
invece si inizia a vedere il mondo secondo l'eliocentrismo copernicano e così
si comprende la reale proporzione delle cose capendo che la realtà è più
importante di noi. Questo primato della realtà genera l'atteggiamento
fondamentale della passività in quanto ascolto, o attenzione, e costituisce la
decisiva conversione della mente. Gesù ne parlava dicendo "metànoia",
Platone "periagoghé", Plotino "epistrophé", la sapienza
ebraica "teshuvà", e il Buddha "bodhi", termine che
significa risveglio e che genera appunto la parola Buddha ossia risvegliato. È
la conversione alla verità della realtà. È il passaggio dall'egocentrismo al
teocentrismo.
Il
teocentrismo
Elogiando
il teocentrismo non intendo affermare che la maturità di una persona consiste
necessariamente nel credere in Dio. Intendo piuttosto ciò che ha scritto Thich
Nhat Hanh, monaco buddhista vietnamita, tra i più grandi maestri spirituali del
nostro tempo: «Per esperire pienamente la vita come esseri umani tutti noi
abbiamo bisogno di entrare in comunione con il nostro desiderio e realizzare
qualcosa di più ampio del nostro sé individuale». Questo qualcosa di più ampio
è sempre stato avvertito dalle grandi tradizioni spirituali e dai grandi
filosofi e nominato per lo più mediante la categoria di divino, ma è chiaro che
se ne può parlare anche in altro modo. L'essenziale è entrare in contatto con
ciò che è più importante di noi. Ma, ancora più essenziale, è percepire che ciò
che è più importante di noi esiste "dentro" di noi. I vertici
spirituali dell'umanità hanno da sempre fatto esperienza di questa dimensione
scoprendo dentro di sé una dimensione più importante di sé, lo attestano tutte
le grandi tradizioni per le quali aderire alla legge che si scopre nel profondo
di sé equivale ad aderire alla legge che forma e mantiene il mondo e alla quale
in Occidente ci si riferisce normalmente dicendo Dio (e altrove in altri modi
tra cui Logos, Nous, Dharma, Brahman, Tao). Nella nostra epoca Etty Hillesum ha
descritto così questa medesima esperienza: «Dentro di me c'è una sorgente molto
profonda. E in quella sorgente c'è Dio».
Quando
si entra in contatto con questa dimensione sentita ed esperita dentro di sé si
diventa passivi, nel senso che si sviluppa la passione dell'ascolto. Da tale
pathos del tutto peculiare non discende inerzia, ma al contrario quell'attività
suprema che è simbiosi di passività e di attività e che, con una parola sola,
si chiama "arte". Nell'arte, infatti, il passo essenziale avviene al
passivo e consiste nella ricezione del talento e dell'ispirazione, mentre solo
dopo entra in gioco il lavoro personale. Il che vale a maggior ragione quando
l'arte viene fruita, quando pressoché tutto si gioca nell'ascolto.
L’ascolto
Noi
non ascoltiamo solo con l'udito, lo facciamo anche con lo sguardo, il palato,
il tatto, il naso: tutti i sensi sono in gioco in quell'atteggiamento che
denomino ascolto o attenzione. L'ascolto per eccellenza però avviene mediante
l'udito. E tra i diversi tipi di ascolto uditivo, quello per eccellenza è
riservato alla grande musica. Perché la musica detiene tale primato? Perché
riproduce la musica che è il mondo.
Nella
sua essenza ontologica, infatti, il mondo consiste in una vibrazione
energetica, ovvero nella medesima struttura della musica. L'aveva già intuito
Pitagora, ma noi oggi sappiamo dalla fisica che a essere originaria non è la
materia ma è l'energia. Max Planck, il padre della teoria dei quanti, dichiarò
un giorno: «In quanto fisico che ha dedicato tutta la sua vita alla scienza più
sobria, allo studio della materia, sono sicuramente libero dal sospetto di
essere un sognatore. E così a seguito delle mie ricerche sull'atomo vi dico: la
materia in sé non esiste. Ogni materia nasce e consiste solo mediante una
forza, quella che porta le particelle atomiche a vibrare e che le tiene insieme
come il più minuscolo sistema solare».
La
musica interiore
Prima
della materia quindi c'è la forza, precisamente la forza che fa vibrare
l'energia allo stato caotico portandola a configurarsi come materia. Planck
parla di vibrazione, e cos'è la musica se non vibrazione? Per questo la musica
appare come la più efficace modalità di esperire e rappresentare il principio
costitutivo del mondo.
In
questa prospettiva fare musica non riguarda solo i musicisti: tutti noi siamo
chiamati a essere musica. Siamo suoni, dobbiamo diventare musica. Il senso del
nostro essere qui è accordare i nostri suoni elementari ponendoli in
successione tale da produrre una melodia dentro di noi, e poi cercare di
armonizzare la melodia ottenuta con quella degli altri viventi. Questa
armonizzazione tra la nostra musica interiore e quella degli altri si chiama
"religio". La religio (uso il termine latino perché quello italiano
corrispondente è ormai consumato) è una successione ordinata dei suoni prodotti
da quello strumento del tutto peculiare che è la libertà. Se c'è religio, la
libertà si accorda con la musica originaria del mondo e con quella degli altri
viventi diventando una nota consapevole e lieta della Grande Armonia. E il
primo passo decisivo di questo processo virtuoso consiste nell'imparare ad
ascoltare.
*Vito
Mancuso, La Stampa
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