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dicembre 2023 – Vangelo Lc 2,22-40
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Domenica di Natale
22Quando
furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di
Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore - 23come è
scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore
- 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi,
come prescrive la legge del Signore. 25Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome
Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo
Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non
avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso
dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino
Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch'egli lo
accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29«Ora
puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada
in pace, secondo la tua parola, 30perché
i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31preparata
da te davanti a tutti i popoli: 32luce
per rivelarti alle genti e
gloria del tuo popolo, Israele».
33Il
padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la
caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35-
e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri
di molti cuori». 36C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della
tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette
anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva
ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e
giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche
lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero
ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si
fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Commento di Sabino Chialà
In
questa domenica dopo Natale la liturgia ci invita a sostare su Gesù attorniato
dai suoi primi custodi: Maria, la giovane donna di Nazaret che lo aveva accolto
nel proprio grembo, e Giuseppe, l’uomo giusto discendente di Davide, che di
quel bambino è stato il primo custode. Funzioni diverse, ma ambedue svolte in
obbedienza a una parola rivolta loro da Dio attraverso i suoi messaggeri.
Una
famiglia un po’ speciale quella di Gesù, di cui facciamo memoria in questa
domenica. Maria e Giuseppe sono madre e padre in forza di una parola da essi
ricevuta e accolta, in tempi e modi diversi. Non che il legame di sangue con
Maria non sia ritenuto importante, ma non è quello il punto essenziale, come
Gesù stesso dirà poco oltre, in Luca per ben due volte. A chi, infatti, gli
riferiva che “sua madre e i suoi fratelli” desideravano vederlo, Gesù ribatte:
“Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio
e la mettono in pratica” (Lc 8,21); e poco oltre, a chi lodava il grembo che lo
aveva portato e il seno che lo aveva allattato, dice: “Beati piuttosto coloro
che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28).
L’obbedienza
alla Parola: ecco ciò che conta per Gesù e ciò che è primario in tutte le
vicende che si intrecciano attorno ai primi istanti della vita del Figlio di
Dio, Parola fatta carne. La Parola di Dio, quando è obbedita, crea non solo un
legame solido di chi la accoglie con il Padre che l’ha inviata, ma anche tra
gli esseri umani che se ne fanno discepoli. E così nelle scene evangeliche che
seguono la nascita di Gesù a Betlemme, i vari personaggi che vi si incontrano
hanno in comune questo tratto: l’obbedienza a una parola che li conduce al
bambino e intanto ne intreccia le esistenze.
Così
era stato per i pastori, giunti alla stalla perché avevano dato credito alle
parole di un angelo (v. 10) e lì avevano incontrato “Maria e Giuseppe e il
bambino” (v. 16). Anche Maria e Giuseppe vivono il loro particolarissimo
rapporto di coppia in forza di una parola rivolta a ciascuno, e si recano al
tempio in obbedienza alla Legge, per presentare il loro primogenito: “Come
prescrive la legge del Signore” (v. 24). La loro genitorialità cresce e si
articola intorno a quello che la Legge del Signore chiede loro. Conducono così
Gesù al tempio dove incontrano Simeone ed Anna, altri due piccoli d’Israele che
sono lì in obbedienza allo spirito profetico che li abita (v. 26 e 36).
L’obbedienza alla “Legge del Signore” è infine menzionata nell’ultimo segmento
del racconto, dove si parla del ritorno a Nazaret che avviene “quando ebbero
adempiuto ogni cosa secondo la Legge del Signore” (v. 39).
Se
dunque la notte di Natale abbiamo contemplato la Parola fatta carne, il
Salvatore, in questa prima domenica, l’evangelo ci invita a volgere lo sguardo
verso gli altri volti che si muovono e s’incontrano attorno a lui. Esso ci
invita a cogliere ciò che rende possibile il loro convergere verso quel bambino
e degli uni verso gli altri, e dunque ciò che forma quella particolarissima
famiglia credente. Ebbene l’ordito della tela che si va componendo attorno al
Bambino è l’accoglienza obbediente di ciò che egli è innanzitutto: Parola
rivolta a ciascuno, che conduce a lui e che crea comunione.
Questo
ci ricorda come ogni relazione passa per l’obbedienza alla Parola e come ogni
tradimento di relazione è effetto di un allontanamento dalla Parola. In questo
ci sono di insegnamento Maria e Giuseppe, specialissima coppia di sposi, che
vivono la loro vocazione sponsale in forza dell’obbedienza a una parola loro
rivolta. Vivranno in forza della medesima obbedienza anche la loro
genitorialità nei confronti di Gesù, custodendone la crescita nel rispetto del
mistero di cui era abitato e che, in quei primi anni a Nazaret, vedevano
prendere forma il lui che “cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e
grazia” (v. 40).
Così
è anche per Simeone e Anna che, nell’accoglienza di quel bambino, sentono
compiersi la loro attesa, che è quella di un intero popolo: la “consolazione
d’Israele”, attesa da Simeone (v. 25) e la “redenzione di Gerusalemme” attesa
da Anna (v. 38); e compiersi la loro stessa esistenza, che giunge a pienezza,
nell’offerta grata che Simeone ne fa, prendendo “tra le braccia” il piccolo
Gesù e cantando il suo congedo dalla vita terrena (v. 28).
Tutto,
in queste scene, sa di legami pacificati, con se stessi e con gli altri. Legami
resi solidi e pacificati dal comune riferimento alla Parola, promessa nelle
antiche Scritture e ora adempiuta nel bambino di Betlemme. È lì che tutto si
compone ed è lì che tutto rinasce. Non la carne e il sangue, ma la comune
obbedienza alla Parola rendono possibile la comunione, ovunque e in ogni genere
di relazione.
Monastero
di Bose
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