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di José Tolentino Mendonça*
A proposito del Natale,
tutto questo patrimonio simbolico che è diventato cultura è stato, un giorno,
culto.
Quella che oggi è
un’esaltazione fiabesca tendenzialmente non ben identificata è stata narrazione
evangelica ben esplicita; lo spazio oggi concesso a Babbo Natale era dato un
tempo al presepio; gli auguri tradotti in una grammatica civile ebbero dapprima
un’espressione teologica definita; il ruolo propulsivo oggi esercitato dal
commercio già fu svolto, in modo esclusivo, dalla religione.
È impossibile non
rilevare una riduzione, o una pretesa sostituzione. Nella misura in cui si
secolarizzano, le società pretendono che la circolazione tra culto e cultura
s’interrompa, come fosse cosa buona un’operazione di puro e semplice
cancellamento delle origini.
Si fa urgente sottoporre
a un dibattito critico questa maniera di pensare. Se la cultura cancella la
memoria del culto, si devitalizza, azzera qualcosa di antropologicamente
decisivo. La cultura necessita di alleanze per rafforzarsi come contenitore
dell’esperienza umana. Il caso dei simboli è paradigmatico. L’ampiezza della
loro risonanza dipende da un rapporto matriciale che persiste.
La cultura ha di che
guadagnarci nel riconoscere il qualificato contributo umano offerto dal culto e
nel mantenere una circolarità che ci aiuti tutti a plasmare cammini
significativi verso quella che chiamiamo speranza.
*Prefetto del
Dicastero per la Cultura e l’Educazione
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