RITROVARE UN'ANIMA PER CONDIVIDERLA
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di Giuseppe Savagnone*
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Le
violazioni dei diritti dei migranti
La
sentenza con cui, qualche giorno fa, la Corte europea dei diritti umani (CEDU)
ha condannato l’Italia per la detenzione illegale e il trattamento «inumano e
degradante» di quattro migranti minori (tre gambiani e un ghanese),
nell’hotspot di Taranto, nel 2017, non è che l’ultima di una serie di pronunzie
a carico del nostro paese da parte del Tribunale di Strasburgo – un organismo
giudiziario del tutto indipendente dal Consiglio e dal parlamento della UE e
dunque non sospetto di portare avanti un discorso politico.
Lo
scorso ottobre una analoga condanna nei confronti dell’Italia era stata emessa
dalla CEDU per le stesse violazioni dei diritti umani, questa volta a danno di
tre migranti tunisini, nell’hotspot di Lampedusa. E poco prima, in agosto, una
sentenza della Corte europea aveva riguardato la mancanza di un’adeguata
accoglienza e tutela di una ragazza minorenne originaria del Ghana. Ma già nel
luglio 2022 ce n’era stata un’altra per i maltrattamenti ai danni di un minore
del Gambia.
Tutti
gli episodi in questione riguardano il 2017, e sanzionano dunque la gestione
dell’accoglienza dei migranti da parte del governo Gentiloni. Lo stesso che,
grazie al ministro dell’Interno Minniti, in quello stesso anno ha stretto
accordi con la Libia perché trattenesse i migranti in centri di detenzione che,
secondo la denunzia dell’ONU, sono dei veri e propri lager, dove tutti i
diritti umani sono sistematicamente violati.
Già
allora, dunque, con una maggioranza parlamentare e un esecutivo di
centro-sinistra, che a parole si pronunziavano a favore di una politica di
integrazione, non solo non si faceva praticamente nulla per realizzarla, ma si
mantenevano in piedi strutture di “finta accoglienza” – in realtà più simili a
campi di concentramento – dove la dignità delle persone veniva calpestata.
Le
cose potevano solo peggiorare – e sono infatti peggiorate – con l’avvento del
governo di destra, il quale aveva messo tra i punti qualificanti del suo
programma elettorale la «difesa dei confini nazionali ed europei» e il
«controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con
le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani». Dove l’espressione
«difesa dei confini nazionali ed europei» implicava, già di per sé,
l’assimilazione dei migranti a invasori da respingere.
E
su questa linea si è mossa – anche se con scarsissimo successo – l’esecutivo
guidato dalla Meloni, adottando misure fortemente restrittive nei confronti
delle navi delle Ong impegnate nel salvataggio dei naufraghi nel Mediterraneo,
rinnovando e rafforzando gli accordi con la Libia, stringendone di nuovi (poi
disattesi dall’altra parte) con la Tunisia e lanciando, ultimamente, il
fantasioso progetto di “deportare” i migrati adulti in Albania.
È
in questa logica ostile e penalizzante che il Consiglio dei ministri, il 6
ottobre 2023, con decreto-legge, ha consentito il collocamento di migranti
minorenni con più di 16 anni nei centri detenzione riservati agli adulti.
Una
prassi già purtroppo ampiamente in voga e che si è voluto così rendere legale,
favorendo una promiscuità che tutti gli esperti ritengono rovinosa per i più
giovani, tanto più che quei centri sono già di per sé sovraffollati, con
servizi igienici assolutamente inadeguati (si parla di due per quaranta
persone) e privi di assistenza legale e psicologica e di insegnamento
dell’italiano.
Anche
attualmente a Taranto – denuncia l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici
sull’immigrazione) –, «nell’hotspot allestito su un parcheggio nel porto,
completamente isolato dal contesto urbano e sociale locale, e assolutamente
inadatto ad ospitare minori, attualmente ci sono 185 minori stranieri
trattenuti di fatto in assenza di ogni base legale e di vaglio giurisdizionale,
alcuni addirittura da agosto».
Ora,
la prima delle violazioni dei diritti umani sanzionate dalla Corte europea con
la sua più recente sentenza è proprio che i quattro minori africani fossero
stati alloggiati, nel 2017, nell’hotspot di Taranto, previsto per soli adulti!
Aspettiamoci
dunque altre condanne, questa volta non nei confronti di una prassi
occasionale, ma di una legge che nasce all’insegna del misconoscimento delle
più elementari esigenze delle persone più giovani.
Insomma,
sia la sinistra che la destra – al di là dei proclami di segno opposto – hanno
ampiamente dimostrato la loro mancanza di un vero progetto di accoglienza e di
integrazione, capace di trasformare il fenomeno migratorio da drammatica
minaccia in risorsa.
Certo,
sulla carta l’atteggiamento del PD è stato molto diverso dall’accanimento
xenofobo della Lega e di Fratelli d’Italia. Ma è significativo che, nel tempo
in cui è stato al governo, questo partito non abbia neppure provato a
smantellare quei “decreti sicurezza” che avevano costituito la gloria dell’ex
ministro dell’Interno Salvini.
Una
politica suicida dal punto di vista economico
E
che questa sia una politica autolesionista, da parte de nostro paese, lo dice
il dato incontestabile che, nella misura in cui gli stranieri vengono messi in
condizione di inserirsi nella nostra società – invece di esserne tenuti ai
margini, isolati in campi di detenzione fuori dei circuiti civili –, sono già
oggi in grado di dare un apporto decisivo alla nostra economia.
Questo
è vero, per esempio, se si guarda al loro ruolo nel sistema pensionistico. È
dell’aprile scorso l’intervista su «La Stampa» in cui il presidente dell’Inps,
Pasquale Tridico, ha detto chiaramente che, per quanto riguarda il rapporto tra
lavoratori e pensionati, con l’attuale andamento demografico «dopo il 2040
arriviamo alla soglia dell’uno a uno, un numero che definirei davvero critico»
e aveva indicato come unica soluzione l’apertura all’ingresso degli stranieri:
«Le economie ricche», spiegava il presidente dell’Inps, «hanno tutte molti
migranti».
E,
facendosi interprete delle pressanti richieste degli imprenditori, che chiedono
l’allentamento delle restrizioni all’ingresso di lavoratori stranieri, aveva
aggiunto: «Anche noi abbiamo l’esigenza di coprire lavori medio-bassi da Nord a
Sud con gli stranieri.
La
soluzione non può che essere l’accesso di immigrazione regolare e fluida».
Così, del resto, è stato altrove. A questo proposito Tridico si è appellato
all’autorità del premio Nobel americano Paul Krugman: «Krugman segnala come
negli Stati Uniti gli immigrati siano stati la leva più dinamica nel contributo
alla crescita dell’economia».
Ma
perché questo inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro sia possibile
non basta, ovviamente, lasciarli arrivare, evitando che affoghino nel
Mediterraneo: bisogna anche insegnare loro la nostra lingua, valorizzare le
abilità e le competenze di cui spesso sono portatori, renderli partecipi di una
vita sociale in cui le relazioni tra di loro e quelle con gli italiani siano
sviluppate e diventino normali.
Qualcosa
che finora non è stato mai organicamente perseguito dai governi precedenti ed
esattamente il contrario di ciò che quello attuale sta cercando di realizzare.
Ritrovare
un’anima per condividerla
Tutto
ciò però riguarda ancora solo l’aspetto economico. Il problema di fondo che si
prospetta è più generale, e ha come suo punto fondamentale la questione
culturale. È soprattutto sotto questo profilo che la politica inconcludente
della sinistra e quella risolutamente ostile della destra sono suicide. In
particolare, la linea ferocemente difensiva di quest’ultima appare ispirata
alla preoccupazione di evitare una «sostituzione etnica» – come l’ha chiamata
il ministro Lollobrigida in un suo discorso, –, che sarebbe anche una
“sostituzione” culturale.
Ed
è vero che la percentuale di stranieri, in Italia, pur essendo nettamente più
bassa che in altri paesi europei, come la Francia e la Germania, è destinata a
crescere abbastanza rapidamente, anche solo per effetto del differente tasso di
natalità tra essi e gli italiani.
In
particolare, preoccupa il fatto che la maggior parte di loro è di religione
islamica (anche se non mancano, anzi sono numerosi, i cristiani!) e sono dunque
portatori non solo di una fede, ma anche di una cultura molto diversa dalla
nostra.
Ma
proprio per evitare uno scontro di civiltà da cui alla fine usciremmo perdenti,
la sola politica adeguata non è quella dei muri e dei campi di concentramento,
bensì quella basata su una ragionevole accoglienza (nessuno ne vuole una
indiscriminata) e soprattutto su una capillare opera di integrazione culturale,
che consenta ai nuovi arrivati di diventare non solo lavoratori, ma cittadini
italiani.
E
per questo un’attenzione speciale dovrebbe essere dedicata proprio ai minori,
più suscettibili di essere educati in questo senso. Dove lo scopo non
dev’essere di cancellare la loro identità con una assimilazione forzata, ma di
valorizzarla in tutti gli aspetti che possono favorire un dialogo costruttivo e
una cooperazione – non solo una convivenza! – civile in funzione di un unico
bene comune.
Solo
che, per sperare di realizzare questo, l’Italia stessa – come del resto tutta
l’Europa – deve uscire da un vuoto spirituale e valoriale che la sta
desertificando e di cui purtroppo sono evidente espressione sia la classe
politica della sinistra che quella della destra.
Il
nostro paese – e non solo quello – deve ritrovare un’anima. Come potrà,
altrimenti, chiedere a chi arriva dall’esterno di condividerla?
Si
tratta di ricostituire un tessuto di valori comuni, una prospettiva di senso
condivisa, che consentano di uscire dalla logica dell’individualismo selvaggio
e del consumismo oggi dominanti.
Continuare
a puntare sulla difesa disperata di questo vuoto, alzando barriere e costruendo
campi di concentramento, non fa che evidenziarlo e rendere sempre più reale il
pericolo che si vuole esorcizzare.
*Scrittore
ed editorialista. Pastorale della Cultura, Diocesi Palermo
www.tuttavia.eu
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